(dal greco
kólla: colla;
eidos: forma).
Chim. - Sostanza che a contatto con una fase liquida acquosa od organica vi si
disperde omogeneamente sotto forma di minuscole goccioline o di particelle
solide costituendo un sistema fisico a due fasi (
stato colloidale). Hanno
carattere di
c. il plasma sanguigno e altri liquidi circolanti nei
tessuti animali e vegetali, il siero di latte, la cloroplastina, l'amido, la
cellulosa e i suoi derivati la gomma, la seta naturale e artificiale, ecc. La
chimica dei
c. ha origine con gli studi di F. Selmi, il quale nel 1849
distinse le soluzioni in soluzioni vere e pseudo soluzioni, indicando con le
prime sistemi monofasici in cui le molecole del soluto si disperdono
uniformemente nel solvente. Nelle pseudo soluzioni invece, le particelle
disperse, chiamate dal Selmi "micelle", hanno dimensioni relativamente grandi e
si formano per aggregazione di un numero variabile di molecole. Circa un
decennio più tardi il fisico T. Gaham, distinguendo i soluti in base alla
velocità di dispersione nel solvente, chiamò "cristalloidi" i
composti che si diffondono rapidamente e che si possono separare dalla soluzione
sotto forma di cristalli; diede invece il nome di
c. alle sostanze che si
diffondono più lentamente nel solvente e che da esso si separano allo
stato amorfo, analogamente alla colla, e che inoltre non presentano il fenomeno
di dialisi. Oggi è noto che la capacità di cristallizzazione non
è un criterio distintivo valido nei soluti, in quanto molte sostanze
possono comportarsi sia da cristalloidi sia da
c. in rapporto alla natura
del mezzo disperdente e ad altri fattori. D'altra parte l'attitudine a formare
soluzioni o pseudosoluzioni è legata non alla natura chimica del composto
ma alla grandezza delle particelle disperse, cioè al numero di atomi e di
molecole che le compongono. Si distinguono pertanto soluzioni vere in cui le
particelle disperse sono composte al massimo da 10 atomi e non sono
evidenziabili al microscopio elettronico (amicroni); soluzioni o dispersioni
colloidali (i
c. in senso stretto), con particelle formate da 10-10
atomi, risolvibili al microscopio elettronico; dispersioni grossolane di solidi
in fase liquida (sospensioni) o di liquidi in liquidi (emulsioni), in cui le
particelle disperse sono di dimensioni tali da risultare visibili al microscopio
ordinario. Generalmente si definiscono "sistemi monodispersi" quelli formati da
particelle tutte uguali tra loro e "sistemi polidispersi" quelli costituiti da
una fase dispersa eterogenea, cioè da particelle di dimensioni o di
natura chimica differenti. Nell'ambito delle soluzioni colloidali si riconoscono
tre diverse categorie di
c.: molecolari, micellari e
metallici.
Nei
c. molecolari o eucolloidi la fase dispersa è costituita da
polimeri di elevato peso molecolare, i quali derivano dalla condensazione di
molecole tutte eguali tra loro (omopolimeri, come l'amido, la cellulosa, il
glicogeno, l'acido silicico), oppure sono formati da molecole differenti
(eteropolimeri, come le proteine animali e vegetali). Tra i
c. molecolari
sono pure compresi numerosi polimeri sintetici (polistiroli, poliacroleine,
plibutadiene, ecc.). I saponi, molti coloranti organici, sostanze inorganiche,
quali il pentossido di vanandio e l'idrossido di ferro, sono esempi di
c.
micellari. Questi hanno la proprietà di formare sistemi polidispersi in
cui la grandezza delle micelle varia con la temperatura e la concentrazione del
mezzo. Nei
c. metallici invece la fase dispersa è formata da
cristalli, i quali, pur avendo dimensioni ultramicroniche, formano soluzioni
colloidali per la speciale struttura del loro reticolo atomico. I
c. che
hanno elevata affinità per il mezzo disperdente sono definiti
liofili; si dicono
liofobi nel caso opposto, Sono liofili i
c. molecolari, liofobi gran parte dei
c. micellari e dei
c.
