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GEOGRAFIA - ASTRONOMIA - STORIA DELL'ASTRONOMIA

DALL'ALBA DEL PENSIERO AL RINASCIMENTO

L'umanità esiste da milioni di anni e su migliaia dei secoli più antichi regna ancora un silenzio quasi totale. Dell'attività manuale dell'uomo primitivo ci restano solo poche tracce - pietre scheggiate, frammenti di utensili, asce e frecce - mentre della sua attività intellettuale non rimane alcuna testimonianza.
Le prime testimonianze del pensiero umano appaiono circa 20.000 anni fa, nell'ultimo periodo dell'era paleolitica: abbondano sepolcri, incisioni e sculture e si riconoscono perfino gruppi di stelle nelle prime pietre tombali. Si può immaginare che l'astronomia e l'aritmetica siano state le più vecchie tra le scienze, dal momento che l'attenzione del genere umano deve essere stata attratta dal grande fenomeno astronomico fin dai tempi più remoti e, primo fra tutti, dal fenomeno più ovvio e appariscente: l'alternanza del giorno e della notte.
Prima dell'invenzione della scrittura, il genere umano conosceva le fasi della Luna, il movimento diurno delle stelle, che presenta le costellazioni ogni notte con uno schema immutabile, ed il periodico ritorno delle stagioni. Le prime nozioni di cosmografia nacquero certamente per venire incontro alle necessità di naviganti, nomadi e agricoltori.
Dalla preistoria lo studio del cielo deve avere dato inizio a due correnti di pensiero: la comprensione dell'esistenza di leggi naturali immutabili e il tentativo di collocare esseri soprannaturali e onnipotenti nei cieli. Queste idee devono avere sicuramente dato inizio ai primi miti e culti stellari, che hanno un posto importante nelle varie religioni primitive. Per quanto si torni indietro nella storia dell'uomo, infatti, si incontrano pensieri e concetti di tipo cosmogonico. In tutte le epoche, in tutte le latitudini e in ogni livello di civilizzazione, l'uomo si è interrogato sulle sue origini, sulla formazione della Terra e dei cieli, sulla comparsa della vita. Gli interessi, per così dire, non erano solo scientifici, ma guidati da qualcosa di più della semplice curiosità; i nostri progenitori tentarono di formulare risposte prima di essere perfino in grado di esprimere correttamente le domande. I legami tra certi fenomeni celesti e terrestri furono conosciuti molto presto, in particolare tra il ciclo delle stagioni e il passaggio del Sole attraverso lo Zodiaco. Questo si può considerare come una introduzione del principio di causalità, la cui applicazione irrazionale condusse all'astrologia, ora non più considerata una scienza.
Accanto ai grandi fenomeni periodici ci sono eventi eccezionali, come eclissi e comete, i quali vennero interpretati come i segni di propositi maligni (più spesso che benigni) da parte delle divinità. Allo stesso modo il comportamento irregolare di alcuni corpi celesti (poi chiamati pianeti), rispetto al ciclico rivolgersi delle stelle, fu trovato misterioso. Così si sviluppava un miscuglio di astronomia, astrologia e religione, la prima spesso al servizio delle altre due.
Prima dell'età dei greci, nei grandi imperi di Mesopotamia, Egitto e Cina vedevano la luce cosmologie mitiche, assieme alla prima divisione del cielo in costellazioni e alle prime misure del tempo e dei movimenti delle stelle. L'astronomia, nei suoi primi incerti inizi, non ebbe altro ausilio strumentale che l'occhio umano. Allo scopo di misurare il tempo gli astronomi usavano lo «gnomone», un bastoncino piantato nel terreno, o il cosiddetto «solarium», una mezza sfera cava sulla quale si osserva l'ombra di uno gnomone fissato al centro, e la clessidra, più spesso ad acqua che a sabbia. Tra gli strumenti per puntare le stelle era usato «l'alidada», un semplice bastoncino dritto. Successivi sono gli utilizzi del compasso, dell'alidada con mire e di altri strumenti per misurare angoli in cielo. Per ultimi vennero i grandi quadranti, sui quali l'ombra di uno stilo indicava l'altezza del Sole a mezzogiorno, e le sfere armillari, cerchi concentrici capaci di girare tra di loro e quindi di simulare i movimenti celesti. Infine, nato dal desiderio di conoscere l'ora anche di notte, venne l'astrolabio piano. Questo strumento, inventato dai greci e poi riportato in occidente dagli arabi, servì a conoscere l'ora del giorno e della notte durante tutto il medioevo e scomparve soltanto con l'invenzione dell'orologio a pendolo.
Con questi rudimentali strumenti, che gli astronomi abbandonarono solo nel XVII secolo, le osservazioni a occhio nudo dei cieli diedero vita ai primi calendari, mappe ed effemeridi celesti. Comunque, proprio come con le altre scienze naturali, la nascita della cultura greca lasciò il primo segno nella storia dell'astronomia. Tutto si può far iniziare nei primi anni del VI secolo a.C. con la fondazione, da parte di Talete, della scuola ionica. Scienza e religione furono separate e l'aspetto soprannaturale fu rimosso dalle spiegazioni dei fenomeni. Talete, i suoi discepoli e i suoi successori elaborarono una teoria dell'Universo che fu atomica e cinetica, ed essendo dei materialisti, giunsero a un concetto del mondo dove gli dei giocavano un ruolo secondario.
Contemporaneamente alla fioritura a Mileto e a Samo della scuola ionica, nasceva nell'Italia meridionale la scuola di Pitagora. Fondata su una concezione matematica del mondo, attribuiva proprietà geometriche mistiche a numeri e figure. Il suo dogmatismo risultava nella concezione dualistica e religiosa dell'Universo. Queste due differenti scuole di pensiero diedero vita alle grandi scoperte astronomiche dell'antichità:
- il riconoscimento della Terra come un corpo celeste isolato nello spazio e perfettamente sferico;
- la direzione di caduta dei gravi diretta verso il centro della Terra;
- la prima misura delle dimensioni della Terra, della Luna e del Sole e della distanza Terra-Luna;
- il primo tentativo di misurare la distanza del Sole;
- la teoria delle eclissi;
- le ingegnose costruzioni geometriche capaci di spiegare il moto apparente dei pianeti sulla sfera celeste.
Tuttavia «il mondo antico» ha lasciato agli astronomi tre postulati che bloccavano lo sviluppo della scienza celeste.
