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Cattolicèsimo.

(o cattolicismo). Professione di fede religiosa cattolica. Il c. comprende credenze, dogmi, dottrine, istituzioni e pratiche di culto che fanno capo alla Chiesa cattolica apostolica romana, soggetta all'autorità del pontefice. Altre confessioni, pur derivando dai principi cristiani, si distinguono dalla Chiesa cattolica e hanno un complesso di dottrine e di ordinamenti diversi. Secondo il c. la Chiesa è stata fondata da Gesù Cristo. A capo di questa "società visibile" ha posto Pietro, al quale sono succeduti i papi, che ne hanno ereditato l'autorità e le funzioni. Sottoposti al primato del pontefice sono i vescovi, capi delle Chiese locali (diocesi), che a loro volta delegano certi poteri ai sacerdoti. Questi ultimi, consacrati attraverso il sacramento dell'ordine, hanno il compito di portare la parola di Cristo al popolo laico e di farlo entrare nella comunità cristiana attraverso il battesimo. Secondo il c. la Chiesa è depositaria e interprete della verità rivelata, cioè quella espressa dall'Antico e dal Nuovo Testamento (Sacre Scritture) e dalla tradizione, che gode della medesima autorità della Bibbia. Rifacendosi a questi due fondamenti, Sacre Scritture e tradizione, la Chiesa cattolica ha creato il suo complesso dottrinario e ha definito i propri dogmi, in base ai quali condanna le dottrine eretiche. Al centro del c. vi è l'idea di infallibilità della Chiesa, e quindi la giustezza e la validità assoluta delle verità di fede proclamate. Ne discende l'infallibilità del pontefice, pastore e dottore universale con pieni poteri, riconosciuta ufficialmente nel Concilio Vaticano I (1870). Tra le principali definizioni dogmatiche del c., su cui si fonda la fede cattolica, vi sono: il mistero della Trinità e quello dell'incarnazione, della morte e della resurrezione di Gesù Cristo, Figlio di Dio, fattosi uomo per redimere l'umanità, macchiatasi del peccato originale commesso da Adamo; i sacramenti, frutto della Redenzione operata da Cristo, che permettono all'uomo di acquistare la grazia soprannaturale, e quindi di far parte della comunità ecclesiastica. In particolare i sacramenti conferiscono la grazia di Dio e non ne sono un semplice segno, come invece ritengono i protestanti. Istituiti da Cristo, sono sette (battesimo, cresima, eucarestia, penitenza, estrema unzione, ordine, matrimonio) e vengono amministrati dalla Chiesa attraverso i suoi pastori. Attraverso di essi si perpetua e ripete l'opera di Cristo sulla terra. Tra i misteri più importanti della fede cattolica va ricordato il sacrificio eucaristico. Durante la messa (che ripete l'ultima Cena e la morte di Gesù) il pane e il vino, attraverso le parole del sacerdote, si tramutano nel corpo e nel sangue di Cristo, immolatosi per la salvezza dell'umanità. Secondo la dottrina cattolica, con la transustanziazione si rinnova il sacrificio del Figlio di Dio. A questo momento di fede i fedeli partecipano con la comunione. Grazie all'intera opera sacramentale, l'uomo può sperare nella salvezza dopo la morte. La Chiesa cattolica, società religiosa di origine divina, è inoltre regolata internamente dalla liturgia, che ogni anno rievoca e riafferma i momenti più importanti della religione cattolica (Natale, Pasqua, Ascensione, Pentecoste, ecc.). Secondo il c. per adempiere ai propri compiti, la Chiesa ha bisogno di un'organizzazione temporale, vale a dire di una struttura istituzionale e legislativa che le permetta di operare nella realtà storica concreta. Non solo, ma periodicamente essa deve adeguarsi ai mutamenti dei tempi anche sotto il profilo teologico. Tale evoluzione, che non implica rotture con il passato, permette al c. di prendere atto e di far proprio lo spirito nuovo dei tempi. Questo sforzo e questa tensione per divenire Chiesa universale, in comunione con le altre confessioni e non più in contrapposizione ad esse, sono riaffermati recentemente, soprattutto nel