Commedia di Plauto, composta nel 190 a.C., mutila nella
parte finale. Il vecchio Euclione, afflitto dalla più sordida avarizia,
ha nascosto in una pentola la propria ricchezza e vive nella più triste
miseria. Sua figlia Fedra è stata sedotta dal giovane Liconide, ma il
padre, ignaro, l'ha promessa in nozze al vecchio Megadoro, suo vicino di casa.
Fervono i preparativi per le nozze, ma Euclione non si occupa che della sua
pentola, che dappertutto gli sembra insicura. Nonostante tutto, il servo di
Liconide, Strobilo, riesce a sottrargliela. Lo strazio di Euclione è
immenso, allorché giunge Liconide a comunicargli d'avergli portata via la
cosa più cara. Dall'equivoco del padre che ritiene trattarsi della
pentola e del giovane che parla invece di Fedra, nasce uno di quei motivi comici
che saranno poi imitati innumerevoli volte nel teatro. Il lieto fine risolve
l'ingarbugliata situazione, permettendo a Fedra di sposare Liconide e a Euclione
di riavere la sua pentola d'oro. La commedia, che è tra le più
famose di Plauto, ruota sul carattere del vecchio avaro, che servirà poi
da modello ad "avari" d'ogni tempo, compreso quello di
Molière.