Primo tra tutti era la concezione geocentrica che sosteneva che la Terra, assolutamente immobile, occupava il centro dell'Universo.
Secondo postulato era la divisione dell'Universo in due mondi:
- il Cosmo: un mondo di purezza dove nulla poteva mutare, mondo dell'etere e del moto circolare;
- il mondo sublunare: un mondo di impurità e di mutamenti, mondo della Terra e dei quattro elementi e del moto rettilineo, verso l'alto e verso il basso.
L'ultimo postulato sosteneva che il moto circolare uniforme, o una combinazione di moti di questo tipo, fosse l'unico moto possibile per i corpi celesti.
Questi postulati cosmologici, molto vicini ai principi fisici di Aristotele, regnarono praticamente inalterati per venti secoli. Unica eccezione fu il sistema proposto da Aristarco di Samo (III secolo a.C.). Costui pose il Sole al centro dell'Universo, sviluppando forse un'antica idea pitagorica e platonica dell'esistenza di un fuoco centrale, e attribuì due movimenti alla Terra: una rotazione sul suo asse e una rivoluzione intorno al Sole, ponendo inoltre le stelle a una distanza infinitamente grande da noi. Le opinioni di Aristarco - primo e ultimo astronomo eliocentrico dell'antichità e unico vero precursore di Copernico - furono immediatamente respinte dai sostenitori delle ipotesi geocentriche. Fra tutti i denigratori di Aristarco, primi furono gli astrologi, che avevano fatto del sistema geocentrico il fondamento delle loro previsioni.
Si arriva così al trionfo completo della dottrina di Tolomeo. La sua Sintassi Matematica (140 d.C.), restituita dagli arabi al mondo occidentale con il nome di Almagesto (cioé al-meghiste, il più grande) fu il coronamento finale e la summa di tutta l'astronomia antica. Tolomeo nella sua opera presenta una concezione completa dell'Universo, che è allo stesso tempo armonica e geometrica, oltre che costituire un trattato di astronomia pratica, fornito degli indispensabili concetti di geometria e dei rudimenti di trigonometria necessari per la comprensione del lavoro. Egli si basa completamente sulla fisica di Aristotele, che lo aveva preceduto di sei secoli, eccetto che per l'introduzione dell'equante.
Il moto dei pianeti nel sistema tolemaico è rappresentato mediante due sfere (il moto di Mercurio ne richiedeva eccezionalmente tre), dette «eccentrico» ed «epiciclo». La Terra non occupa il centro degli eccentrici, ma resta ad una certa distanza, il che, in un certo modo, corrisponde all'eccentricità delle nostre orbite ellittiche. Il centro dell'epiciclo si muove lungo la periferia dell'eccentrico ed il pianeta intorno alla periferia dell'epiciclo: l'eccentrico, in quanto sostiene il moto dell'epiciclo, porta il nome di «cerchio deferente».
L'equante è un punto interno del cerchio - il quale cerchio viene appunto chiamato eccentrico o deferente - che venne introdotto da Tolomeo per rappresentare il moto dei pianeti e dal quale punto il moto descritto dal centro dell'epiciclo appariva uniforme. Al centro del sistema la Terra è naturalmente immobile e la Luna le ruota intorno, insieme a Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno. Le stelle sono fisse sull'ottava sfera e sono quindi tutte alla stessa distanza dalla Terra.
Tolomeo costruì delle ingegnose combinazioni del moto circolare uniforme, per poter spiegare i moti apparenti dei pianeti, estremamente complessi. Due di queste combinazioni, il sistema degli epicicli e il sistema degli eccentrici, possono essere considerate ortodosse, da un punto di vista aristotelico, mentre la terza, il punto equante del sistema, non si sarebbe potuta accettare, in quanto disturbava, per così dire, il moto circolare uniforme.
Tuttavia l'astronomia tolemaica «funzionò» per quattordici secoli, senza variazioni di rilievo, anche se gli astronomi arabi la migliorarono in alcuni punti, come, ad esempio, nella descrizione del moto della Luna. Fino a che, nel Rinascimento, un piccolo gruppo «illuminato» di astronomi non aprì la strada a un nuovo cammino, e questo ancora prima che il progredire delle osservazioni costringesse ad una revisione complessiva del sistema degli antichi.

«DE REVOLUTIONIBUS»

La pubblicazione, avvenuta nel 1543, dell'opera De Revolutionibus Orbium Caelestium di Niccolò Copernico fu un evento memorabile, in quanto si può considerare come il segnale della fine dell'era geocentrica. Copernico, infatti - probabilmente spinto alla critica di Tolomeo dai suoi studi bolognesi, avvenuti presso il maestro e amico Domenico Maria Novara, che lo aveva iniziato allo studio dell'astronomia e alle osservazioni astronomiche - aveva posto il Sole al centro del suo sistema e la Terra era stata condotta al rango di pianeta, con un periodo di rotazione attorno al proprio asse di 24 ore e un periodo di rivoluzione attorno al Sole di un anno. Dei tre postulati che avevano impedito lo sviluppo dell'astronomia, quello geocentrico fu esplicitamente negato. Tuttavia, nonostante così venisse implicitamente negato anche il secondo postulato, cioè la dicotomia dell'Universo - cosa sarebbe, infatti, rimasto della purezza del mondo sublunare con la Terra in continua rotazione attorno ad esso? - il terzo postulato, il principio del moto circolare, venne rafforzato, invece di essere rigettato. Infatti Copernico sostituì i noti equanti di Tolomeo con il postulato del moto circolare uniforme a tutti i corpi celesti intorno al Sole.
In apparenza, quindi, vi erano pochi cambiamenti. Nella improbabile combinazione di sfere che erano venute a costituire la macchina dell'Universo, solo due corpi si erano scambiati le rispettive posizioni: la Terra e il Sole. Questo cambiamento, tuttavia, aveva almeno due conseguenze immediate. Da una parte, il moto della Terra intorno al Sole aveva aperto un nuovo campo di indagine per l'astronomia, usando il quale Keplero scoprì che i pianeti si muovono su delle ellissi di cui il Sole occupa uno dei fuochi. Dall'altra parte, la cosmologia copernicana era fondamentalmente incompatibile con la fisica aristotelica, anche se Copernico non aveva proposto una nuova fisica, e questo fatto creava una situazione nuova e dinamica: tutti i fisici che volevano adottare la cosmologia copernicana erano costretti ad abbandonare la fisica aristotelica e a cercare di definirne una nuova. Galileo, il fondatore della fisica moderna, fu colui che comprese la giusta direzione dando così un significato rivoluzionario al lavoro di Copernico.