Concilio Vaticano Il. • St. - L'insieme dei principi e dell'ordinamento della Chiesa cattolica romana si sono precisati a cominciare dai primi secoli dell'era cristiana nella lotta contro le eresie, e, successivamente, nel Medioevo (teologia scolastica), nel corso del Concilio di Trento, conseguente alla Riforma protestante, e, in epoca recente, nel corso del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII e apertosi nell'ottobre 1962. Dopo la chiusura del Concilio di Trento nel dicembre 1563, a diciotto anni dalla sua apertura, la Chiesa romana non convocò altri concili generali sino al 1869 e, nonostante le dispute dottrinali e l'allargamento dell'area di influenza cattolica nel mondo, conseguente all'azione missionaria, non vi fu nessuna profonda revisione della dottrina e della pratica cattolica dopo la riforma operata dal Concilio di Trento, se di riforma vera e propria si può parlare, dato che gran parte della sua opera consistette nella codificazione della dottrina e della liturgia medioevale, ribadendo la validità del cristianesimo storico contro le riforme operate dal protestantesimo. Bisogna perciò attendere sino al Concilio Vaticano II, apertosi senza programmi predeterminati, ma guidato dai principi dell'ecumenismo e della pastoralità, per assistere a un'opera di rinnovamento della liturgia e, in rapporto con essa, dell'orientamento pastorale del c., con un'apertura al dialogo e una prospettiva ecumenica che ha aperto la Chiesa cattolica al dialogo con i "fratelli separati", portandola ad accettare il confronto con la teologia protestante e con quella ortodossa e ad aprirsi al dialogo con tutte le comunità cristiane. Assai più importante dei decreti approvati, è stato lo spirito di apertura che ha messo in moto un processo irreversibile di rinnovamento, impensabile al tempo del Concilio di Trento, che altro non fece che ribadire la validità del tradizionale assetto ecclesiastico, in netta contrapposizione con i riformatori protestanti, secondo i quali la parola di Cristo e la parte più vera e più valida del Vangelo erano state per secoli celate e distorte dal "papismo", per cui il c. medioevale, con tutto il suo cerimoniale, doveva essere combattuto da chi aveva riscoperto il vero insegnamento delle Scritture. Nel 1551 quando poterono intervenire al Concilio di Trento alcuni delegati protestanti che vi illustrarono le loro posizioni, apparve evidente l'impossibilità di ristabilire l'unità dei cristiani sulla base di compromessi, data la ferma intenzione dei protestanti di mantenere, come punto fermo, quello di considerare la Scrittura come l'unica vera autorità e di non potersi perciò accontentare di riforme puramente pratiche. Ciò che veniva messo in discussione era infatti il dogma e il principio gerarchico sul quale si fondava il c. Il principio dell'autorità ecclesiastica venne invece solennemente ribadito e costituì il punto-base della riforma cattolica che tendeva a sanare il carattere precario dell'istituzione ecclesiastica medioevale, responsabile degli scandali di cui si era reso colpevole il clero. Dal punto di vista pratico, si ebbe una maggiore centralizzazione del potere ecclesiastico da parte della Chiesa romana e furono istituite Congregazioni come quella del Sant'Uffizio e quella dell'Indice, incaricata di sovrintendere all'indice dei libri giudicati immorali o eretici e la cui lettura era proibita ai cattolici. Inoltre andò assumendo grande importanza l'Inquisizione che, oltre al compito di stroncare e punire l'eresia, aveva anche poteri in materia dottrinale. Per mezzo della sua organizzazione burocratica la curia romana veniva così ad avere su tutta la Chiesa un controllo maggiore di quanto non avesse in precedenza. Quanto alla situazione del c. in Europa alla fine del XVII sec., essa presentava il seguente quadro. A parte i paesi dell'Europa meridionale, cioè Italia, Spagna e Portogallo, dove il protestantesimo non era riuscito a mettere radici, pressoché