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CGIL.

Sigla della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, fondata a Roma il 19 giugno 1944 come erede della Confederazione Generale del Lavoro (CGL, fondata nel 1906)), ricostituitasi in Francia sotto la direzione di Bruno Buozzi dopo la decisione del gruppo dirigente di procedere al suo scioglimento nel 1927 per lasciare campo libero al sindacato fascista. La ricostituita CGIL raggruppava le tre grandi correnti del movimento sindacale: comunista, socialista e cattolica, differenziandosi in ciò dalla vecchia CGL, nella quale erano organizzati solo i lavoratori delle correnti di sinistra. Nel 1919 essa era giunta a contare due milioni di iscritti che, nel 1920, avevano votato contro l'instaurazione della dittatura del proletariato, respingendo la mozione della corrente comunista in favore dello sciopero generale come arma rivoluzionaria. La sua maggioranza, infatti, si collocava più a destra di quella del PSI ed era interessata soprattutto a migliorare le condizioni di lavoro e la legislazione sociale, oltre a chiedere aumenti salariali. Non mancavano tuttavia larghi settori che non credevano nell'azione riformistico-parlamentare e vedevano nel sindacato uno strumento potenziale per il rovesciamento dello Stato capitalistico. Un altro elemento di debolezza era costituito dal fatto che la massa degli iscritti fosse organizzata sulla base di una stretta coesione locale (Camere del Lavoro provinciali), anziché su quella di raggruppamenti nazionali di categoria. Non mancavano tuttavia delle federazioni nazionali bene organizzate e la spina dorsale era costituita dalla Federazione Italiana degli Operai Metalmeccanici (FIOM), protagonista dell'occupazione delle fabbriche nell'autunno del 1920. A capo della FIOM figuravano uomini come lo stesso Buozzi, ultimo segretario della CGL (1926) e suo riorganizzatore nel 1943-44, prima di essere catturato e fucilato dai Tedeschi. ║ La nuova CGIL. Il "Patto di Roma" del giugno 1944 fu ratificato nel corso del Congresso svoltosi a Napoli dal 28 gennaio al 1° febbraio 1945, mentre il Nord era ancora occupato dai Tedeschi. Venne nominata una segreteria generale composta da Di Vittorio (comunista), Lizzarri (socialista), Grandi (democristiano). La ratifica da parte delle Federazioni provinciali del Nord si ebbe nel luglio successivo, nel corso di un convegno sindacale convocato a Milano. La collaborazione fra le tre correnti non fu facile sin dall'inizio e ben presto il movimento sindacale unitario si trovò coinvolto nella crescente difficoltà dei rapporti politici tra i tre partiti che lo rappresentavano al Governo. Nel luglio 1946 il direttivo della CGIL si divise e la maggioranza comunista e socialista respinse una mozione presentata dai sindacalisti democristiani che chiedeva l'appoggio del sindacato a una politica finanziaria stabilizzatrice della moneta. Il primo colpo all'unità sindacale venne inferto nel settembre 1946 dalla morte di Achille Grandi e dall'assunzione della leadership sindacale cattolica da parte di Giulio Pastore nell'aprile 1947. Nel frattempo era avvenuta la scissione dell'ala destra del Partito Socialista, capeggiata da G. Saragat, che aveva dato vita al PSLI, divenuto poi PSDI. I contrasti esplosero al Congresso di Firenze del giugno 1947, mentre era ancora aperta la ferita dell'espulsione dal Governo di comunisti e socialisti. Le votazioni precongressuali avevano visto il 55,82% degli oltre cinque milioni e mezzo di iscritti schierarsi con la corrente comunista, il 22,61% con i socialisti, il 13,4% con la corrente cristiana, il 2,12% con quella socialdemocratica, il 2,02% con quella repubblicana e, per il resto, distribuirsi tra altre piccole correnti: azionista, anarchica, indipendente. Con l'inasprirsi della lotta politica, era andato crescendo il pericolo di una scissione che si presentò in tutta la sua evidenza nel periodo immediatamente successivo al Congresso, soprattutto in occasione di un'agitazione nazionale (agosto 1947), contro l'aumento del costo della vita, decisa a maggioranza dal direttivo della CGIL. In quel momento la corrente cattolica si dissociò dalla maggioranza, denunciando pubblicamente "il carattere politico della manifestazione" e rivolgendo un appello radiofonico ai lavoratori cattolici affinché non partecipassero. Un'analoga presa di posizione si ebbe nel dicembre successivo quando fu proclamato a Roma uno sciopero generale contro la disoccupazione. Gli sforzi compiuti