Il sistema copernicano è di fatto più semplice di quello di Tolomeo, anche se è necessario definire di quale tipo di semplicità stiamo parlando. L'astronomia di Copernico fa uso di tante sfere quanto l'astronomia di Tolomeo e sotto questo aspetto è altrettanto complicata. Il problema, infatti, è di tipo cosmologico. Anche nella sua rappresentazione più semplice, il sistema tolemaico non può fare a meno del primo epiciclo, abbastanza grande, il quale sostituisce l'orbita della Terra intorno al Sole e permette di spiegare il moto dei pianeti sullo sfondo della volta celeste. Nel sistema copernicano, invece, il primo epiciclo è piccolo e permette di spiegare le deviazioni che vi sono tra il moto medio e il moto vero (in realtà tra il moto circolare uniforme e il moto ellittico non uniforme). Si può fare a meno di questo epiciclo senza grosse conseguenze. Un'ulteriore semplicità del sistema copernicano è che, nonostante i pianeti inferiori e superiori abbiano moti differenti, essi si trovano a occupare la stessa posizione cosmologica. Nel sistema di Tolomeo, invece, questa posizione viene a essere diversa scambiando i ruoli degli epicicli e dei deferenti. Infine, e soprattutto, nel cosmo copernicano vi è una relazione semplice tra l'ordine dei pianeti e i loro periodi di rivoluzione: quanto più un pianeta è lontano dal Sole tanto più lentamente percorre la sua orbita in cielo e, senza questa semplice relazione, Keplero, forse, non avrebbe mai cercato, né trovato, la sua «terza legge dei moti planetari». Tutto questo non sarebbe potuto accadere nella descrizione del «mondo» tolemaica!
Nonostante ciò, la discussione tra i due sistemi, quello di Tolomeo e quello di Copernico, era ancora aperta. Lo stesso Tycho Brahe, il primo astronomo a perfezionare gli strumenti degli antichi e a migliorare di dieci volte la precisione delle osservazioni, non era un copernicano! Egli infatti preferì optare per un sistema intermedio e, da un punto di vista puramente cinematico, molto più pratico. La Terra veniva anche da lui considerata immobile al centro dell'Universo, il che gli permetteva di descrivere i moti degli altri corpi del sistema: il Sole ruotava intorno alla Terra, ma Mercurio e Venere ruotavano intorno al Sole. Le orbite di Marte, Giove e Saturno comprendevano, infine, tutti gli altri pianeti, Terra compresa. Mediante questo sistema egli spiegava la diversità dei moti dei pianeti inferiori e superiori, non rappresentando ancora correttamente, tuttavia, la realtà del mondo. I meriti di Tycho Brahe furono numerosi e legati tutti alla sua splendida capacità di osservatore, avendo egli compiuto, infatti, eccellenti osservazioni planetarie, soprattutto dell'orbita di Marte. Questa fama spinse il giovane Keplero fino a Praga per incontrarsi con Brahe, proprio poco prima della sua morte.
Fino all'inizio del diciassettesimo secolo, le idee copernicane si propagarono attraverso l'Europa, ma con molta cautela, soprattutto ad opera di Georgius Joachimus Iserim de Porris, detto Rheticus, suo unico discepolo. Contrariamente a quanto comunemente si crede, non fu la Chiesa cattolica la prima a condannare le idee copernicane, bensì fu il mondo protestante ad opporvisi per primo. Lo stesso Lutero, infatti, informato da voci che già circolavano ancora prima della pubblicazione del De Revolutionibus, condannò con estrema violenza le folli idee che volevano la Terra in moto. Anche il «gentile» Melantone - grecista dell'Università di Wittemberg e curatore della pubblicazione di molte opere degli antichi astronomi - non solo considerò assurdo il tentativo di tenere fisso il Sole e di far muovere la Terra, ma affermò anche che un saggio governo non avrebbe dovuto permettere la diffusione di tali idee. Parlando di Copernico nel suo Doctrinae physicae elementa, pubblicato a Basilea nel 1550, dice tra l'altro:
«...et oculi sunt testes coelum circumagi in 24 horis; sed hic aliqui vel amore novitatis, vel ut ostendant ingenia disputarunt moveri terram...» (...gli occhi sono testimoni del fatto che il cielo ruota in 24 ore; tuttavia taluni, o per amore delle novità o per dimostrare ingegno, disquisirono sul fatto che la Terra si muove).
Nasce da questi motivi l'indifferenza che fece seguito alla pubblicazione del De Revolutionibus, dovuta anche ad una anonima «Introduzione», che molti supposero di mano di Copernico, ma in realtà dovuta al teologo luterano di Norimberga Andreas Hossman, detto Osiander, che era stato il supervisore della stampa. Questa famosa «Introduzione» presentava il sistema copernicano come un'ipotesi matematica come tante altre, permettendo così agli astronomi di usarlo nei loro computi, senza dovere per questo essere sottoposti all'accusa di averne accettato anche i significati filosofici e religiosi. La prefazione autentica al De Revolutionibus, dettata da Copernico al Rheticus, si conobbe soltanto nel 1854, quando fu pubblicato il manoscritto copernicano posseduto dal conte Nostitz di Praga.
Fu solo più tardi, in Italia, che fisici come Galileo Galilei e filosofi come Giordano Bruno compresero a fondo l'importanza del De Rivolutionibus.
Bruno, andando molto più avanti di Copernico, affermò che, se la Terra è un pianeta come gli altri, allora non ha più senso la divisione tra cosmo e mondo sublunare. Egli proclamò l'unità dei cieli e della Terra, l'identica natura del Sole e delle stelle, l'infinità dell'Universo e la pluralità dei mondi e furono proprio queste sue idee a condurlo al rogo.

I PIANETI MEDICEI

Tra la fine del 1609 e l'inizio del 1610 Galileo Galilei rivolse un telescopio al cielo, scoprendo così un nuovo mondo. La Via Lattea fu risolta in milioni di stelle; gli apparvero gli anelli di Saturno - enormemente distorti e ancora incomprensibili - e alcuni dettagli di quella che credeva essere la superficie di Giove; le misure delle ombre sulla Luna gli permisero di stimare l'altezza dei monti lunari; osservò in tutta la loro evidenza le fasi di Venere; ma, soprattutto, con la scoperta dei satelliti di Giove, dimostrò in modo inequivocabile che non esisteva un unico centro del moto in tutto l'Universo, come sosteneva la fisica aristotelica. Sia che si preferisse la teoria eliocentrica o quella geocentrica, vi era oramai evidenza dell'esistenza di almeno due centri di rivoluzione: la Terra, attorno a cui ruota la Luna, e Giove, attorno a cui ruotano i quattro satelliti, dallo stesso Galilei chiamati «pianeti Medicei». Partito da semplici ipotesi cinematiche, il sistema di Copernico era divenuto una realtà fisica!
