Atto del conoscere e il conoscere in quanto presenza nella
mente di una nozione. Poiché la mente non è uno specchio passivo
su cui si riflettono le immagini di una realtà esterna (in sé
compiuta), ma una realtà attiva, la
c. di una cosa si identifica
con l'esperienza che il soggetto fa di essa ed è il risultato di una
ricerca e di una relazione reciproca tra uomo e ambiente.
• Filos. - Il problema della
c. è
tra i più complessi della filosofia. Tra le prime distinzioni poste
risultano quelle di
c. a priori (
c. pura o trascendentale),
proveniente da idee già presenti, innate nel soggetto, e
c. a
posteriori, proveniente dall'esperienza stessa. Il problema della
c.,
variamente interpretato, è presente in tutte le scuole filosofiche come
uno dei problemi fondamentali, senza di cui la filosofia stessa, quale
attività del pensiero alla ricerca della verità, non avrebbe
senso. Sia la tradizione orientale che quella classica greca, nel loro disprezzo
per l'attività pratica, riconoscevano la piena dignità del
conoscere solo all'attività teoretica, come massimo grado della
conoscenza. Nel pensiero moderno il problema della
c. si pone su basi in
cui la ricerca teorica e attività pratica si completano a vicenda e sono
entrambe indispensabili per pervenire a una
c. che non è pura
contemplazione, ma anche azione volta a modificare la realtà. Nel
pensiero contemporaneo il problema conoscitivo viene affrontato al di fuori di
schemi precostituiti e si affida prevalentemente ai dati positivi
dell'osservazione sperimentale. Secondo le concezioni "fisiche" più
antiche (atomismo di Democrito, edonismo dei Cirenaici, epicureismo, ecc.),
l'ambito della nostra
c. fissato nelle parole si estende non oltre i
limiti delle nostre effettive esperienze sensoriali. I sofisti negano la
possibilità di pervenire alla
c. e Gorgia di Leontini (V sec.
a.C.), con logica spietata, sviluppò le tre proposizioni: "nulla esiste;
se qualche cosa esiste è inconoscibile; se anche esiste ed è
conoscibile non può venire comunicato direttamente ad altri". Socrate si
servì del metodo induttivo non tanto per raggiungere una
c.
definitiva e sicura, quanto per mettere in chiaro i problemi morali. Egli pose
l'ideale della vita in una continua ricerca che non si adagia mai sui risultati
raggiunti, e famosa rimane la sua esortazione a conoscere se stessi. Il
socratico "conosci te stesso" è un invito a prendere atto dei propri
limiti, della parzialità del proprio sapere e del proprio essere, e non
ad adagiarsi nella contemplazione interiore, trascurando di operare
costruttivamente nel mondo circostante. Platone distingue quattro gradi del
conoscere, ai quali corrispondono quattro gradi di realtà, alla cui
sommità si colloca la
c. assoluta del bene. Come reazione al
movimento socratico, lo scetticismo greco, attraverso Pirrone (365-275 a.C.),
sostenne che la
c. non poteva né cogliere la natura delle cose,
né offrire una regola di condotta, da cui l'esaltazione di stati quali
l'
afasia (sospensione di ogni giudizio) e l'
atarassia (serena
indifferenza del saggio). Lo stoicismo non si discostò molto dalla
concezione epicurea e, nella determinazione dei gradi della
c.,
affermò che il conoscere comincia con la
sensazione, che è
impressione dell'oggetto sull'anima: quando scompare la sensazione, si
hanno la
rappresentazione e il ricordo; quando si generano molti ricordi
della stessa specie, si ha l'
esperienza da cui deriva il sapere
intellettivo o
scienza, che è connessione organica di concetti. In
età medioevale il problema della
c. fu al centro della disputa
svoltasi nell'XI e XII sec. sugli
universali (nozioni di generi e specie
rispetto alla realtà) che fu impostata sull'interpretazione delle
categorie di Aristotele. Sottintendendo che la
c. dev'essere lo
specchio fedele del reale, venne posto il problema se vera
c. doveva
esser considerata quella fondata sull'
intuizione intellettiva
dell'universale o quella fondata sull'
intuizione sensibile
dell'individuale. Il problema della
c. fu affrontato da pensatori come
Giovanni di Salisbury (1110-1180) che, pur collocandosi nell'ambito della
scolastica, ebbe grandi interessi critico-culturali. Egli sostenne che, data la
consapevolezza che abbiamo della nostra ignoranza, dobbiamo dubitare di tutte le
questioni in cui né i sensi, né la ragione, né la fede
possono esserci di guida sicura. Secondo Giovanni, è l'ignoranza che
porta al dogmatismo e quanto più ampia è la
c., tanto
più profonda è la libertà dello spirito e più vigile
il suo senso critico. Affrontando il problema della
c., Tommaso d'Aquino