metallici. In una soluzione colloidale le particelle liofile si rivestono di uno
strato di molecole della fase disperdente le quali sono orientate tutte nello
stesso senso e presentano movimenti oscillatori e vibratori sincroni. La
formazione di tali complessi è detta
solvatazione o
idratazione nel caso che la fase disperdente sia l'acqua. Le sostanze
atte a formare
c., poste a contatto con il mezzo disperdente, lo
assorbono per gradi e si rigonfiano progressivamente, formando la soluzione
colloidale solo quando la diluizione della fase dispersa ha superato un valore
limite. Nel sistema bifasico colloidale si passa attraverso vari stati intermedi
prima di ottenere la sostanza allo stato solido. Tale fenomeno manca nelle
soluzioni vere, in cui si passa dalla cristallizzazione alla soluzione senza
alcuna fase intermedia. I
c. si dicono
reversibili quando formano
soluzioni colloidali ogni qualvolta vengano posti a contatto con il solvente; si
dicono invece
irreversibili se perdono la capacità di formare la
soluzione colloidale una volta separati allo stato solido per evaporazione del
solvente. Le particelle di una soluzione colloidale rifrangono la luce in tutte
le direzioni, per cui la soluzione, attraversata da un raggio di luce, mostra
una luminosità diffusa (fenomeno Tyndall) quando venga esaminata
perpendicolarmente alla direzione del raggio mediante l'ultramicroscopio.
L'immagine ultramicroscopica di un sistema colloidale è comparabile ad
uno sciame di corpuscoli luminosi in un campo oscuro. L'agitazione termica delle
molecole disperse fa apparire tali corpuscoli in costante movimento vibratorio
(moti browniani). Si ritiene che i movimenti browniani e l'energia trasmessa ai
corpuscoli dispersi dalle molecole del solvente impediscano la sedimentazione
delle particelle colloidali, controbilanciando l'effetto esercitato su di esse
dalla forza di gravità. I sistemi colloidali sono relativamente poco
stabili per cui è facile separare la fase disperdente da quella dispersa.
La coagulazione e la fiocculazione dei
c. si hanno talora spontaneamente,
per l'invecchiamento della soluzione colloidale, oppure sono prodotte
dall'azione di elettroliti e dalle basse o alte temperature, da forti pressioni,
dall'agitazione meccanica, ecc. Esistono tuttavia alcune sostanze, dette
c.
protettori, come la gelatina, le gomme, l'amido, gli idrolisati proteici, i
saponi, le destrine, ecc. che hanno la proprietà di aumentare la
stabilità delle soluzioni colloidali; il potere stabilizzante di un
qualsiasi
c. protettore viene espresso mediante il cosiddetto "indice di
oro", che definisce la quantità di sostanza protettiva necessaria per
impedire la coagulazione di una soluzione di oro colloidale trattata con cloruro
sodico. Per effetto di vari agenti chimici fisici o biologici (per esempio
enzimi) le soluzioni colloidali possono gelificare, cioè trasformarsi in
masse solide apparentemente omogenee ed elastiche (
gel). Ciò
è quanto avviene per esempio per il raffreddamento di una soluzione di
gelatina o di agar oppure per riscaldamento dell'albume d'uovo. Per molti
c. la gelificazione è reversibile, per cui con mezzi opportuni si
può ottenere ancora la soluzione colloidale in seguito a fluidificazione
del gel; in altri casi il fenomeno è irreversibile. Gli idrogel
trattengono forti quantità di acqua che a volte non può essere
sottratta anche esercitando elevate pressioni. Alcuni gel macromolecolari
fluidificano in seguito ad agitazione e per effetto delle vibrazioni.
• Biol. - Le sostanze proteiche formano spesso
soluzioni vere nei veicoli acquosi; tuttavia le proteine del protoplasma, per le
loro dimensioni molecolari, per la struttura specifica e per le speciali
caratteristiche del mezzo disperdente, si comportano come
c. (
c.
protoplasmatici o
proteici). Poiché la maggior parte del peso
secco cellulare è costituito da protidi, si comprende come la loro natura
colloidale influisca profondamente sulle proprietà fisiche delle cellule.