La reazione della Chiesa cattolica fu tanto brutale quanto inefficace. La scomunica di Giordano Bruno, condannato al rogo a Roma nel 1600 per eresia, screditò le tesi di Copernico, che furono solennemente condannate nel 1616, oltre 70 anni dopo la loro pubblicazione. Galileo fu costretto ad abiurare nel 1633, ma prima della fine del secolo Newton stabilì che le forze di attrazione che governano i moti dei pianeti e la forza di gravità che regola la caduta dei gravi sulla Terra hanno un'identica natura. Venne così definitivamente a cadere la distinzione tra mondo sublunare e resto dell'Universo: un'unica legge governava tutto il Cosmo!
Ritorniamo per un istante, tuttavia, al giovane Keplero, che avevamo lasciato a Praga, dove era arrivato il 4 febbraio del 1600, dopo avere pubblicato il Mysterium Cosmographicum. Keplero era un convinto copernicano e aveva dispiegato una incredibile energia nello spiegare la struttura del mondo con incastri successivi di figure poliedriche convesse regolari. Gli sforzi fatti in questa direzione, tuttavia, non portarono alcun contributo tangibile allo sviluppo astronomico, salvo il fatto di aver segnalato una inconsistenza nel sistema copernicano. Keplero, infatti, affermò che i piani in cui si sviluppano le orbite dei pianeti passano attraverso il Sole, rimanendo costanti le loro inclinazioni rispetto all'eclittica, mentre Copernico le aveva fatte passare attraverso il centro della Terra.
Nel 1601 Keplero ebbe l'opportunità di entrare in possesso dei quaderni d'osservazione di Tycho Brahe, in particolare di quelli dedicati all'orbita di Marte. Avendo ottenuto il posto di «Matematico Imperiale» presso l'osservatorio di Tycho e raggiunta così la tranquillità di un posto di lavoro sicuro, si dedicò al delicato problema dell'orbita di Marte. Espresse le posizioni del pianeta rispetto al centro del Sole e si rese così conto come fosse impossibile spiegare il movimento mediante una combinazione di moti circolari uniformi. Provò allora a ritornare all'utilizzo dell'equante, già rifiutato da Copernico e trovò che una sfera ed un punto equante riuscivano a soddisfare quattro posizioni di Marte, opportunamente scelte, mentre le altre posizioni non trovavano riscontro sulle orbite così determinate. L'equante, così come gli epicicli e gli eccentrici, non riusciva a spiegare le osservazioni di Tycho Brahe, essendovi delle discrepanze dell'ordine di una decina di primi d'arco. La fiducia che Keplero riponeva nella qualità delle osservazioni di Tycho Brahe era tale da fargli riconsiderare l'intero problema, ripartendo da un accurato studio dell'orbita della Terra. Per una incredibile e fortunata combinazione, dal momento che due errori che aveva fatto nei calcoli si erano annullati a vicenda, egli scoprì quella che sarebbe poi diventata nota come la prima legge di Keplero:
il raggio vettore che congiunge il pianeta al Sole spazza aree uguali in tempi uguali.
Dopo di che scoprì che l'orbita di Marte ha forma «ovale». I suoi tentativi di costruire delle orbite furono numerosi, ma infine giunse a trovare una figura geometrica, da tempo nota ai matematici, ma che nessuno avrebbe mai immaginato di poter suggerire per le orbite dei pianeti: l'ellisse. Questo è quanto esprime, dunque, la seconda legge di Keplero:
i pianeti si muovono lungo delle ellissi delle quali il Sole occupa uno dei fuochi.
Le prime due leggi dei moti planetari apparvero nel 1609 in Astronomia Nova, quasi nello stesso tempo in cui Galileo osservava le lune di Giove, subito imitato dallo stesso Keplero, che dette loro il nome di satelliti. Tuttavia le prime due leggi, nonostante la loro importanza, non soddisfacevano pienamente il loro autore. Era nelle sue intenzioni cercare di scoprire l'eventuale esistenza di una terza legge ed insistette, allora, con lo studio degli appunti di Tycho Brahe per trovare un'espressione matematica per il rapporto che Copernico aveva suggerito esistere tra le distanze dei pianeti dal Sole ed i loro periodi orbitali. Keplero mise in questo lo stesso impegno che aveva messo nelle sue ricerche sulla struttura del mondo e finalmente, nel 1618, dopo nove anni di lavoro sui dati di Tycho Brahe, pubblicò nel suo Harmonice Mundi quella che sarebbe poi stata chiamata la terza legge di Keplero:
i quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono proporzionali ai cubi delle loro distanze medie dal Sole.
Non bisogna però credere che Keplero indagasse senza preconcetti i fenomeni, come sarebbe stata rigida norma di Galileo. Egli si lasciava sedurre dal soprannaturale, credendo con i pitagorici al valore fisico dei numeri e con gli scolastici alla corrispondenza tra le forme geometriche e gli attributi divini. Esempio di tale tendenza è il suo giovanile Prodromus dissertationum cosmographicarum continens mysterium cosmographicum etc., stampato a Tubinga nel 1596 e di cui abbiamo poco sopra fatto cenno, nel quale espone un modello di sistema solare costituito dai cinque corpi regolari che già erano serviti ai pitagorici per rappresentare l'aria, l'acqua, il fuoco, la terra, il cielo. I corpi erano intercalati ai pianeti in quest'ordine: Mercurio, Ottaedro, Venere, Icosaedro, Terra, Dodecaedro, Marte, Tetraedro, Giove, Cubo, Saturno. Ad ogni corpo regolare era inscritta una sfera che circoscriveva a sua volta il corpo immediatamente più interno e così via, finché si arrivava al Sole, centro delle sei sfere e dei cinque corpi. Poiché, però, le distanze dei pianeti dal Sole non erano sempre le medesime, alle sfere era assegnato uno spessore, corrispondente alla doppia eccentricità lineare di ciascuna orbita; così i pianeti, senza abbandonare lo strato sferico contenente la loro orbita, potevano passare dalla distanza afelia alla perielia, cioè dal punto più lontano al punto più vicino al Sole. Questa combinazione geometrica rispondeva ai rapporti delle distanze planetarie com'erano conosciuti nel 1596, ma la discussione delle osservazioni tychoniane, come abbiamo notato prima, condusse Keplero a quei valori più precisi che fecero crollare il castello cervellotico così faticosamente edificato. Non si liberò tuttavia dal pregiudizio dei numeri e, nella ricerca di armonie planetarie, tentò di sostenere la sua tesi che il rapporto fra le velocità afeliche e le perieliche, ossia fra le velocità estreme di ciascun pianeta, fosse armonico nel senso musicale; il calcolo dei rapporti gli diede i seguenti risultati:
Saturno    4:5   =  terza maggiore
Giove      5:6   =  terza minore
Marte      2:3   =  quinta
Terra     15:16  =  semitono maggiore
Venere    24:26  =  semitono minore
Mercurio   5:12  =  ottava con la terza minore.

