Stats Tweet

Comunità.

(dal latino communitas: comunanza). In senso generale, organizzazione di una collettività sul piano locale, nazionale o internazionale. Più in particolare, unione di persone che hanno comunione di vita sociale, professano la stessa fede, ecc. Nell'uso attuale, proprio della sociologia scientifica, c. viene distinta da società, sulla base della distinzione formulata da F. Tonnies che col termine "società" indica quei raggruppamenti derivati da un accordo volontario dei membri che, attraverso il vincolo associativo, intendono perseguire un interesse comune non perseguibile isolatamente. Il termine "c." viene invece riservato a quei raggruppamenti sorti dalla natura stessa (per es. famiglia), indipendentemente dalla volontà degli individui che vi partecipano. Secondo una diversa nozione, per c. deve intendersi un gruppo sociale, localizzato in un'area territoriale limitata, i cui rapporti interpersonali hanno una parte determinante. Secondo la definizione di Max Weber, il termine "c." si applica a una relazione sociale "in cui la disposizione dell'agire sociale poggia su una comune appartenenza soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) degli individui che ad essa partecipano". È così possibile distinguere vari "tipi" di c.: domestica, etnica, religiosa, di culto, di cultura, di diritto, di mensa, di sangue, di vicinato, di villaggio, ecc. Nell'ambito degli studi di antropologia sociale si parla di c. face-to-face, con riferimento a quei raggruppamenti sociali, su scala ridotta, tanto piccoli che tutti i suoi membri si conoscono direttamente. • St. - Gli studi sulla c. risalgono al pensiero classico. Aristotele, rifacendosi alla Repubblica e alle Leggi di Platone per introdurre la sua concezione dell'ottimo Stato, indica la famiglia come la specie di c. primitiva creata dai bisogni elementari: finché gli uomini si limitano a soddisfare questi bisogni vivono in famiglie staccate, sotto un governo patriarcale, ma a un certo punto sorge una c., di specie diversa, che Aristotele chiama "autosufficiente", con riferimento all'estensione territoriale, ai mezzi economici e anche alla sua indipendenza politica. Per Aristolele, tale c. autosufficiente si identifica con lo Stato. Tuttavia, avendo egli presente come modello la città-stato greca, afferma che essa non deve essere né troppo grande né troppo piccola. Tale c. allargata comprende la famiglia come uno dei suoi elementi essenziali (Platone, nel suo disegno di società comunista ne aveva invece proposto l'abolizione), ma rappresenta, rispetto a questa, un tipo di c. più sviluppata e più perfetta. Il senso comunitario è presente nel Cristianesimo delle origini, e nella letteratura cristiana dei primi secoli, il tema del rapporto uomo-c. fu largamente trattato. Sant'Ambrogio, occupandosi della condizione dell'uomo allo "stato di natura" e del successivo passaggio alla vita comune (Hexaemeron, libro V), prefigura quest'ultima come una società in cui "comune sia il lavoro, comune la dignità, e i singoli imparino a ripartirsi i compiti a vicenda e dividano tanto gli oneri dell'obbedienza quanto l'esercizio della c., e nessuno sia privo di oneri e nessuno immune dal lavoro". La trattazione più ampia e più organica si ha in Sant'Agostino, secondo cui l'uomo non ha alcun diritto d'autorità su un altro uomo e la società deve avere alla base la compositio voluntatum, l'unione dei cuori e la concentrazione degli interessi che creano i vincoli, Agostino parla di Civitas Dei con riferimento non alla Chiesa come pura struttura organizzativa su scala mondiale, ma intendendo un insieme di uomini aventi un ideale comune e uniti da un'identica volontà: i partecipanti, entrano nella vita associata, non abdicano alle loro personalità singole, non diventano gregge, ma la c. moltiplica le forze individuali. Ad Aristotele si rifà direttamente Tommaso d'Aquino la cui concezione della vita sociale e politica rientra nella sua più vasta concezione universale della natura: come tutta la natura, la società è un sistema di fini e di scopi in cui l'inferiore serve al superiore che lo dirige e lo guida. Tommaso concepisce la società come un sistema di scambi reciproci per un'armonia generale alla quale contribuiscono diversi tipi di funzioni: il contadino e l'artigiano forniscono i beni materiali, il sacerdote predica e sollecita all'osservanza della religione e ogni altro contribuisce all'armonia generale dedicandosi ai compiti che gli spettano. Il "bene comune" richiede che questo sistema abbia una parte direttiva allo stesso modo che "l'anima governa il corpo e ogni natura superiore dirige quella inferiore". Vari altri autori medievali (tra gli altri va ricordato Giovanni da Parigi) si rifanno ad Aristotele nella loro concezione della c. Particolarmente importante è la dottrina di Marsilio che fece proprio il principio aristotelico della c. autosufficiente, capace di soddisfare tanto i propri bisogni fisici quanto quelli morali. Egli però portò questo principio a una conclusione diversa