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Caccia.

Attività consistente nella ricerca e nell'inseguimento di animali selvatici per catturarli o ucciderli. La c. ha una storia antica quanto quella dell'uomo, costretto, per procurarsi alimenti e pelli per coprirsi, a inseguire e catturare le bestie. Le prime battute, come ci è stato tramandato dai graffiti delle caverne e dalle rozze sculture, erano condotte contro grossi animali (tigri, pantere, leoni, orsi, mammouth, renne, bisonti, stambecchi) e i trofei dei capi abbattuti venivano tenuti in gran pregio. I faraoni nella valle del Nilo cacciavano i tori selvaggi, il leopardo e l'ippopotamo. I Persiani tenevano in gran conto l'esercizio venatorio e così i Greci. Essi prediligevano particolarmente le grandi battute ai cervi, stambecchi, cinghiali, orsi, camosci e lepri e usavano la lancia, la spada e anche l'arco; ma praticavano pure la c. con le reti, i lacci e il falco. Gli Spartani si servivano di questo sport per educare e preparare la gioventù alla guerra. I Romani ebbero minor passione per la c.; soltanto i nobili e i consoli usavano organizzare grandi battute nelle colonie africane e vi catturavano le belve che poi inviavano a Roma per gli spettacoli nei circhi. Nel Medioevo questo sport fu in genere proibito ai liberi cittadini e costituì un diritto e un privilegio dei feudatari che lo esercitavano con gran pompa. La c. col rapace addomesticato era assai in voga e veniva praticata al mattino o al crepuscolo. Era una moda importata dall'Oriente e consisteva nel portare a c. un falco ammaestrato cui si toglieva il cappuccio in presenza della selvaggina: il falco si alzava in volo, piombava sull'uccello, lo artigliava e ritornava al cacciatore. Tale modo di cacciare piacque anche al clero e negli anni tra il 1500 e il 1600 fu il divertimento preferito alla corte papale. Severe disposizioni regolavano la pratica venatoria: chi veniva sorpreso non in regola era lasciato in balia dei cani feroci e sbranato, mentre chi si introduceva abusivamente nelle riserve e nei parchi, veniva condannato a morte. Il XVII sec. segnò la fine dell'uso dell'arco e della balestra e l'avvento del fucile a pietra focaia, il quale portò anche a un allargamento alla borghesia della pratica venatoria. Nei primi anni del XVIII sec. si costituirono in Italia e all'estero le prime leghe tra i cacciatori, aventi lo scopo di ottenere dall'autorità una regolamentazione della c. per salvaguardare il patrimonio venatorio dei singoli Paesi e per ottenere un'adeguata tutela degli interessi dei cacciatori. Nei tempi permessi dalla legge fu stabilito che i cittadini potevano cacciare se in possesso di un certificato che garantiva la loro buona condotta; vennero emanate leggi precise nei vari Stati dell'Italia e furono protetti i luoghi chiusi o seminati o coltivati a frutteto. Oggi la c. è diventata un'attività popolare, mentre resta ancora vincolata a forme aristocratiche quella contro animali rari o in zone di difficile accesso, praticata con le reti e col vischio. La c. regolare si esercita col fucile, con o senza cane. Questo può essere un segugio o un cane da ferma. La c. col fucile e col cane si fa a pernici, coturnici, quaglie, beccacce, lepri, beccaccini, conigli, cioè a tutti gli animali che si nascondono e che devono essere stanati dal cane. Si caccia poi ancora con le reti e i principali sistemi sono i roccoli, le passate, i paretai fissi o mobili, oppure le panie. La c. così eseguita può essere fissa o vagante. Quando è fissa richiede una preparazione del luogo con zimbelli e uccelli di richiamo; quando è vagante si fa di solito con la civetta. La c. grossa in Italia, non tenendo conto delle battute ai camosci e agli stambecchi nel Parco del Gran Paradiso, si pratica maggiormente nella Lucania, nella Calabria e in Sardegna, dove si trovano ancora cinghiali e, sebbene non in gran numero, cervi, daini e mufloni. In Sicilia molto praticata è la c. al coniglio selvatico col furetto. A seconda delle sue varie specialità la c. può essere a bruzzico, quella fatta la mattina presto, prima ancora che si faccia giorno; a guazzo, quella fatta camminando nell'acqua senza stivali impermeabili che proteggano i piedi e le gambe; a insidie, quella che, a scopo non sportivo, viene condotta con ogni sorta di trappole e cioè con lacci di corda, di filo d'ottone e di crine teso tra le siepi e le fronde, e con panie di vischio. Quella moderna può essere distinta in: c. agli animali nocivi distruttori della selvaggina (il lupo, la