tutti gli altri paesi risultavano spaccati in due o erano passati interamente al protestantesimo. In Francia, dove si era combattuta una lunga guerra di religione, si era potuto evitare lo scisma soprattutto perché Enrico di Navarra (Enrico IV) aveva capito che solo una dinastia cattolica poteva mantenersi sul trono e, nello stesso tempo, ottenere tolleranza per i protestanti e indebolire l'antinazionalismo della Lega cattolica. Nei Paesi Bassi, la politica antiprotestante di Filippo II di Spagna era riuscita a consolidare il c. nel Belgio, ma aveva perdute le Province Unite del Nord (Olanda) dove però il c. non era morto. Anche in Germania, la diffusione del protestantesimo era stata contenuta e vari principati rimanevano cattolici. In Polonia, i regni di Stefano Bàthory e Sigismondo III avevano portato a una rinascita del c. In Inghilterra e Scozia il c. non si era completamente esaurito, per quanto esigua fosse la minoranza rimasta fedele alla Chiesa di Roma, mentre la gerarchia cattolica si era riorganizzata con successo in Irlanda, assumendo il compito di reintegrare i beni della Chiesa usurpati dai protestanti inglesi che dominavano l'amministrazione irlandese. In tutta Europa, comunque, la situazione per il c. si presentava migliore di quanto non lasciassero presagire gli sviluppi iniziali della Riforma e la diffusione del protestantesimo. In ogni modo, il c., come già prima il protestantesimo, non avrebbe potuto trionfare se non ci fosse stato, soprattutto in Germania, l'aiuto dei principi che lo avevano adottato, imponendolo ai propri sudditi sulla base del principio che identificava il dissenso religioso con la sedizione politica. Sino all'inizio del XVI sec., quando esplose la Riforma, pressoché tutta l'Europa era stata dominata dal c., fatta eccezione per la Russia e i Paesi di rito greco-ortodosso (Bulgaria, Grecia, Jugoslavia, Romania) che si erano sottratti all'autorità del vescovo di Roma sin dall'inizio dell'era cristiana. Comunque, ancor prima della disintegrazione della cristianità occidentale prodotta dalla Riforma l'unità del c. nella Chiesa di Roma non presentava più da tempo le caratteristiche di una "comunità". Infatti, la varietà delle opinioni e il frazionamento erano tali che, a cominciare dal pontificato di Bonifacio VIII (1294-1303), il Papato era apparso sempre meno in grado di esercitare un controllo unificatore e con l'indebolimento della curia romana, nella seconda metà del XV sec., si ebbe l'affermazione delle chiese nazionali, primo passo verso la Riforma. Essa modificò profondamente il precedente assetto, riducendo a meno della metà i Paesi europei occidentali a maggioranza cattolica. Essi attualmente sono, in ordine decrescente: Spagna, Irlanda, Lussemburgo, Belgio, Portogallo, Italia, Austria, Polonia, Francia, Cecoslovacchia, Ungheria. In questi Paesi, sulla base di statistiche recenti, la percentuale dei cattolici, cioè dei non appartenenti ad altre confessioni (non sono compresi i senza fede che modificherebbero notevolmente tali percentuali), varia dal 99% al 60%. Le minoranze cattoliche più cospicue si trovano in Olanda (40%), Germania (37%), Svizzera (37%), ex Jugoslavia (35%), mentre negli altri Paesi la percentuale varia dal 7,8% dell'Inghilterra allo 0,05% della Finlandia. Sino all'inizio del XX sec. il c., come organizzazione ecclesiastica, è rimasto un fenomeno essenzialmente europeo. Infatti, pur avendo vaste propaggini negli altri continenti, soprattutto nell'America Latina, esse presentavano caratteristiche di tipo colonialista e la maggioranza dei territori cattolici extraeuropei erano amministrati dal dicastero di Propaganda Fide. La situazione è andata poi modificandosi, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, con l'accesso alle massime cariche ecclesiastiche dei rappresentanti dei popoli africani e asiatici, così che anche il collegio dei cardinali perdeva il suo carattere europeo e soprattutto italiano.
Papa Giovanni Paolo II