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Averroè.

(in arabo Muhammad Ibn Rushd). Filosofo, giurista e scienziato arabo di Spagna. Nato da famiglia illustre di giudici, ebbe la possibilità di acquisire una solida formazione culturale (divenendo giudice egli stesso) e di entrare nella corte degli Almohadi di Marrakech. A partire dal 1163, rivestì numerose cariche pubbliche a Siviglia e a Cordoba; inoltre divenne medico di corte. Nel frattempo, andava componendo le sue opere filosofiche. Attorno al 1195 venne esiliato e deportato in Marocco, probabilmente dai fanatici ostili alle sue dottrine, le quali vennero addirittura condannate. Venne, infine, riaccolto a corte, poco prima della morte. Egli fu, innanzitutto, il più profondo e celebre commentatore non cristiano di Aristotele. I commenti pervenuti fino a noi sono di tre tipi: il Grande commento che affronta in modo assai dettagliato il testo della Metafisica di Aristotele; il Commento medio, in cui si affrontano più in generale i testi dell'Organon, della Fisica e della Metafisica; infine, il Commento piccolo o parafrasi, nel quale A. sintetizza gli scritti aristotelici senza riportarli direttamente. Tra i suoi scritti filosofici e religiosi, i principali sono: La distruzione della distruzione dei filosofi, Esposizione dei metodi di dimostrazione relativi ai dogmi della religione, Trattato decisivo ed esposizione della convergenza che esiste tra la legge religiosa e la filosofia. Il sistema filosofico di A. tronca alla radice ogni speranza di immortalità dei singoli individui, mentre eterni sono il mondo e la materia. Le sue opinioni furono combattute da San Tommaso d'Aquino (che tuttavia ammetteva come filosoficamente possibile la tesi di A., secondo la quale non esiste una creazione dal niente, una volta per sempre, ma questa ha luogo continuamente, attraverso il passaggio delle cose dalla potenza all'atto) e dagli Scolastici dell'università di Parigi (Cordoba 1126 - Marrakech 1198).