Dir. - L'art. 317 del Cod. pen. indica come reato di
c. l'operato del pubblico ufficiale che, abusando della sua
qualità o delle sue funzioni, costringe o induce taluno a dare o a
promettere indebitamente, a lui o a un terzo, danaro o altra utilità.
È punito con la reclusione o con un'ammenda. La condanna importa
l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Non di meno, se per circostanze
attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a quello previsto
dalla legge, la condanna importa l'interdizione temporanea. Il reato di
c. presenta non poche analogie con quello di
corruzione. Vi
è corruzione quando è il privato che assume l'iniziativa nei
confronti di un pubblico ufficiale, promettendo o versando denaro per ottenere
un atto conforme o contrario ai doveri dell'ufficio. Vi è
c.
quando è il pubblico ufficiale a prendere l'iniziativa, costringendo
(
c. violenta) o inducendo (
c. implicita o
fraudolenta) il
privato a dare o a promettere un compenso non dovuto per evitare di essere
danneggiato (per es. nell'assegnazione di un appalto, per il rilascio di una
licenza, ecc.).