da quella raggiunta da tutti gli altri aristotelici medioevali. La c. politica naturale (o autonoma) proposta da Marsilio è un tutto organico, formato da classi che includono in sé tutto ciò che è necessario alla sua esistenza e al bene dei suoi cittadini. Il benessere della c. viene inteso da Marsilio in senso puramente secolare, al di fuori di ogni sfera religiosa o spirituale. Secondo Marsilio, infatti, se i suoi cittadini hanno un "benessere spirituale", questo appartiene a un altro mondo, a un'altra vita. Pertanto Marsilio si propone di contenere l'intromissione dell'autorità spirituale negli interessi della c. autonoma. I calvinisti francesi (ugonotti) si richiamavano ai diritti delle c. locali di fronte al potere regio, riaffermando l'antica concezione che il potere politico esiste per il bene morale della c. G. Altusio diede una più completa elaborazione alla dottrina antirealista dei calvinisti francesi e, richiamandosi ad Aristotele, giunse a considerare l'associazione degli uomini in gruppi come intrinseca alla natura umana: un tacito accordo sostiene ogni associazione (consociatio corrispondente all'aristotelica c.) e con tale accordo gli individui diventano conviventi, e quindi partecipi dei beni, dei servizi e delle leggi create e mantenute dall'associazione. Il concetto di c. come raggruppamento naturale è respinto da T. Hobbes, secondo cui, seguendo la legge di natura, l'uomo cercherebbe unicamente il proprio vantaggio personale: ciascun essere umano è mosso soltanto da considerazioni che toccano la sua sicurezza e il suo potere, e gli altri esseri umani valgono per lui soltanto in questo senso. Pertanto, in assenza di potere civile, si ha "guerra di tutti contro tutti". Secondo Hobbes, dato che gli uomini sono tendenzialmente insociali, è inutile sperare che essi si accordino spontaneamente per rispettare i diritti reciproci, per cui il rispetto dei patti si può ragionevolmente sperare soltanto quando esista un governo effettivo che punisca i trasgressori "I patti senza la forza sono soltanto parole, e non possono dare a un uomo nessuna sicurezza. I vincoli della parola sono troppo deboli per imbrigliare l'ambizione, l'avarizia, la collera, e le altre passioni degli uomini, quando non ci sia il timore di un potere coercitivo". Hobbes pervenne così alla formulazione del concetto di "corporazione", affermando che non è il consenso, ma l'unione a creare una corporazione, e unione significa sottomissione della volontà di tutti alla volontà di uno: la società è una mera finzione dato che, in concreto, se non esiste un sovrano non esiste una società. L'analisi di Hobbes ha come principale risultato la dimostrazione che una c. come tale è una pura finzione, che essa non esiste se non nella cooperazione dei suoi membri e che tale cooperazione è sempre dovuta ai vantaggi che i suoi membri godono individualmente e che essa diventa una c. solo perché c'è qualcuno che esercita il potere sovrano. La dottrina di J. Locke si presenta sotto due aspetti, l'uno, derivato da R. Hooker, ammetteva una c. capace di rendere i suoi magistrati moralmente responsabili; l'altro, derivato da Hobbes, ammetteva solo gli individui e i loro interessi privati. In Locke questi due aspetti sono uniti dall'ipotesi che un atto della c. sia costituito dall'accordo della maggioranza dei suoi membri. In ogni modo per Locke, come per Hobbes, la c. è essenzialmente utilitaria: non rappresenta un valore in sé, pur proteggendo i valori, si fonda sull'egoismo universale e contribuisce all'interesse, al benessere e alla sicurezza dei suoi membri. Da questa concezione individualistica si staccò nettamente J. J. Rousseau che derivò dalla filosofia della città-stato di Platone il presupposto che la c., intesa come entità circoscritta, città-stato, rappresenti il massimo grado di moralità. Secondo Rousseau, tutti i diritti, compreso quello di proprietà, sono diritti nell'ambito della c. e non contro di essa: una forma di associazione capace di proteggere e di difendere "con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e in cui ciascuno, pur unendosi a tutti, può ancora obbedire soltanto a se stesso". Molto interessante è la posizione idealistico-liberale di T. H. Green che pose alla base della propria concezione etica la reciprocità di rapporto tra l'individuo e la c. sociale: "la persona è una persona sociale". Secondo il Green, la più alta forma di c. è quella in cui l'eguale è associato con l'eguale e in cui il legame comune è costituito dalla fedeltà dei membri al gruppo e alle sue istanze. Far parte di tale gruppo, condividerne il lavoro e avere in esso parte attiva è la condizione per raggiungere una piena personalità e, nello stesso tempo, la massima soddisfazione possibile. Green, come già Kant, considera una c. di persone come un "regno di fini", in cui ciascuno è trattato come un fine e non puramente come un mezzo, dato che non è possibile realizzare la massima felicità per il massimo numero, se non in una forma in cui tutti possano prenderne parte. Dal