Soltanto la Terra e Venere facevano eccezione con il loro rapporto disarmonico. Trovò ancora che erano armonici i rapporti fra la velocità minima di un pianeta superiore e la massima del pianeta immediatamente inferiore; così pure la massima del superiore e la minima dell'immediatamente inferiore, di modo che l'armonia si estendeva all'insieme dei pianeti: questa musica celeste era udibile, secondo lui, soltanto dal Sole. Fu una intensa meditazione su queste cose che lo condusse alla scoperta della sua terza legge. La posterità spogliò poi l'opera di Keplero dalla scoria «cabalistica», appropriandosi così di quanto di scientificamente moderno essa conteneva.
In Inghilterra le sue dottrine furono intese dapprima soltanto da Geremia Horrox, una cui opera, pubblicata postuma, si intitolava, infatti, Astronomia Kepleriana Defensa ac promota, e in Italia da Giovanni Alfonso Borelli, che riconobbe nel 1666: orbes perfecte circulares a coele exulare iussit... Uomini come Galileo, Cartesio e tanti altri non apprezzarono la vera portata della sua opera, che sarebbe stata invece per Newton, più di mezzo secolo dopo, un punto di partenza.
Ormai Copernico era stato ampiamente superato: l'assioma del moto circolare uniforme era stato abolito e le leggi dei moti planetari avevano aperto la via ad una comprensione dei moti apparenti dei pianeti più profonda di quanto avesse permesso l'invenzione di una gerarchia di sfere. In Italia Galileo Galilei sferrò un altro colpo mortale alla fisica aristotelica. I suoi esperimenti sulla caduta dei gravi, esperimenti tradotti in linguaggio matematico, non solo avevano portato alla legge di inerzia - parte essenziale nella comprensione della dinamica stellare - ma condussero poi alla fondazione della fisica moderna.
Tra il 1600 e il 1610, infatti, Galileo stabilì che le traiettorie dei proiettili con velocità iniziale orizzontale sono delle parabole. Fu poi Torricelli a generalizzare questo risultato per ogni velocità iniziale, il che dette origine all'idea di una conservazione della componente orizzontale della velocità per corpi dotati di massa, portando al concetto di moto perpetuo, senza il quale si sarebbe dovuto introdurre qualcos'altro per spiegare il moto delle stelle. Verso il 1630 Cartesio generalizzò questi risultati per tutta la materia ed espresse l'assioma che il moto naturale avviene per linea retta e non è circolare. Simultaneamente e indipendentemente la meccanica celeste e la meccanica terrestre procedettero a passi da gigante. Keplero e Galileo avevano analizzato e notato fatti senza comprenderne a fondo le cause e senza riuscire ad unificare questi due nuovi campi di indagine, ma erano riusciti, tuttavia, a preparare il terreno per il genio di Newton.

LA NASCITA DELL'ASTRONOMIA MODERNA

Si racconta che, in una sera del 1665, Newton meditasse in un giardino del Lincolnshire, dove si era rifugiato a causa della peste di Londra che aveva fatto chiudere l'università di Cambridge. Pare che ci fosse la Luna piena e si udisse un tonfo: una mela era caduta a terra. Newton allora si sarebbe posto la domanda: perché la Luna non cade sulla Terra come questa mela? Gli venne subito in mente una risposta paradossale, come solo ad un genio può accadere: in realtà in ogni istante la Luna cade verso la Terra! La forza che attrae la mela a terra e la forza che impedisce alla Luna di cadere è la stessa.
Questa può essere benissimo una storia inventata, anche se possiede un fondo di verità. E' soprattutto esemplare, non perché insegna che è sufficiente sognare in un giardino per fare in un attimo una delle maggiori scoperte di tutti i tempi, ma perché illustra il fatto che alcune idee fondamentali del pensiero scientifico sono nate da domande elementari su argomenti di tutti i giorni. Fu la stessa cosa con la relatività speciale, derivata dalla domanda abbastanza comune che si pose Einstein e a cui ebbe il genio di rispondere: cosa vuol dire che due eventi sono simultanei?
Una cosa è intuire che la forza che fa cadere le mele e la gravità che governa i moti dei pianeti e delle stelle sono la stessa forza, un'altra cosa è dimostrarlo con dei calcoli e trasformare questa intuizione in forma matematica. La storia dello sviluppo del pensiero di Newton non è conosciuta nei dettagli poiché ci restano sull'argomento ben pochi documenti. Si è affermato che il valore del raggio della Terra comunemente accettato nel 1665 - valore che era utilizzato nei conti che permettevano di stimare la caduta della Luna - fosse troppo poco accurato per verificare i calcoli e che Newton, quando era venuto a conoscenza di una nuova misura dell'arco di meridiano eseguita dall'abate Picard, avrebbe voluto rifare i conti di nuovo. Questo tuttavia non spiega perché invece rifece i suoi calcoli solo nel 1682 - le misure di Picard erano state completate già nel 1670 - e inoltre il miglioramento del 15 per cento nell'accuratezza non sembra essere decisivo. Newton aveva altri più grossi ostacoli sulla sua strada. Egli doveva ancora capire che l'attrazione diminuisce come il quadrato della distanza, ma soprattutto che la gravità risulta dall'attrazione di tutti i punti della Terra su di un corpo, sia esso la Luna o la mela. Non era così evidente ed intuitivo che la gravità si comportasse come se tutta la massa drraella Terra fosse concentrata in un punto nel suo centro. Senza riuscire a dimostrare questo, l'incertezza nella distanza della mela da terra era più importante dell'incertezza connessa alla stima della lunghezza dell'arco di meridiano.