mette in rilievo l'elemento intellettuale, ma riconosce i limiti della
c., considerando che, mentre la ragione conduce al "vedere", la fede non
ha per oggetto qualcosa che sia accessibile ai sensi e all'intelletto. Una netta
distinzione tra l'ambito della fede e quello della
c. razionale venne
operata da Giovanni Duns Scoto che trattò ampiamente il problema della
c. in rapporto alla fede. Solo in quest'ultima egli vede la garanzia
della libertà e dell'iniziativa umana. Più di Duns Scoto,
Guglielmo d'Occam rappresentò la fase critica del distacco del mondo
della fede di quello della ricerca razionale, considerando l'esperienza come la
forma perfetta della conoscenza intuitiva. La natura come oggetto
dell'esperienza sensibile è il dominio tipico della conoscenza umana e
dell'esistenza di una cosa si può parlare solo con riferimento alla
c. intuitiva di essa. Pertanto, dato che l'unica
c. possibile
è l'esperienza e unica realtà conoscibile è quella
manifestata dall'esperienza, la fede risulta radicalmente eterogenea rispetto
alla
c.: né di Dio né della realtà soprannaturale si
può avere una
c. intuitiva. Per T. Campanella, conoscere significa
sentire, ma egli distingue due specie di senso:
sensus inditus
(autocoscienza, senso interno) e
sensus additus (percezione, senso
esterno). Essendo l'uomo un microcosmo nella cui mente si raccoglie la
totalità dell'
essere, ossia di ciò che è universale,
la
c. della propria natura equivale per l'uomo alla
c. della
realtà nella sua totalità. L'evidenza razionale e l'ideale
matematico della
c. si affermano con R. Descartes (Cartesio), fondatore
del razionalismo moderno. La concezione cartesiana fu avversata dalle correnti
di pensiero spiritualiste. Secondo B. Pascal, che distingue tre ordini
spirituali, il mondo della
c. scientifica di cui Cartesio è il
più autorevole rappresentante, riguarda soltanto il mondo materiale e il
suo metodo è l'
esprit de géometrie. Per quanto rigoroso,
questo sapere ci lascia ignoranti sul nostro destino supremo. Spinoza distingue
tre forme di
c.: 1)
c. per immagini, che è inadeguata in
quanto ci fornisce solo immagini e opinioni; 2)
c. razionale, che forma i
concetti per deduzione delle cause e non per immagini; 3)
c. intuitiva,
mediante la quale si ha la
c. della sostanza prima, ossia di Dio. J.
Locke distingue un'
esperienza esterna (sensazione) e un'
esperienza
interna (riflessione) quali uniche fonti della nostra
c. Se
l'esperienza esterna ci offre gli elementi primi del conoscere (colori, suoni,
sapori, ecc.), l'intelletto, mediante una serie di operazioni sue proprie
(astrazioni, comparazioni, ecc.), e valendosi del materiale sensibile, formula
le idee complesse. L'empirismo di Locke diviene metodologico con G. Berkeley
secondo cui il fenomeno primo della
c. è la percezione, che
costituisce la relazione originaria tra il soggetto e l'oggetto. Anche per D.
Hume, la
c. umana parte dalle impressioni sensoriali e si risolve in
esse. Kant tenta di spiegare la
c. partendo dal presupposto che gli
oggetti sono formati dalla nostra facoltà di sentire. Egli però
rileva che la stessa sensibilità non è pura ricettività, ma
una costruzione mediante forma
a priori. La validità scientifica
della
c. non può trovarsi nella sola adesione a un'esperienza
esterna che è necessariamente contingente, ma in un principio costitutivo
dell'esperienza, ad essa anteriore. Pertanto, secondo la concezione kantiana,
qualunque ordine scientifico l'uomo trovi nella natura, è opera
dell'attività del suo conoscere e la realtà in sé non
può essere un oggetto della
c. essendo questa formata dalla nostra
coscienza. Tali conclusioni divennero la base costitutiva dei problemi trattati
dai neocriticisti. Così W. Wundt giunge a considerare gli elementi della
c. (
Erlebnis) come processi psichici anteriori. In opposizione
all'idealismo, l'indirizzo filosofico contemporaneo, che si richiama al
realismo, concepisce il conoscere come riconoscimento e accettazione di elementi
estranei al soggetto. Il problema della
c. occupa una posizione di primo
piano nel pensiero di J. Dewey, secondo cui, contrariamente a quanto vuole
l'idealismo, l'esperienza, la cui materia è data dal mondo fisico e
sociale, è antecedente al pensiero. La
c. è solo un aspetto
dell'esperienza che comprende tutte le forme di interazione di soggetto e
oggetto. Le teorie filosofiche contemporanee tendono in genere a negare
l'esistenza di una verità oggettiva che il soggetto sia in grado di
cogliere in modo definitivo e assoluto, e pertanto essa richiede sempre
ulteriori ricerche e approfondimenti.