nei mesi successivi da Giuseppe Di Vittorio e Fernando Santi per salvare l'unità sindacale risultarono vani e la riunione del 14 luglio 1948, nel clima di tensione provocato dall'attentato a Togliatti, fu l'ultima alla quale presero parte i rappresentanti della corrente democristiana. La scissione avvenne mentre ben settantamila dei novantamila fermati dalla polizia per aver partecipato allo sciopero per Togliatti venivano rinviati a giudizio. Con l'uscita dalla CGIL, prima, dei lavoratori appartenenti alla "corrente cristiana", che diedero vita alla "Libera CGIL" (divenuta poi CISL), poi, degli iscritti di tendenza socialdemocratica e repubblicana, che fondarono la Federazione Italiana dei Lavoratori (divenuta poi UIL), si ebbe un'alterazione degli equilibri interni della CGIL, che accentuò il proprio orientamento classista e anticapitalista, continuando tuttavia a rimanere il sindacato di gran lunga più forte. Dal congresso di Genova (4-9 ottobre 1949), in cui prese atto della nuova situazione sindacale, al congresso di Napoli (24 novembre - 3 dicembre 1952), la CGIL si trovò a dover fronteggiare una controffensiva confindustriale su larga scala, culminata con l'ostracismo alle commissioni interne e col licenziamento di numerosi attivisti sindacali. Nel clima della Guerra Fredda, il movimento sindacale italiano venne a trovarsi diviso in due rigidi blocchi contrapposti che vedevano da una parte la CGIL, i cui iscritti, alla fine del 1954, risultavano 4.625.000, dall'altra parte CISL e UIL i cui iscritti, secondo i dati ufficiali, risultavano, rispettivamente due milioni e mezzo milione. L'ostilità di cui era fatto segno il sindacato "rosso" e le pressioni esercitate sui lavoratori ebbero ripercussioni anche sulla coesione dei suoi iscritti e sulla combattività dei lavoratori. Nel marzo 1955 si ebbe il fatto clamoroso delle elezioni alla FIAT dove la CGIL, che sino allora aveva sempre conseguito la maggioranza assoluta, ottenne solo il 36% dei voti, contro il 41% della CISL e il 23% della UIL. Analizzando questo risultato, la direzione della CGIL cominciò a elaborare una linea di rinnovamento e una nuova strategia sindacale, destinata a dare notevoli risultati nel giro di un decennio. Segni di mutamento cominciarono ad avvertirsi verso la fine degli anni Cinquanta e piuttosto significativo, nell'aprile 1960, fu l'invio da parte del Governo di un proprio rappresentante ufficiale, nella persona del ministro del Lavoro, al Congresso della CGIL. Era la prima volta che ciò si verificava dopo la scissione sindacale del 1948 e, per quanto quell'invio fosse stato fatto dal governo Tambroni, rovesciato alcuni mesi dopo dall'indignazione popolare, si trattò di una svolta che preannunciava la modifica dei precedenti rapporti e la maturazione di un nuovo processo sindacale unitario nel corso degli anni Sessanta. Non senza difficoltà, la situazione si mise in movimento dopo le elezioni politiche del 1963 e la costituzione nel dicembre successivo del primo Governo di centro-sinistra con la partecipazione diretta dei socialisti, prossimi a perdere la propria corrente di sinistra, diventata, nel 1964, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Nel corso della legislatura (1963-68), la situazione interna della CGIL fu caratterizzata dalla falcidia dei quadri sindacali del PSI (oltre il 60% dei dirigenti sindacali socialisti erano passati al nuovo partito) conseguente alla scissione socialista, rischiando di produrre una frattura nel sindacato con un'eventuale uscita della corrente socialista, ridotta a un'esigua minoranza. Il tentativo del PSI di far decadere immediatamente i dirigenti sindacali passati al nuovo partito non ebbe successo. Tuttavia, poiché appariva evidente la necessità di reintegrare in qualche modo la rappresentanza socialista a tutti i livelli per evitare il pericolo che la corrente cedesse ai richiami provenienti dalla UIL, si finì col seguire la proposta del PCI di stabilire per gli organi direttivi una nuova proporzione di quattro comunisti, due socialisti e un esponente del PSIUP in sostituzione della precedente di tre comunisti e due socialisti. I posti di responsabilità fra le tre correnti furono divisi su questa base percentuale: 57,2% ai comunisti, 28% ai socialisti, 14,8% ai socialproletari. Al di là di questo fatto rimaneva aperta la questione dell'atteggiamento da assumere nei confronti della nuova situazione creata dalla presenza del Governo di centro-sinistra. Dopo un periodo di cauta attesa, la