(dal greco
chorós). Teat. - Nel teatro
greco, gruppo di attori che sostenevano le parti cantate e danzate. ║ Per
estens. - La danza stessa e il luogo in cui essa avveniva. ║ Per estens. -
La parte della tragedia o della commedia destinata a essere cantata dal
c. ║ Nelle tragedie di A. Manzoni, brano lirico in cui il poeta
parla in prima persona. ● Encicl. - Le prime espressioni corali furono
molto probabilmente connesse a manifestazioni sacre e il
c. più
antico fu detto ciclico perché i coreuti si disponevano in tondo intorno
all'altare del dio. Taleta, nato a Gortina e trasferitosi a Sparta (VII sec.
a.C.), innalzò tali componimenti a forme d'arte. Alcmane secondo la
tradizione fu il più antico poeta di lirica corale greca. Il vero
iniziatore del
c. ciclico per il ditirambo, in onore di Dioniso, fu
tuttavia considerato Arione, poeta e musico di Metimna (VII sec. a.C.); dal suo
ditirambo si sviluppò la tragedia attica. Il
c. ebbe un'importanza
fondamentale nella tragedia greca: da esso si staccò infatti il primo
attore, prima come dicitore fra un canto e l'altro, e in seguito come
interlocutore del corifeo o capo
c. Inizialmente composto da 12 elementi
il
c. fu poi allargato a 15 da Sofocle. Nelle tragedie più
antiche, il
c. aveva funzioni di personaggio collettivo e talvolta
partecipava effettivamente all'azione, esprimendo le idee e i sentimenti del
poeta. Già con Euripide, vide però ridotto il suo ruolo risultando
infatti il più delle volte non influente, con riferimento allo
svolgimento dell'azione. Nella forma tradizionale il
c. era diviso in due
semicori guidati da
parastates e, in genere, i coreuti entravano in scena
su tre file di cinque persone. Mentre gli attori recitavano parti scritte in
trimetri giambici o in tetrametri trocaici, il
c. recitava una parte in
versi lirici suddivisa in strofe, antistrofe ed epodo. Al
c. erano
riservate cinque parti: l'entrata a passo di marcia o
parodos, la
conclusione o
exodos, e tre canti o stasimi, che dividevano un episodio
della tragedia dall'altro. Con il suo progressivo estraniamento dall'azione
drammatica, il
c. si ridusse con il tempo a semplice intermezzo musicale.
Il
c. comico era composto da 24 coreuti che avanzavano in genere in
gruppo ponendosi su quattro file di sei elementi. La sua importanza nella
commedia antica è confermata dal fatto che molte commedie presero il
titolo dal nome dei componenti del
c. (
Gli uccelli, Le nuvole,
ecc.). Ad esso spettava il compito di rivolgersi attraverso le parole del
corifeo agli spettatori. Rappresentava personaggi fantastici o animali; poteva
essere omogeneo o meno e talvolta nella stessa commedia doppio. Si mescolava
spesso con gli attori, operando con o contro di loro. Come per il
c.
tragico anche quello comico decadde nel tempo. Dopo Aristofane diminuì la
sua importanza e nella Commedia nuova di Menandro il
c. divenne soltanto
un intervallo musicale tra un atto e l'altro. ● Mus. - Unione di
più cantori nella simultanea esecuzione di una stessa parte, o di
più gruppi di cantori nella contemporanea esecuzione di altrettante parti
in concerto. ║ Per estens. - Componimento musicale per
c. ║
Per estens. - Uno o più gruppi di strumenti cooperanti nell'esecuzione di
un brano musicale. ║ Per estens. - Canto o verso di più animali
insieme. ║
C. monodico: composto di voci che cantano la stessa
melodia all'unisono o in ottava (in tal caso è detto anche
omofonico). ║
C. omoritmico:
c. di voci che cantano
melodie differenti con scansione di uguale durata. ║
C. polifonico:
c. di voci che cantano le stesse melodie con ritmi diversi. ║
C.
eterofonico: è caratteristico della musica popolare, in cui le voci
cantano la stessa melodia con delle varianti e degli scarti di intonazione.
║
C. a voci dispari o
misti:
c. composto da voci
maschili e femminili o da voci maschili e di fanciulli. ║
C. a voci
pari:
c. comprendente voci solo maschili, solo femminili o solo di
fanciulli. ║
C. a cappella:
c. costituito di voci non
accompagnate da strumenti. ║
C. concertante:
c. unito a
un'esecuzione musicale. ● Encicl. - Già nella Bibbia si ha il
riferimento a pratiche corali che testimoniano l'esistenza di forme antifonali e
responsoriali fin dal II millennio a.C. Complessi corali vennero successivamente
descritti da Omero e da Esiodo ancora prima che si diffondessero in Grecia forme
corali codificate in generi ben precisi, destinate a manifestazioni sacre (gli
inni, gli epitalami per le nozze, i ditirambi del canto orgiastico in onore di
Dioniso). Il canto cristiano, nella duplice forma responsoriale (o antifonale) e
in quella diretta, trasse la sua origine dal canto dei salmi. In seguito si
aggiunse a questo tipo di
c. salmodico quello cosiddetto innodico,
proprio della chiesa orientale e successivamente imitato in Occidente da
sant'Ambrogio. Altre forme si ebbero con l'introduzione di nuovi schemi nella
messa, con il ricorso ai tropi e con le prime forme di polifonia
dell'
organum e del
gymel. Successivamente si svilupparono forme
polifoniche, generalmente riunite nella denominazione comune di
ars
antiqua, di cui i principali esempi si ebbero nell'abbazia di San Marziale
di Limonges e nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi. Le ulteriori modifiche
nelle tecnica del contrappunto portarono a forme nuove, culminanti nel mottetto.
