(dal greco
kalligraphía, der. di
kallós: bellezza e
graphía: scrittura). L'arte dello
scrivere con tratti chiari ed eleganti. ║ Per estens. - Il modo personale
di scrivere. Considerata una vera e propria arte, seppur minore, la
c. si
occupa delle questioni di ordine estetico riguardanti la scrittura,
differenziandosi pertanto dalla paleografia che ne studia la storia. La
componente estetica della scrittura ha sempre rivestito una notevole importanza:
una bella
c. deve essere nel contempo chiara e decorativa. Nelle
civiltà occidentali la
c. venne particolarmente curata,
perfezionata e studiata nei monasteri, assieme alla miniatura e con reciproche
influenze sulla scultura. Con l'introduzione della stampa, e con le nuove
possibilità da essa offerte, vennero creati ancora nuovi caratteri con
ornamenti e fregi particolarmente raffinati. I primi trattati teorici relativi
alla
c. risalgono al XV sec. e in particolare molti di essi sono di
autori italiani (studi sulla costruzione geometrica dell'alfabeto di Felice
Feliciano, Luca Pacioli e altri). In seguito vennero largamente sviluppati altri
lavori sullo stesso tema, i quali contribuirono alla diffusione dei tipi di
scrittura italiani in tutta l'Europa (tra gli autori ricordiamo Ludovico degli
Arrighi nel 1522, G.A. Tagliente nel 1524, Ferdinando Ruano nel 1544, G.F.
Cresci nel 1560, e altri ancora). Il culmine di tali studi è stato senza
dubbio il Cinquecento: in seguito la
c. perse via via la sua importanza,
finendo per essere persino tralasciata dai programmi scolastici. Si sono
affermate al suo posto discipline più moderne, quali il disegno del
carattere tipografico, oppure la grafica pubblicitaria. In Francia si ricorda la
figura di Nicolas Jarry, vissuto nel XVII sec. come calligrafo di Luigi XIV.
Attualmente esistono pochi tipi di scrittura calligrafica, ovvero la gotica,
l'inglese (posata e corsiva), la rotonda e l'italiana. Per quanto riguarda le
civiltà al di fuori dell'Europa, bisogna ricordare che la
c. era
già un'arte studiata fin dall'antichità sia presso gli orientali
che presso i cinesi. Nel mondo islamico esistevano, fin dalla nascita dell'Islam
stesso, diverse scuole calligrafiche che studiavano e tramandavano stili
differenti. Il più antico canone calligrafico relativo a questa
civiltà è quello di Ustad Ahval del Seistan, composto a Baghdad
nel X sec. Presso i musulmani la riproduzione della figura umana è
proibita per motivi religiosi e quindi il
cufico (uno stile che prese il
nome dalla città di Kufa, in Iraq) si sviluppò enormemente in
forme sempre più eleganti e riccamente ornate, giungendo a creare
meravigliose sculture calligrafiche. Nel X sec., accanto al cufico fece la sua
comparsa il
naskhi, uno stile più morbido e rotondo rispetto al
cufico, che ben presto si affermò, non solo nei manoscritti, ma anche
nell'epigrafia monumentale di molti Paesi islamici. Altri stili sono il
maghrebi, il
thuluth, il
rihani, il
riqa, mentre il
ta'liq, nonché la sua variazione
nasta'liq, divennero stili
nazionali persiani. In Cina la
c. viene considerata una delle sei arti
maggiori, favorita già in tempi antichi dall'invenzione della carta (I-II
sec. d.C.), oltre che dall'eleganza che racchiudono in sé i caratteri
ideografici, tracciati con il pennello. Tra il III e il VI sec. vissero i
più grandi maestri della
c. cinese. Tra di essi ricordiamo Ssu
Ching (III sec.), Wang Hsi-chih (303-361) e Wang Hsien-chih (344-388). Le prime
vere e proprie opere sulla
c., le quali fanno luce sui principi e sui
metodi dello scriver bene, risalgono al periodo della dinastia Sung (secc.
X-XIII). In generale nella cultura cinese esiste una stretta correlazione tra
c. e pittura, due arti che nel corso della storia si sono sempre
influenzate a vicenda. Lo stesso vale anche per la cultura giapponese, dove la
c. è pure oggetto di studio e sinonimo di tradizione. In Giappone
si svilupparono diversi stili, ma alla fine prevalse quello calligrafico
nazionale giapponese, chiamato
jodai-yo (XI sec.).