volpe e il tasso, il gatto selvatico, la martora, la faina, la puzzola, l'ermellino, la donnola, il topo, l'aquila, l'avvoltoio, il nibbio, il falco, lo sparviero, lo smeriglio, l'albanella, il corvo, la gazza e la pica) e in uccellagione o c. alla selvaggina in genere. I diversi tipi di uccellagione sono: ai passi, se ci si apposta nelle gole delle colline e dei monti sopra cui passano gli uccelli (colombacci, colombelle, ghiandaie, storni, tordole, tordi, tordi assesi, schiaccianoci, strillozzi, frisoni, lodole, fringuelli) nel loro viaggio migratorio; a la stracca, quando si insegue l'animale finché si stanca; al capanno, quella che si fa agli uccelli da settembre a metà novembre, preferibilmente in collina o in un punto di buon passo, stando dentro un capanno; all'albergo, quella fatta attendendo gli uccelli la sera presso il luogo dove sono soliti appollaiarsi; alla posta, aspettando fermi che gli uccelli o altri animali passino a tiro; riservata, quella che viene compiuta nelle riserve, cioè in zone demaniali o private protette, dove è permessa in seguito ad apposite concessioni. • Dir. - Costituisce esercizio di c. ogni atto diretto all'uccisione o alla cattura di selvaggina mediante l'impiego di armi, di animali o di arnesi a ciò destinati. È considerato altresì esercizio di c.: il vagare o il soffermarsi con armi, arnesi o altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o di attesa della selvaggina per ucciderla o per catturarla e anche l'uccisione e la cattura compiute in qualsiasi altro modo, a meno che esse non siano avvenute per forza maggiore o caso fortuito. Sono considerati selvaggina i mammiferi e gli uccelli viventi in libertà, con l'esclusione delle talpe, i toporagni, i ghiri, i topi propriamente detti e le arvicole. In terreno libero la selvaggina appartiene a chi l'uccide o la cattura. S'intende libero il terreno non costituito in bandita o in riserva o non precluso, comunque, alla libera c. È vietata la cattura a mezzo di reti della selvaggina stanziale protetta, vale a dire: a) fra i mammiferi: il cervo, il daino, il capriolo, la capra selvatica, il muflone, il camoscio, lo stambecco, il cinghiale, l'orso, la marmotta, l'istrice, la lepre comune, la lepre bianca, nonché, limitatamente alla Sicilia, il coniglio selvatico; b) fra gli uccelli: tutti i tetraonidi (cedrone, fagiano di monte, pernice bianca), i fagiani, la coturnice, la pernice rossa, la pernice sarda, la starna e la gallina prataiola. È sempre proibito uccidere o catturare: lo stambecco, il camoscio d'Abruzzo e il muflone; i giovani camosci dell'anno e le madri che li accompagnano; le femmine dei daini, dei cervi e dei caprioli; l'orso; la marmotta durante il letargo; la foca; i pipistrelli di qualsiasi specie; le gru, il fenicottero, le cicogne e i cigni; i rapaci notturni eccetto il gufo reale; le femmine dell'urogallo e del fagiano di monte; le rondini e i rondoni di qualsiasi specie: l'usignolo, le cince, i codibugnoli e i piccoli di qualsiasi specie; i colombi torraioli. La c. e l'uccellagione possono essere esercitate solo da chi sia munito della relativa licenza concessa dal Prefetto o dal Questore secondo la rispettiva competenza a norma della legge di Pubblica Sicurezza; da chi sia munito di assicurazione, per la responsabilità civile, non inferiore a un minimo stabilito per sinistro; da chi abbia compiuto diciotto anni. Non può essere concessa la licenza: alle persone affette da malattia mentale o incapaci anche temporaneamente di intendere o di volere; a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato e contro l'ordine pubblico; a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone, commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi; a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per un tempo superiore a tre anni e non sia stato riabilitato; alle persone sottoposte a sorveglianza speciale o all'obbligo di soggiorno in un determinato comune: a chi è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. La c. può essere esercitata con armi portatili o da appoggio, con cani, con furetti e con falchi nonché con le reti orizzontali o con quelle verticali fisse. Per l'uccellagione sono pure permesse la prodina con un solo paio di reti, le quagliare, purché senza uso di richiami accecanti, ecc. È sempre vietato l'esercizio venatorio: nei giardini, ville e parchi destinati a uso pubblico e nei terreni destinati a impianti sportivi; nelle località ove siano opere di difesa dello Stato o in quelle dove il divieto sia richiesto a