Newton dovette creare un adeguato strumento matematico per risolvere il problema - a dimostrazione del fatto che non è sufficiente avere una brillante intuizione sotto un albero di mele - e questo strumento fu quello che la scuola geocentrica italiana del Seicento aveva chiamato calcolo degli indivisibili, mentre Newton lo chiamò calcolo delle flussioni, ossia il calcolo infinitesimale, precursore del moderno calcolo differenziale. Egli mostrò pertanto come si doveva studiare il moto di masse sottoposte a forze esterne, non limitandosi a considerare la variazione del moto di secondo in secondo, ma in un intervallo di tempo infinitamente più piccolo. Espresse tale variazione con quelle formule differenziali che sono poi ugualmente applicabili a tutti i moti. Poté così dimostrare che la caduta dei gravi era un caso particolare dei moti che osserviamo nei corpi celesti, obbedienti tutti alla medesima legge - la legge di gravitazione universale - la quale quindi rendeva piena ragione delle leggi di Keplero, non più constatabili soltanto con l'osservazione, ma deducibili in tutti i loro particolari dalle sue equazioni differenziali del moto. La terza legge di Keplero fu infine ritoccata con l'inserzione delle masse dei due corpi gravitanti intorno al comune centro di gravità. Il valore universale della legge di gravitazione, con cui egli spiegò anche la precessione degli equinozi e le maree, gli fece sperare che essa fosse applicabile anche ai fenomeni della luce, che considerava come un'emissione di corpuscoli materiali minutissimi, di diametro variabile con il colore.
La corrispondenza di Newton tra il 1670 e il 1680 mostra quanto siano state numerose le esitazioni e le false partenze che egli ebbe durante lo sviluppo delle sue ricerche. Nel 1679, per esempio, Hooke propose di studiare l'effetto della rotazione della Terra sulla caduta dei gravi. Newton dette la soluzione sbagliata: secondo lui, infatti, la traiettoria risultante sarebbe dovuta essere una spirale. Fu poi lo stesso Hooke a trovare la soluzione corretta: la traiettoria è un'ellisse. Newton riconobbe il suo errore in una lettera ad Halley ed è probabile che sia stato il problema di Hooke a favorire il suo studio sulla gravità. Dal 1683 al 1685 Newton scrisse il grande lavoro che inaugurò realmente la moderna astronomia. Lo scritto apparve nel 1687, grazie ad un aiuto finanziario da parte di Halley, con il titolo di Philosophiae naturalis principia mathematica.
Newton basò la meccanica su tre principi elementari:
- tutti i corpi non sottoposti ad una forza esterna rimangono in quiete o si muovono di moto uniforme a velocità costante e in linea retta;
- le variazioni del moto sono proporzionali alla forza che le ha originate e l'accelerazione è in direzione di quella forza;
- ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
Nel realizzare la sua grande sintesi del lavoro di Keplero sui moti dei pianeti, dei lavori di Galileo sulla caduta dei gravi e di quelli di Huygens sulla forza centrifuga, e nel metterli in relazione con i principi precedenti, Newton stabilì, come abbiamo visto, la legge della gravitazione universale:
due corpi si attraggono vicendevolmente con una forza proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra i loro centri di gravità.
L'ultimo ostacolo al progresso della astronomia era così rimosso! L'Universo non consisteva più di due parti: la stessa legge governava la caduta dei corpi terrestri (compresa la traiettoria delle palle da cannone) e i moti dei corpi celesti. Per la prima volta l'astronomia aveva a disposizione una legge differenziale con la quale poter dedurre dallo stato di un sistema ad un determinato istante il suo stato negli istanti immediatamente successivi. Prima di Newton la scienza dei moti celesti aveva a disposizione solamente delle tavole numeriche legate a modelli geometrici arbitrari ed artificiali oppure a leggi empiriche ed integrali come quelle di Keplero, in grado di descrivere solo i moti complessivi.
Gli altri lavori che resero famoso Newton furono quelli sulla natura della luce. Il 6 febbraio 1672 Newton scrisse a Oldenburg:
«Così come vi avevo promesso, ho il piacere di informarvi del fatto che, all'inizio dell'anno 1666 (a quel tempo mi dedicavo a cercare di ottenere vetri ottici di figura diversa da quella sferica), mi procurai un prisma di vetro triangolare per studiare con quello i famosi Phaenomena dei Colori. Avendo a questo scopo oscurata la mia stanza e praticato un piccolo foro negli scuri della finestra, per lasciar filtrare una quantità conveniente di luce solare, posi il mio prisma in modo da poter vedere rifratta la luce sull'opposta parete. Fu all'inizio un vero piacere il vedere i colori intensi e vividi prodotti da quello.».
Passato il primo momento di emozione, Newton intraprese una serie di esperimenti su questa decomposizione della luce bianca in luce di vari colori. I suoi esperimenti furono la base della spettroscopia, con cui si può dire che sia realmente iniziato lo studio fisico delle stelle. Grazie alla spettroscopia gli astronomi possono conoscere la composizione chimica delle stelle, le loro temperature e i fenomeni che avvengono nei loro interni. Si può quindi considerare Newton come il pioniere delle due grandi strade sulle quali l'astronomia poteva cominciare a progredire: la meccanica celeste e la fisica stellare.
In un periodo storico di un secolo e mezzo vi erano state ben quattro date significative:
- 1543, pubblicazione del De Revolutionibus di Copernico;
- 1609, prime osservazioni celesti e pubblicazione della Astronomia Nova di Keplero;
- 1632, pubblicazione del Dialogo sui massimi sistemi di Galileo;
- 1687, pubblicazione dei Principia di Newton.
Anche il 1667 era stato un anno importante. In quell'anno Auzout e Picard inventarono il micrometro filare e lo applicarono agli oculari dei telescopi. Il telescopio, che fino ad allora aveva semplicemente aumentato il potere di rivelazione dell'occhio, ora poteva fornire all'astronomia accurate misure angolari. Per esempio, le posizioni angolari dei satelliti di Giove rispetto al pianeta, fino ad allora stimate approssimativamente, furono così determinate con una precisione di pochi secondi d'arco.
