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Cannibalismo.

L'uso di cibarsi di carne umana. Viene spesso usato, impropriamente, come sinonimo di antropofagia che è lo stesso fenomeno, ma limitato a casi sporadici e a singoli individui. Il vocabolo "cannibale" fu coniato da Cristoforo Colombo dopo aver confuso la parola "caribi", il nome indigeno delle Antille, con la parola "cannibi", termine inesistente ma che il grande viaggiatore pensò di attribuire a quei primitivi che si cibavano anche di carne umana, modificandolo in "cannibali". Le prime notizie sul c. le desumiamo da Erodoto che, durante i suoi viaggi, s'imbatté in certe tribù mangiatrici di uomini; lo avrebbero fatto non per fame o per malvagità ma semplicemente per motivi religiosi. Il c. è conosciuto in contesti geografici, cronologici e culturali diversissimi tra di loro. Per molto tempo si ritenne che l'Africa fosse esente da questo fenomeno ritenuto antisociale, contro natura e contro Dio, ma già nel 1597 alcuni esploratori che si erano inoltrati dalle coste del golfo di Guinea nel cuore del Continente Nero riferirono di aver riscontrato vari casi di c. nel Congo. Uno di questi viaggiatori, Eduardo López, racconta che certe popolazioni del Congo affidavano "i nemici prigionieri ai macellai, affinché, dopo averli finiti, li arrostiscano o li bolliscano". Nel Dahomey, in tempi lontanissimi, si praticava il c. giudiziario consistente nell'uccisione di un criminale il cui sangue, scrupolosamente raccolto, veniva offerto in omaggio al re che lo beveva. Il tedesco M. Hemmersam, recatosi in Costa d'Avorio intorno al 1640 riferì che "i selvaggi terribili, quando fanno un prigioniero, gli staccano la testa e bevono dal cranio, ne cuociono e mangiano la carne...". Il c. ebbe larga diffusione in diversi territori dell'Africa nord-occidentale; i Bansonge, per esempio, divoravano anche i morti dopo aver loro tagliato le dita dei piedi e delle mani, dove ritenevano si concentrasse la malattia che li aveva portati alla morte; presso i Bena-ki la carne umana veniva cotta con banane o manioca ma era consumata soltanto dagli uomini, essendone le donne escluse. Si narra che Msidi I, re dei Katanga, facesse estrarre il cuore dei criminali per mangiarselo ancora caldo. Anche in America i casi di c. erano un tempo molto diffusi; nel Messico, all'epoca della conquista spagnola, si facevano ancora sacrifici umani che spesso si concludevano con manifestazioni di c. rituale. Certamente, in quel periodo, il c. era largamente praticato anche dalle tribù delle Antille; simili rituali erano compiuti anche dai Charrua del Brasile, come è testimoniato dal tedesco Ulrich Schmidel che si recò in quel Paese nel 1534. Anche gli indigeni della Colombia erano cannibali e, secondo Cieza de León, pare che prediligessero mangiare i bambini. Una fortezza del c. fu la Nuova Zelanda dove l'ultimo episodio di questo fenomeno risale al 1934, nonostante l'efficace opera dei missionari in queste isole. Episodi di c. sono conosciuti anche nella Nuova Guinea e nelle isole Figi attraverso le descrizioni del reverendo metodista Cargill. Pare che i Maori della Nuova Zelanda mangiassero i Bianchi per impedire loro di impossessarsi delle terre che ad essi appartenevano. Enormi difficoltà incontrarono i missionari nel convincere i Papua a rinunciare alla carne umana. Anche in Asia il fenomeno ha avuto una certa diffusione e non intendiamo alludere al Sinantropus pekinensis vissuto mezzo milione di anni fa che era indubbiamente un cannibale; un caso abbastanza recente, del 1970, si è verificato in Cambogia dove furono fotografati giovani guerrieri ornati di trofei umani (fegato, cuore di nemici) che si apprestavano a divorare "con verdure cambogiane".