giudizio insindacabile dell'autorità militare, e dove esistano monumenti nazionali (le località suddette debbono essere delimitate da tabelle portanti la scritta "zona militare - divieto di c." o "monumento nazionale - divieto di c."); nelle appartenenze di abitazioni, nei parchi e giardini privati e nei fondi (purché stabilmente recintati), salvo che al proprietario o col suo consenso; nei terreni in attualità di coltivazione (vivai, giardini, orti, ecc.) quando essa possa arrecare danno effettivo alle culture; nei terreni vallivi, paludosi e in qualsiasi specchio d'acqua dove si eserciti l'industria della pesca, nonché nei canali delle valli salse da pesca quando il possessore li circondi di tabelle portanti la scritta "valle da pesca - divieto di c.". La normativa sulla c. è stata riformata da una serie di nuove leggi, a cominciare dal DPR 15.1.1972 n. 11 che ha stabilito il trasferimento alle Regioni di numerose funzioni precedentemente attribuite a organi statali. La situazione di incertezza, in ordine all'attuazione del decreto e la necessità di una nuova normativa, ha posto l'esigenza di regolare l'intera materia con una legge-quadro. Ne è risultata la L. 27. 12. 1977 n. 968 che stabilisce una serie di limitazioni alla c., partendo dalla premessa che la fauna selvatica è "patrimonio indisponibile dello Stato", comprendente mammiferi e uccelli stanziati stabilmente o temporaneamente sul territorio nazionale, in stato di naturale libertà. Precisato quali sono le specie protette, viene sancito il divieto di abbattere, catturare, detenere o commerciare esemplari di qualsiasi specie di mammiferi e volatili appartenenti alla fauna selvatica particolarmente protetta (aquile, gufi, gru, cicogne, cigni, fenicotteri, stambecchi, camosci, ecc.), e viene specificato per quali specie è fatta eccezione. Sono state inoltre fissate precise limitazioni, di tempo e di luogo, per l'esercizio venatorio, lasciando alle Regioni, in accordo con le Province, le comunità montane e i Comuni, il compito di predisporre piani annuali o pluriennali di suddivisione del territorio in zone di c. (art. 5). La legge precisa inoltre il numero massimo dei capi da abbattere per ciascuna giornata e i giorni della settimana in cui è consentito l'esercizio della c. L'apertura della c. è fissata al 18 agosto per alcune specie migratorie (tortora, quaglia, calandro, folaga, ecc.), mentre per i mammiferi stanziali (lepre, coniglio selvatico, ecc.) l'apertura è prevista per la terza domenica di settembre, così come per alcune specie di volatili (fagiano, coturnice, ecc.). Per ottenere l'autorizzazione al porto d'armi per uso di c., è necessario aver superato un esame di abilitazione all'esercizio venatorio, sostenuto dinanzi a un'apposita commissione nominata dalla Regione. In caso di bocciatura, l'aspirante cacciatore deve attendere sei mesi prima di poter sostenere un nuovo esame. Nei dodici mesi successivi al rilascio della sua prima licenza (valida per sei anni), il cacciatore può praticare l'esercizio venatorio solo in compagnia di un altro cacciatore, abilitato da almeno tre anni. Questa normativa, che ha sancito tra l'altro la costituzione di oasi di ripopolamento e di protezione, è stata integrata da norme regionali, alcune delle quali hanno inserito i problemi della c. nell'ambito più vasto dei problemi riguardanti la protezione dell'ambiente e l'assetto del territorio, perseguendo un indirizzo politico-amministrativo di protezione dell'ambiente naturale e della fauna. Nonostante questa regolamentazione, sono continuate le proteste, anche da parte di organizzazioni ambientaliste internazionali, per i guasti prodotti nell'equilibrio naturale dall'attività venatoria in Italia, per gran parte conseguenti all'elevatissimo numero di cacciatori (oltre due milioni) che minacciano, in alcuni casi, l'estinzione di alcune specie animali. Sotto molti aspetti la normativa vigente presenta gravi carenze, prestandosi a una serie di critiche, soprattutto da parte dei gruppi abolizionisti, promotori nel 1980, insieme col Partito Radicale, di un referendum anticaccia (per il quale furono raccolte poco meno di un milione di firme), ritenuto non proponibile dalla Corte costituzionale, con una sentenza emessa il 5.2.1981. Nuovamente riproposto nel giugno del 1990, il referendum sulla disciplina della c. ha registrato un'affluenza alle urne inferiore al 50% ed è stato quindi annullato. Nel 1992 una nuova legge (L. 11-2-1992, n. 157) si preoccupò di regolamentare ancora una volta l'attività venatoria.