Fatto o avvenimento che provoca un determinato effetto, che
è origine o occasione di un altro fatto. ║ Ciò che si
presuppone perché una cosa possa avvenire; motivo, ragione.
• Dir. - Ragione economico-sociale del negozio
giuridico. Controversia portata davanti all'autorità giudiziaria. ║
Per estens. - Lite, questione ║ Insieme di diritti e di interessi per il
cui trionfo si lotta. • Stat. - Circostanze che
accompagnano un fenomeno. • Gramm. -
Complemento di c.: spiega il motivo, la ragione per cui si compie o
svolge un'azione. ║
Complemento di c. efficiente: indica la cosa,
il fatto da cui è provocata l'azione subita dal soggetto di una
proposizione passiva. • Filos. - Già in
Aristotele il principio di
c. viene posto come fondamento del sapere:
"diciamo di sapere una cosa quando pensiamo di conoscerne la prima
c.".
Aristotele distingue tra quattro tipi di
c.: materiale, formale,
efficiente, finale. Ogni prodotto dell'arte e della natura presuppone infatti
una materia (per es. il marmo di cui è fatta una statua:
c.
materiale); un'idea (il modello di statua come è venuto
configurandosi nella mente dello scultore;
c. formale); uno strumento (il
lavoro dello scultore;
c. efficiente); un fine che consente di passare
all'atto (la formazione completa della statua:
c. finale). Aristotele
presuppone però una
c. prima, che viene a coincidere con l'idea di
Dio. In Sant'Agostino questa
c. prima diviene
c. esemplare e
Tommaso d'Aquino definisce Dio
causa causarum incausata. La dottrina
aristotelica della causalità fu sottoposta a critica radicale da parte di
vari pensatori medioevali. In particolare G. Ockham negava la possibilità
di una relazione anteriore all'esperienza tra
c. ed effetto, e questa sua
negazione fu approfondita da N. d'Autrecourt secondo cui: o
c. ed effetto
costituiscono un tutto unico e perciò è impossibile distinguerli
tra loro, oppure l'effetto è tutt'altra cosa dalla
c., e quindi
è impossibile passare dall'una all'altra per negarla o affermarla. Quando
per mezzo dell'esperienza sensibile si constata il rapporto tra due fenomeni, si
ha una conoscenza diretta e sicura del rapporto di
c.. Tale certezza
però ha la stessa durata dell'esperienza sensibile, per cui, quando cessa
questa, viene a mancare anche la certezza del legame di
c. ed effetto.
Assumendo il punto di vista di Copernico per cui, muovendo dall'esperienza
elementare, si conclude che tutte le nostre valutazioni circa le dimensioni
spaziali e temporali sono relative, G. Bruno giunge ad affermare, in sede
teologica che a Dio,
c. infinita, deve necessariamente corrispondere un
effetto infinito. La critica di N. d'Autrecourt al rapporto di
c.
ed effetto ricevette una più rigorosa sistemazione da parte di D. Hume,
secondo cui la relazione
c. effetto non può in nessun caso essere
conosciuta
a priori, ma soltanto mediante l'esperienza. Questa è
in grado di darci elementi per una spiegazione degli avvenimenti passati, ma
è assolutamente impotente quando si tratta degli eventi futuri. Pertanto,
dall'esperienza non può derivare una conferma dell'ipotesi che a
c. simili debbano seguire effetti simili. In opposizione a Hume, Kant
svolse una critica che lo portò a considerare la
c. come una
categoria dell'intelletto. Secondo la concezione kantiana, l'ordine
causale non è una caratteristica della realtà in sé, ma
soltanto una forma imposta dal nostro spirito ai fenomeni. Rifacendosi a Kant,
J. Locke limita l'ambito della conoscenza possibile alle idee presenti nella
mente e provenienti dall'esperienza. Egli però distingue l'
essenza
naturale (conoscibile) dall'
essenza reale (inconoscibile) e ammette
una sostanza esterna quale
c. delle sensazioni, riconoscendo al pensiero
la possibilità di mostrare, mediante il
principio di
causalità, l'esistenza di Dio. Un ritorno alla concezione dello Hume
si ha col positivismo: J. Stuart Mill si rifà a tale concezione quando
definisce la
c. "l'antecedente invariabile e incondizionato di un
fenomeno". A. Comte nel suo
Corso di filosofia positiva (1835) pone una
netta contrapposizione tra
c. (quale entità fittizia e astratta
propria delle metafisica) e
legge (relazione precisa tra fenomeni,
propria della scienza). Pertanto, gli "studi reali sono strettamente
circoscritti all'analisi dei fenomeni per scoprire le loro leggi effettive,
cioè le loro relazioni costanti di successione o di somiglianza che non
possono affatto riguardare la loro natura intima, né la loro
c.
iniziale o finale che sia". Il positivismo successivo, pur rifacendosi come
quello classico alla concezione di Hume, non ha mancato di rilevare le molte
difficoltà che implica una chiara definizione del concetto di
c.
Di questo si è particolarmente occupato H. Reichenbach, secondo cui
è possibile "riscontrare empiricamente l'affermazione causale" e sulla
base dell'osservazione è possible "decidere con probabilità se la
causalità vale". Sul problema della
c., strettamente unito ai
problemi della probabilità e dell'induzione, si sono soffermati
soprattutto gli appartenenti a quelle correnti di pensiero che si richiamano
all'empirismo e al positivismo, seguendo un lavoro di metodologia della scienza.
Si ricordano in particolare: B. Russel, R. Carnap, M. Schlick, C. G. Hempel.
Secondo quest'ultimo, una spiegazione consiste nel porre in relazione un
determinato evento con un altro evento che viene detto sua condizione o
c. Un evento è spiegato quando si fa riferimento a un altro evento
appartenente a un "tipo" che nelle precedenti esperienze è sempre stato
visto collegato al "tipo" di evento che deve essere spiegato. Per tanto, si
assume come regola generale (o ipotesi) quella secondo cui, data la presenza di
certe condizioni iniziali, si verificheranno eventi simili a quello che deve
essere spiegato. v. anche
Causalità.