Pochi anni più tardi, l'applicazioone del pendolo agli orologi aumentò la precisione delle misure di tempo e l'astronomia, scienza descrittiva, divenne una scienza di precisione. L'astronomia stellare fu il primo settore a beneficiarne. Dal diciottesimo secolo in poi, i passi più importanti in questa richiesta di precisione nelle misure astronomiche furono i cataloghi di Flamsteed per l'emisfero nord, redatto a Cambridge, e quelli dell'abate Lacaille per l'emisfero sud, redatto al Capo di Buona Speranza. Poi seguirono quelli di Bradley, Piazzi e Bessel. Vennero in seguito la compilazione del grande catalogo di Argelander - il cosiddetto Bonner Durchmusterung - e quello di Gould - la Uranometria Argentina - entrambi ancora utilizzati.
Il diciottesimo secolo vide anche il trionfo della meccanica celeste e fu un tale trionfo che questa disciplina divenne il modello di tutte le scienze esatte, dando per un momento l'impressione che tutti i domìni della fisica fossero destinati a essere ricondotti alla meccanica. Inizialmente la maggior resistenza alle teorie di Newton si ebbe in Francia, sotto la pressione di numerosi e potenti cartesiani. Paradossalmente, però, furono proprio gli astronomi francesi che raccolsero la sfida. Clairaut, d'Alembert e Mapertuis, insieme allo svizzero Euler, furono i realizzatori di quello straordinario sviluppo che sarebbe culminato nei lavori di Lagrange e Laplace, raggiungendo poi il suo apice nel calcolo della posizione di Nettuno eseguito da Le Verrier. Posizione che fu calcolata indipendentemente anche dal matematico inglese John Couch Adams.
Lagrange, nato a Torino, ma francese di adozione, ebbe una vastissima produzione matematica, ottenendo dei risultati completamente nuovi nella meccanica celeste. Egli studiò i moti dei satelliti di Giove e le variazioni secolari e periodiche dei pianeti con le loro perturbazioni. Per risolvere questi problemi egli introdusse il metodo della variazione delle costanti arbitrarie, lasciando come sua opera più significativa, la Méchanique analytique. Anche il lavoro di Laplace fu immenso e famosissimo. Nato nel 1749, egli dimostrò, nel 1773, l'invariabilità dell'asse maggiore dei pianeti e stabilì, nel 1784, la stabilità del Sistema Solare. Le sue ipotesi cosmogoniche, sulla formazione del Sistema Solare per contrazione da una nube primordiale di gas e polveri, discusse in Exposition du système du monde (1796), sono ancora oggi attuali e i suoi Traité de méchanique céleste (1798-1825) e Théorie analytique des probabilités (1812) resero il suo nome immortale.
Mentre la Francia proseguiva il lavoro di Newton ai più alti livelli, l'Inghilterra non rimaneva certamente indietro. Due fondamentali scoperte vengono accreditate a Bradley. Nel 1727, intendendo dimostrare l'esistenza della parallasse annua delle stelle fisse, Bradley scoprì l'aberrazione della luce - spostamento annuo delle stelle dovuto alla combinazione della velocità della Terra nella sua orbita e della velocità della luce - quasi contemporaneamente al bolognese Eustachio Manfredi. Confermò con questo sia la velocità finita della luce, scoperta nel 1676 da Roemer, che la validità del sistema copernicano. Finalmente, due secoli dopo Copernico, si poté osservare un fenomeno fisico che confermava la rivoluzione della Terra attorno al Sole. Per poter avere invece una prova fisica della rotazione della Terra intorno al proprio asse, si devono aspettare gli esperimenti effettuati nel 1790-91 da Giovan Battista Guglielmini, sulla deviazione dalla verticale dei gravi in caduta libera, prima svolti nella Specola dell'Istituto delle Scienze di Bologna, poi all'interno della torre degli Asinelli, nella stessa città. Nel 1748 Bradley descrisse la nutazione: l'asse della Terra oscilla sotto l'influenza gravitazionale della Luna, con un periodo di 18 anni, e fu questa una conferma sperimentale e osservativa delle leggi della gravitazione di Newton.
In meno di due secoli l'astronomia aveva completamente cambiato il suo volto. Prima del diciassettesimo secolo, per praticare l'astronomia, si prendeva un modello cosmologico, generalmente quello di Tolomeo, di poco emendato o eccezionalmente sostituito, come nel caso di Copernico. Quindi, equipaggiati dei soli occhi e di tre o quattro strumenti rudimentali, si osservavano i principali corpi celesti giorno per giorno, anzi, notte per notte e si correggevano le previsioni delle tavole astronomiche. Le stelle erano considerate come punti luminosi senza apparente importanza, tranne il fatto che permettevano di definire le posizioni a istanti definiti, come per esempio durante la navigazione. Gli scopi da raggiungere e le tecniche erano estremamente semplici, così come lo strumento matematico: la trigonometria elementare. Non vi era praticamente traccia di un approccio fisico.
Dall'inizio del diciassettesimo secolo, l'invenzione del telescopio rivoluzionò l'astronomia. In poche notti di osservazione con il telescopio, Galileo aveva fornito un contributo alla conoscenza maggiore di quello di tutti i suoi predecessori. Ebbe inizio da allora, e sarebbe durato fino ad oggi, il legame indissolubile dello sviluppo delle tecnologie con la conoscenza teorica. La costruzione di telescopi via via più potenti permise agli astronomi di osservare sempre più in profondità l'Universo e il nome di William Herschel spicca come uno dei più luminosi in questo campo.
Fino ad ora associata solo alla matematica, da questo momento l'astronomia è unita a tutte le scienze che studiano la natura.
La teoria di Newton sulla gravitazione universale

La teoria di Newton sulla gravitazione universale


LO SVILUPPO DELL'ASTRONOMIA TRADIZIONALE

La Rivoluzione industriale, che ebbe inizio in Inghilterra alla fine del Settecento, ben presto si diffuse in Europa e negli Stati Uniti, durante tutto l'Ottocento. Sorsero industriali e affaristi, i quali presero il controllo dell'industria e del commercio e imposero un nuovo ordine sociale ed economico. Le scienze matematiche divennero ben presto la base dello sviluppo tecnologico e la nuova borghesia assistette allo sviluppo di queste scienze, convinta che il progresso tecnico e lo studio della natura fossero necessariamente buoni e benefici per i propri interessi. Lo sviluppo dell'astronomia dimostrò che l'utilità pratica non era l'unico motivo di interesse nelle scienze: dopo la matematica, l'astronomia fu considerata come il più ragguardevole campo di ricerca, in quanto scienza preposta allo studio e all'approfondimento della conoscenza dei meccanismi che governano la natura. Vennero fondati numerosi osservatori nella maggior parte delle nazioni più avanzate, soprattutto legati ad università o sovvenzionati da privati.