maggioranza della CGIL si orientò verso una netta opposizione sull'indirizzo di politica economica, in particolare sul tema dell'inserimento dei sindacati nella programmazione economica. Il dibattito fu particolarmente intenso al VI Congresso della CGIL (Bologna 31 marzo - 5 aprile 1965), e mise in luce il diverso atteggiamento del gruppo formato da A. Novella e dai socialproletari di V. Foa che esclusero la possibilità per il sindacato di assumere una parte nella programmazione economica, in quanto ciò sarebbe equivalso a scaricare sui lavoratori il peso di ogni crisi economica. I socialisti, invece, tramite il segretario della FIOM, P. Boni, espressero la convinzione che fosse necessario inserire il sindacato nel sistema, sia pure con funzioni contestative. Dal congresso non uscì nessun documento conclusivo, ma un mese dopo la direzione della CGIL prese posizione contro la politica dei direttivi e contro ogni tentativo di frenare la dinamica sindacale, affermando che compito del sindacato era di influire sul modello di sviluppo economico attraverso la lotta dei lavoratori. Nonostante questa presa di posizione, nel corso del dibattito parlamentare sulla programmazione economica, parlamentari appartenenti alla corrente comunista della CGIL assunsero per la prima volta una posizione diversa rispetto a quella ufficiale del PCI e fu questa la prima manifestazione di una sia pur cauta revisione del rapporto sindacati-partiti. Molti contrasti interni furono superati nel corso delle battaglie contrattuali del 1966, svoltesi su uno sfondo di netta ripresa economica accompagnata da un processo di razionalizzazione e di ridimensionamento dell'apparato produttivo. Nel corso di tali lotte cominciò inoltre a porsi in modo concreto il problema dell'unità sindacale. A questo fine la corrente socialista della CGIL respinse la proposta da parte della UIL, proponendo, invece, nell'ambito del sindacato "rosso", la revisione dei rapporti con i partiti, a favore di una maggiore autonomia sindacale. Inoltre i socialisti sostenevano la necessità di modificare i vecchi rapporti in campo internazionale attraverso l'uscita della CGIL dalla FSM (Federazione Sindacale Mondiale), troppo radicata in un dualismo politico tra Est e Ovest entrato ormai in fase di superamento. Sia pure con sfumature diverse, anche i sindacalisti comunisti e socialproletari facevano proprie alcune delle critiche mosse alla FSM, pur considerando opportuno continuare ad aderirvi. Frattanto, la questione dell'unità sindacale, pur non trovando ancora una soluzione favorevole, portava all'attuazione, sul piano operativo, di una più stretta solidarietà tra le Confederazioni. Una spinta decisiva verso l'unità venne dal congresso di Livorno del giugno 1969 in cui particolarmente avanzate apparvero le posizioni unitarie della corrente socialproletaria di cui era portavoce Vittorio Foa che affermò che l'unità d'azione era ormai insufficiente e che il processo unitario non poteva venire amministrato burocraticamente, data la volontà di fusione sindacale che saliva dalla base. In sede congressuale fu decisa l'immediata adozione dell'incompatibilità tra cariche sindacali e mandato parlamentare. Nel corso dell'"autunno caldo" l'ampio dibattito sui rinnovi contrattuali mise in luce l'invecchiamento di strutture tradizionali quali le commissioni interne e la maggiore efficienza di strumenti quali i consigli di fabbrica, costituiti da delegati eletti dall'assemblea dei lavoratori, dai quali venne una decisa spinta di base anche al processo unitario e al rinnovamento democratico del Paese, contro cui le forze reazionarie non esitarono a montare una "strategia della violenza" che, nel dicembre 1969, portò alla strage di Piazza Fontana di Milano. Gli anni Settanta si aprirono con l'assunzione della carica di segretario generale da parte di Luciano Lama che si impegnò a portare avanti il processo di unità sindacale e il dialogo con tutte le forze interessate ai problemi del lavoro, perseguendo una linea "morbida", contrastata dalla sinistra interna al sindacato. Dopo una serie di battute d'arresto, la prosecuzione del dialogo con altre componenti sindacali portò alla costituzione (25 luglio 1972) della Federazione CGIL-CISL-UIL, composta da una segreteria di quindici membri, cinque per ciascuna Confederazione, e una direzione di novanta membri, anch'essa divisa in parti uguali. Il nuovo processo unitario aveva ripercussioni anche sul piano internazionale e venivano avviate trattative per