(dal latino
census). Istituzione ordinata da Servio
Tullio, avente per oggetto l'enumerazione degli abitanti e l'estimo dei loro
beni. Il
c. aveva luogo ogni cinque anni nel Campo Marzio: ogni cittadino
aveva l'obbligo di comparirvi dichiarando con giuramento il nome e l'età
di se stesso, della moglie, dei figli, degli schiavi e dei liberti se ne aveva,
la propria residenza e il valore dei beni di cui era proprietario. Una falsa
dichiarazione era punita con la confisca del patrimonio e il colpevole,
frustato, era poi venduto come schiavo. Secondo il valore, che nel
c. si
dava alle sostanze di ciascuno, i cittadini erano divisi in sei
classi
che a loro volta si ripartivano in centurie. ║ Per estens. -
Capacità di contribuire e quindi vale come rendita, patrimonio, entrata.
Con questo significato il
c. è stato a lungo una discriminante
politica, determinando il diritto di voto e alcuni altri diritti politici.
• Dir. can. - In epoca medioevale molti
monasteri, per allentare la sorveglianza dei vescovi e al tempo stesso mantenere
la protezione che la sede vescovile forniva loro, accettarono di pagare una
piccola somma, il
c. cattedratico, che stava ad indicare il
riconoscimento dei diritti del Vaticano a cui i monasteri avevano fatto atto di
donazione (la «donazione a S. Pietro»), legandosi così
direttamente alla Santa Sede e allentando il legame con la sede
vescovile.