Corrente filosofica che si ispirò in generale al
pensiero filosofico e scientifico, in particolare all'interpretazione
aristotelica di Averroè (V.). I suoi
principi fondamentali erano i seguenti: eternità di Dio e del mondo;
esistenza di un unico intelletto possibile per tutti gli uomini (ossia
monopsichismo); negazione della Provvidenza e della libertà umana;
mortalità dell'umanità. Tale corrente ebbe un numero limitato di
seguaci nel mondo arabo, mentre venne maggiormente considerata tra gli Ebrei e
in Occidente. Il probabile iniziatore dell'
a., in Occidente, fu Michele
Scoto, che, a partire dal 1212, con le sue traduzioni portò alla
diffusione del pensiero di Averroè. Altri sostenitori furono Sigieri di
Brabante, Boezio di Dacia, Bernieri di Nivelles, Gosvin de la Chapelle, Giovanni
Baconthorp, Giovanni di Ripatransone ed Enrico di Harclay. L'
a.,
naturalmente, fu osteggiato da molti pensatori del tempo e, in particolare, da
Tommaso d'Aquino e da Bonaventura; fu addirittura condannato, nel 1270, dal
vescovo di Parigi, Stefano Tempier. Seguitò però a diffondersi,
nel secolo successivo, con Giovanni di Jandun, a Parigi, e con Pietro d'Abano, a
Padova, operando anche a livello politico, fino a che venne nuovamente
condannato dal V Concilio lateranense nel 1513.