punto di vista di Green, una c. morale è quella in cui l'individuo limita le proprie istanze di libertà alla luce di interessi sociali generali e in cui la c. stessa difenda le sue istanze perché il benessere generale può essere attuato solo attraverso la sua iniziativa e libertà. Alla concezione "liberalistica" di una società in cui si suppone che l'economia si regoli automaticamente, attraverso le operazioni di mercato e in cui i rapporti umani sono concepiti in termini di prezzo, Marx contrappone il disegno di una economia pianificata e totalmente umanizzata: "un'associazione di individui liberi che lavorano con mezzi di produzione posseduti in comune, e che usa scientemente delle sue varie capacità di lavoro come di una capacità di lavoro sociale combinato". ║ L'esperienza comunitaria. L'esperienza comunitaria rientra nell'ambito delle utopie antiche e moderne. Al di fuori dello schema utopistico e integralistico si collocano gli esperimenti comunitari sviluppatisi nel nostro secolo, che sono in genere di tipo cooperativo e si inseriscono in una tipologia generale delle forme di vita e di lavoro in comune. Le varie esperienze comunitarie si presentano in genere come organismi in cui la proprietà e gestione appartengono a tutti i membri della c., fondata su forme di vita semicomuni e semiprivate. Pur nelle loro diverse forme e origini, le esperienze comunitarie che si sono andate sviluppando hanno in comune il conseguimento di una maggiore solidarietà, di una coordinazione razionale e organica di sforzi, e si contrappongono a ciò che è puramente economico-utilitaristico, egoistico e individualistico. Tendono inoltre al miglioramento spirituale degli associati, all'autogoverno, alla promozione del senso di responsabilità. Le esperienze comunitarie europee più antiche si ricollegano in genere a gruppi religiosi dissidenti, ai quali fa capo il grande focolaio di esperienze comunitarie dell'America del N a partire dal XVII sec. L'esperienza comunitaria di tipo cooperativistico risale ai "pionieri di Rochdale" i cui principi: adesione volontaria, uguaglianza dei membri, perseguimento d'interessi comuni, costituiscono la base del cooperativismo inglese. A grandi linee, le forme cooperativo-comunitarie sviluppatesi nell'ultimo secolo possono distinguersi in tre tipi fondamentali: quelle volte all'attuazione del comunismo marxista (es. Kolchoz russi e comuni del popolo cinesi); quelle promosse da una concezione generica di miglioramento e di progresso (communautés de travail francesi; ejidos messicani); quelle ispirate a principi religiosi, come per es. gli shakers americani. Gli ejidos messicani sono le istituzioni cooperativo-comunitarie più antiche, dato che hanno già una tradizione di alcuni secoli. Essi hanno però avuto una nuova ristrutturazione e un nuovo sottofondo dottrinario, scaturito dalla volontà dei peones di affermare la propria libertà contro lo sfruttamento dei grandi proprietari terrieri. Gli shakers americani, oggi praticamente estinti, nacquero da un'istanza religiosa. La loro origine è infatti quella di una setta fondata nel 1742 da Ann Lee, un'operaia di Manchester che emigrò in America nel 1744, dove fondò queste forme comunitarie adottando sistemi simili a quelli praticati dai quaccheri. I kolchoz sovietici sorsero in seguito alla rivoluzione del 1917, avendo come scopo il massimo livello di produttività e la razionale distribuzione del prodotto, sotto il controllo dello Stato. Le communautés de travail sono istituzioni sorte in Francia all'inizio del secolo per iniziativa di gruppi proletari, intenzionati a migliorare la propria condizione sul piano economico e morale. Gli statuti assicurano l'indivisibilità della proprietà che non può essere alienata né ripartita in altro modo, poiché nessun membro deve avere un'influenza superiore a quella degli altri. Nonostante queste norme statutarie, l'egualitarismo è andato gradualmente scomparendo e in particolare sono andati manifestandosi e accentuandosi gli squilibri tra gli amministratori responsabili e gli amministrati. I kibbutzim israeliani, sorti col compito di costituire il foyer national del popolo israeliano e per organizzare una struttura agraria adatta allo scopo, hanno come base ideologica, da un lato, il concetto messianico del ritorno alla terra, dall'altro l'ideologia marxista di cui furono portatori soprattutto gli ebrei provenienti dall'URSS. Anche in questo tipo di c. l'equilibrio iniziale è stato turbato dall'emergere di gruppi egemoni. Le comuni del popolo cinese furono istituite nel 1958, l'anno in cui fu lanciata la politica del "grande balzo in avanti", e con esse si intendeva accelerare il ritmo delle trasformazioni economico-sociali e sfruttare al massimo i mezzi di produzione. ║ C. terapeutica. Istituto per la cura di malattie fisiche e psichiche, in particolare per il recupero di tossicodipendenti attraverso le attività e la vita in comunità. In Italia le più importanti sono quella fondata da Vincenzo Muccioli a San Patrignano, e quella di Don Picchi.