realizzare l'unità sindacale a livello europeo, attraverso l'ammissione della CGIL nella Confederazione dei Sindacati Europei (CSE). Nonostante le pesanti critiche dei sindacati americani, il 9 luglio 1974 la CGIL diventava il primo sindacato di ispirazione comunista ad entrare nella CSE, motivando l'adesione con l'esigenza "di coordinamento delle forze sindacali internazionali a livello europeo" quale condizione necessaria per fronteggiare efficacemente le grandi concentrazioni industriali e finanziarie multinazionali. La necessità di porre un freno alla crisi economica, attraverso una politica sindacale d'emergenza, condizionò l'attività della CGIL negli anni successivi, imponendo l'accettazione di tutta una serie di "sacrifici": mobilità e costo del lavoro, scala mobile, liquidazioni, determinazione di un tetto per il disavanzo della spesa pubblica, ed altro ancora. Nonostante la linea unitaria perseguita da Luciano Lama, ne sono conseguiti polemiche, tensioni e contrasti interni, accentuatisi poi nel corso del biennio 1983-1984. Nel marzo 1986 Antonio Pizzinato diveniva segretario della Confederazione, succedendo a Lama. Il bilancio della direzione Pizzinato si rivelava fallimentare: il sindacato usciva sconfitto con i ferrovieri, gli insegnanti e i portuali di Genova. Dopo soli due anni e mezzo, Pizzinato si dimetteva, sostituito da Bruno Trentin. Alle incrinature createsi all'interno della CGIL, ne sono seguite di ben più gravi all'interno della Federazione CGIL-CISL-UIL, compromettendo l'unità sindacale stessa. Nella CGIL si venivano a creare gravi fratture con gli altri sindacati a proposito della linea economica adottata dal Governo, cui aderiva una parte dei sindacalisti. In particolar modo, durante gli anni Novanta, la componente comunista veniva in contrasto con quella socialista ed era a sua volta attaccata dai rappresentanti più intransigenti della sinistra. Da questi contrasti sorgeva un'ulteriore scissione all'interno della componente comunista fra miglioristi (legati al neo-nato PDS) e operaisti (sostenitori di Rifondazione Comunista). Nel tentativo di sanare queste divergenze, nell'ottobre del 1991 si teneva il XII Congresso nazionale della CGIL che si concludeva con un rimpasto e la rinnovata nomina di Trentin a segretario generale e di Ottaviano Del Turco a segretario aggiunto. Due mesi più tardi la CGIL, insieme a CISL e UIL, affrontava la legge finanziaria proposta dal governo Andreotti VII, caratterizzata da considerevoli tagli alla spesa pubblica, condono fiscale e aumento dei ticket sanitari, stipulando un accordo particolare tra Governo, imprenditori e parti sociali che prevedesse un comune impegno alla lotta contro l'inflazione. Tuttavia, il riacutizzarsi della crisi economico-finanziaria italiana, per la cui risoluzione il successivo governo Amato (1992-93) aveva elaborato un piano che prevedeva tra l'altro più drastiche riduzioni dei salari, portava la CGIL ad appoggiare i conseguenti scioperi dei lavoratori e a fare approvare dal Governo una serie di misure anti-inflazione. Nel 1994 Trentin si dimetteva e al suo posto veniva eletto Sergio Cofferati, che continuò la politica di "concertazione" tra le parti sociali, affrontando notevoli tensioni nei rapporti con la CISL. Nel marzo del 2002 la CGIL organizzò a Roma una delle manifestazioni sindacali più partecipate della storia repubblicana, per protestare contro le politiche neoliberiste del secondo Governo Berlusconi e, in particolare, per opporsi al progetto di revisione dello Statuto dei lavoratori. Il mese successivo indisse uno sciopero generale insieme alle altre due confederazioni nazionali CISL e UIL: fu il primo sciopero generale dopo 20 anni. In settembre Cofferati, giunto a fine mandato, lasciò la guida della CGIL e al suo posto fu eletto Guglielmo Epifani. Uno dei primi atti del nuovo segretario fu la consegna al presidente del Senato Pera (marzo 2003) di un verbale che attestava oltre 5 milioni di firme raccolte contro le modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Nel 2006, l'anno del suo centenario, la CGIL fu in prima linea nella battaglia referendaria per il NO alla riforma costituzionale varata dal centro-destra nel novembre 2005. Con la vittoria dell'Unione alle elezioni politiche dell'aprile 2006 e la conseguente formazione del nuovo Governo di centro-sinistra di Romano Prodi, il sindacato guidato da Epifani si disse pronto ad appoggiare il nuovo esperimento progressista, pur non rinunciando a una posizione critica.