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Clan.

Termine di uso prevalentemente etnologico, derivato dal gaelico clann (discendenza, famiglia, tribù), usato per indicare un gruppo sociale intermedio fra la famiglia e la tribù cioè un gruppo più o meno numeroso di individui (in genere alcune centinaia), legati tra loro da vincoli di discendenza da un comune progenitore, venerato come figura mitica. Nelle società primitive, la cui struttura più importante è la discendenza patrilineare, l'unità della stirpe è profondamente sentita e i discendenti si riconoscono in una linea di varie generazioni, da un massimo di quindici, com'è il caso dei Tallensi del Chana, a un minimo di cinque. I discendenti non ammettono che siano esistiti altri antenati, in quanto il loro nome è stato dimenticato o la loro linea di discendenza non è più rintracciabile oltre il limite contrassegnato dell'antenato riconosciuto come capostipite. Di solito si crede che l'antenato capostipite, in genere descritto miticamente come scaturito dal nulla o proveniente con le sue genti da altri paesi, abbia avuto un certo numero di figli, ciascuno divenuto a sua volta progenitore di un gruppo gentilizio. In tal modo, riconoscendo un unico capostipite, il numero dei c. rimane generalmente costante; mentre le stirpi e le famiglie si scindono costantemente. Il fatto di appartenere a un determinato c. impone dei doveri verso il proprio progenitore e la necessità di sottostare a certi divieti, tra cui quello di mangiare un determinato cibo o la carne di certi animali. I membri di un c. sono tenuti infatti a rispettare, almeno entro certi limiti, i propri totem ai quali sono appunto legati da vincoli di parentela. Non possono recare loro alcun danno, non ucciderli né cibarsi di loro quando si tratta di specie di animali o vegetali, simboleggianti il comune progenitore. A questo proposito, particolarmente interessante è la teoria esposta da Freud nell'opera Totem e Tabù, secondo cui il rituale tabuico è la traduzione simbolica del complesso di Edipo, ipotizzando una ribellione dei figli al padre, capo dell'orda primitiva, che sarebbe stato ucciso e mangiato. Ne sarebbe derivato un senso di colpa che porta all'autoimposizione dell'esogamia, cioè in essi vige la proibizione di contrarre matrimonio tra i membri di un gruppo di discendenza, così da estendere il divieto dell'incesto a tutti gli appartenenti a un c., in quanto "parenti", anche se tra i membri di uno stesso c. non esistono legami effettivi di parentela, almeno nel significato che diamo noi al termine.