Nella classica teoria enunciata da Frey-Wissling nel 1936 la materia vivente
è assimilata a una dispersione in acqua di
c. macromolecolari, con
possibilità di passaggio reversibile dallo stato di
sol allo stato
di
gel. Detti
c. sono catene proteiche che possono organizzarsi in
un fine reticolo tridimensionale, unendosi nei punti di incrocio con legami
più o meno stabili. Alle molecole proteiche sono ancorate sostanze di
natura diversa (enzimi, cofattori, lipidi, metaboliti) la cui funzione è
essenzialmente legata ai processi del metabolismo cellulare, ma che in
determinate circostanze possono esercitare sensibili influenze sulla stessa
organizzazione reticolare dei
c. protoplasmatici. Nel sistema colloidale
polidisperso che costituisce la struttura portante del protoplasma, vi sono sali
inorganici, amminoacidi, zuccheri semplici o complessi, piccole molecole, ecc.
sostanze fisicamente disciolte nella fase acquosa e quindi determinanti una
seconda condizione fisica della materia vivente. I
c. protoplasmatici
sono altamente liofili e hanno forte tendenza ad associarsi alle molecole di
acqua della fase disperdente mediante legami di idrogeno e forze di Van der
Waals (solvatazione). Tale fenomeno ha notevole importanza in quanto garantisce
la stabilità del sistema colloidale protoplasmatico e ne permette la
trasformazione reversibile dallo stato di sol a quello di gel. Allo stato di gel
le proteine strutturali del protoplasma sono saldate l'un l'altra e formano un
esile reticolo tridimensionale nel mezzo disperdente, cosicché ambedue le
fasi possono considerarsi continue. Il gel protoplasmatico è semisolido,
altamente viscoso ed elastico; in seguito a fluidificazione passa allo stato di
sol, condizione nella quale, secondo la teoria di Frey-Wissling, le
macromolecole del reticolo si separano, e si disperdono individualmente in
maniera omogenea, nel mezzo acquoso. La trasformazione dei
c. cellulari
da una condizione fisica all'altra non avviene casualmente, ma è legata a
precise situazioni chimiche, fisiche e metaboliche; particolare importanza hanno
a tale proposito la temperatura, la pressione, l'osmolarità, il pH, la
concentrazione degli elettroliti, il livello energetico del sistema e, in ultima
analisi, il grado di attività della cellula. In generale nei sistemi
biologica basso livello energetico le macromolecole proteiche hanno tendenza ad
aggregarsi e a formare quindi dei gel; al contrario, nei sistemi attivi o per
effetto di adeguati stimoli meccanici, termici, elettrici od osmotici i legami
intermolecolari tendono a scindersi e il sistema passa allo stato semifluido di
sol. In normali condizioni metaboliche le differenti parti del protoplasma
cellulare non sono tutte ugualmente attive e presentano nette differenze di
fluidità; per esempio la sostanza citoplasmatica più prossima alla
membrana-limite della cellula (ectoplasma) ha una maggiore tendenza alla
gelificazione dell'endoplasma, cioè del materiale situato più
internamente. Le più recenti ricerche sulla struttura del protoplasma
hanno evidenziato il limiti della teoria sullo stato colloidale della materia
vivente, pur restando essa accettabile nelle sue linee generali. In
realtà già nel passato si conoscevano alcune delle differenze
esistenti fra i
c. artificiali e quelli protoplasmatici; era noto, per
esempio, che la materia vivente all'esame ultramicroscopico non presenta
particelle con movimenti di tipo browniano: essa è inoltre trasparente ai
raggi luminosi acquistando la tipica birifrangenza dei veri
c. naturali o
artificiali solo quando viene distesa in fili sottili. Tali fenomeni sono dovuti
al fatto che i
c. cellulari sono proteine con gruppi funzionali
dissociabili in un mezzo acquoso in cationi e anioni. Questi gruppi polari hanno
la proprietà di orientare intorno a sé le molecole d'acqua nella
fase disperdente e in quella dispersa e nel contempo inibiscono i movimenti
oscillatori delle particelle di quest'ultima. Alla luce delle moderne conoscenze
l'ipotesi che un reticolo macromolecolare possa reversibilmente trasformarsi in
un sistema di particelle indipendenti si concilia poco con alcuni aspetti
essenziali della fisiologia cellulare, come la regolarità di svolgimento
dei processi metabolici e la distribuzione compartimentale del lavoro nelle
cellule. D'altra parte la materia vivente non può essere configurata come
uno specifico sistema fisico ma piuttosto come un'organizzazione complessa di
cui lo stato colloidale di alcuni componenti rappresenta soltanto un aspetto
particolare. Mediante diffrazione dei raggi X sono stati evidenziati nel
protoplasma elementi la cui condizione fisica si avvicina allo stato solido o
paracristallino.