Nel periodo detto dell'
ars nova si affermò una coralità
profana soprattutto in Francia e in Italia mentre nel XV sec. la tecnica corale
progredì con la diffusione di numerose cappelle collegate a singole
chiese, che contribuirono al sorgere di specifiche tradizioni locali: tra queste
si distinse in particolare la scuola borgognona da cui si sviluppò la
scuola fiamminga. Quest'ultima, dominante in Europa soprattutto nel campo della
polifonia sacra, inaugurò la pratica della policoralità, ossia
della contrapposizione di due
c. detti spezzati o battenti. A tali forme
complesse si opposero nel XVI sec. la Riforma e la Controriforma che preferirono
tecniche più semplici. In ambito protestante Lutero favorì il
corale foggiato sul Lied, dall'andamento monodico e cantabile da tutta la
comunità di fedeli. Nella liturgia cattolica invece, per favorire la
comprensibilità delle parole, secondo i dettami del Concilio di Trento,
si ebbe una semplificazione della polifonia fiamminga; a ciò
contribuì soprattutto il perfezionamento della tecnica contrappuntistica
di cui il massimo cultore fu Palestrina. Al di fuori della Chiesa una nuova
sensibilità trovò espressione nella forma del madrigale, mentre
nel melodramma il
c. assunse il ruolo di personaggio collettivo, con il
compito di intervenire nella storia. Nell'ambito della coralità sacra e
di quella profana si ebbero nuove modalità espressive nella messa, nel
mottetto, nell'oratorio e nella cantata. In epoca barocca, mentre in Italia si
assistette a una riduzione dell'impiego nel
c. negli oratori e nella
cantata, in Germania il
c. mantenne la sua posizione preminente come
mostrano gli oratori di Haendel e in seguito quelli di Mozart e di Haydn. Alla
rivalutazione del
c., limitato nel melodramma, durante il XVII sec., a
brevi episodi collocati al termine dei singoli atti e talvolta addirittura
assente, contribuì la riforma di Gluck. All'opera è del resto
legata anche la nuova importanza assunta dal
c. in Italia, nella
produzione di Rossini e soprattutto di Verdi. Fu in particolare nei Paesi
europei che il
c. trovò largo impiego. Con la
IX Sinfonia
di Beethoven si diffuse il genere della sinfonia corale, una forma nuova a cui
si dedicarono Berlioz, Schumann, Liszt, Mendelssohn, Bruckner e Brahms. Allo
sviluppo del
c. e alla sua riforma contribuì inoltre l'interesse
rinnovato per le forme musicali del Rinascimento, sviluppatosi a partire dalla
seconda metà del XIX sec. (si ricordano le opere di Hindemith,
Stravinskij, Schönberg, Webern). Nel XIX sec. si registrò inoltre un
grande sviluppo delle società corali formate da dilettanti: in Gran
Bretagna si diffusero le gare e i festival corali, in Germania si moltiplicarono
i
Liedertafeln, in Francia, lo spirito associativo promosso dalla
Rivoluzione determinò il nascere del grande movimento delle
società corali denominato
Orphéon. ● Arch. - Nelle
chiese cristiane, lo spazio posto dietro l'altare principale, riservato ai
membri del clero a cui spetta la parte cantata della liturgia. Nelle prime
chiese con pianta a croce latina, in relazione alla necessità di una
netta separazione tra clero e fedeli e per l'importanza della liturgia delle
parti cantate, esso si identificò con la parte del presbiterio di fronte
all'altare, talvolta prolungandosi anche nella navata verso l'ingresso (esempi
di questo tipo si hanno nella chiesa dei Frari a Venezia; in San Michele in
Bosco, XV sec., a Bologna; in Santa Maria, XVII sec., a Bergamo). Nelle chiese
gotiche il
c. venne collocato nell'abside dietro all'altare maggiore e si
ingrandì per accogliere membri del clero. Le prime forme di
c.
erano delimitate da un recinto ornato da due pulpiti, posti sui lati opposti. Il
recinto era in genere di materiale pregiato, di marmi intarsiati traforati e
arricchiti con tarsie policrome o a mosaico. Con la collocazione dietro l'altare
il recinto scomparve ed assunsero sempre più importanza gli stalli,
sedili di cui è incerta la prima datazione. A partire dal XIV sec. si
diffusero ampiamente i
c. lignei, riccamente lavorati, caratterizzati da
alti dossali ornati di intagli e intarsi, con particolari decorativi
perfettamente armonizzati con le strutture compositive del
c. stesso. Il
c. di chiese monastiche di alcuni ordini religiosi, soprattutto
femminili, fu collocato in ambienti annessi alla chiesa, comunicanti con essa
attraverso vani chiusi da fitte grate. Tra i maggiori esempi di
c. si
ricordano, in Italia, il
c. del duomo di Orvieto (XIV sec.), quello del
duomo di Perugia (XV sec.), quello della chiesa di S. Maria della Salute a
Venezia (XVII sec.) e quello del duomo di Asti (XVIII sec.).
"Il coro nel dramma greco" di Raffaele Cantarella