Come è ben noto, l'astronomia tradizionale trasse enorme beneficio dal progresso fatto nel campo della meccanica e soprattutto dell'ingegneria di precisione. Fino all'inizio del diciottesimo secolo, i migliori costruttori di strumenti erano stati gli Italiani, fino all'inizio del diciannovesimo secolo furono i Francesi e soprattutto gli Inglesi. Poi fu il turno dei Tedeschi e antesignano dei nuovi strumenti fu il circolo meridiano, il quale permetteva la misura contemporanea delle due coordinate di una stella. Bessel (1784-1846) era stato, a Königsberg in Germania, il pioniere di questo tipo di strumento, aumentando considerevolmente la precisione delle osservazioni. Fraunhofer (1787-1826) perfezionò la costruzione di componenti ottiche che, unite a eccellenti meccanismi, andarono a costituire strumenti di insuperabile qualità. Lo stesso Fraunhofer, insieme ad altri, come Ramsden in Inghilterra, migliorò e addirittura inventò accessori per le misure. Anche la tecnica di costruzione degli orologi compì grandi progressi. Gauss a Göttingen nel 1804 inventò il metodo dei minimi quadrati, che permetteva un'analisi obiettiva delle osservazioni (fino ad allora gli astronomi si erano accontentati di selezionare arbitrariamente le osservazioni che sembravano migliori). Con tutti questi perfezionamenti si migliorarono non solo le misure classiche (per esempio quelle delle distanze all'interno del Sistema Solare), ma si poterono affrontare anche nuovi problemi. Bessel in Germania, Wilhelm Struve in Estonia a Dorpat (l'odierna Tallinn) e poi Otto Struve a Pulkovo, in Russia, riuscirono a misurare per la prima volta nel 1840 le distanze di alcune stelle, grazie alle misure dei loro spostamenti apparenti nel corso dell'anno rispetto alle stelle più lontane. Riuscirono cioè a misurare quella quantità chiamata «parallasse annua» e che, prima da Aristarco e da Ipparco, poi dagli astronomi del Seicento e Settecento, era stata lungamente e invano cercata, al fine di dimostrare, con la determinazione di questa, la validità del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico.
Nell'Ottocento le osservazioni sistematiche andarono ben oltre il lavoro individuale di astronomi isolati, ma diventarono parte di grandi imprese internazionali. Per esempio, gli astronomi tedeschi organizzarono il primo di questi grandi programmi nel 1871, svolto da sedici osservatori posti a varie latitudini, ognuno dei quali aveva come incarico l'osservare le stelle più brillanti poste in una determinata fascia di declinazione. Il catalogo che ne risultò fu il già citato Bonner Durchmusterung, comprendente più di 100.000 posizioni di stelle, il cui completamento occupò molti anni. Questo non fu l'unico lavoro di questo tipo: un congresso astronomico tenutosi a Parigi nel 1889, ad esempio, prese la decisione di realizzare un atlante fotografico del cielo, usando un gran numero di telescopi identici, costruiti dai fratelli Prosper e Paul Henry. Una quantità enorme di lavoro fu impiegata nella preparazione di questa mappa fotografica del cielo, chiamata La Carte du Ciel, che necessitò di un tempo molto più lungo del previsto. Questi progetti, insieme ad altri simili, furono gli antesignani della vasta collaborazione che oggi vi è tra gli astronomi di tutto il mondo.

L'APICE DELLA MECCANICA CELESTE

Il termine «meccanica celeste» fu coniato da Laplace, il quale portò notevoli miglioramenti nel metodo di calcolo dei moti dei corpi celesti. Ulteriori miglioramenti furono apportati nel corso del diciannovesimo secolo. La meccanica celeste veniva considerata, in un certo senso, la scienza suprema, il trionfo dell'umano intelletto, in quanto unione di due scienze quali la matematica e l'astronomia. Migliorata da Gauss, Cauchy, Bessel e Jacobi, per ricordare solo i più famosi astronomi matematici della prima metà del secolo scorso, la meccanica celeste raggiunse il suo apice quando Le Verrier (1811-1877), studiando le misteriose perturbazioni osservate nei moti di Urano e sulle quali aveva lavorato invano anche Laplace, le attribuì ad un nuovo pianeta, di cui aveva previsto la posizione più o meno correttamente.
J.C. Adams aveva compiuto un lavoro analogo a Cambridge, in Inghilterra, ma fu utilizzando le osservazioni di Le Verrier che il nuovo pianeta, Nettuno, fu scoperto da Galle il 23 settembre 1846 all'Osservatorio di Berlino.
La scoperta fu considerata dal grande pubblico quasi miracolosa e infatti si può dire che fu proprio tale, dal momento che c'erano diverse soluzioni possibili per l'orbita del pianeta perturbante. Le Verrier non aveva scelto la soluzione corretta e fu proprio per caso che Nettuno venne scoperto vicino al punto previsto. Questa storia venne raccontata a quei tempi da due americani, Peire e Walker, il cui comportamento, sebbene perfettamente conforme all'etica scientifica, fu considerato offensivo nei confronti di Le Verrier. Quest'ultimo continuò tuttavia a migliorare le proprie previsioni dei moti dei pianeti ottenendo anche un notevole successo, fino a divenire direttore dell'Osservatorio di Parigi. Ebbe però il torto di disprezzare tutto quello che non era meccanica celeste, ostacolando così promettenti sviluppi in altre aree di ricerca.
La definizione di una teoria del moto per la Luna fu un'impresa ancora più difficile di quella del moto dei pianeti. Essa venne tuttavia risolta molto bene verso la metà dell'Ottocento, da Hansen alla Specola di Gotha e, indipendentemente, da Delaunay a Parigi, al prezzo di venti anni di duro e noioso lavoro.
Certi aspetti del moto lunare resistettero però a tutte le spiegazioni razionali, proprio come certi aspetti del moto di Mercurio.
Questo irritò enormemente gli astronomi dell'epoca e anche i naviganti, che usavano i moti della Luna per determinare la posizione in mare. Queste anomalie non furono spiegate che verso il 1920 e in modo del tutto inaspettato: quelle nel moto della Luna erano infatti dovute a irregolarità nel moto della Terra (Chandler aveva scoperto nel 1885 che l'asse di rotazione della Terra non è fisso), quelle nel moto di Mercurio erano dovute ad un effetto spiegato da Einstein con la sua teoria della relatività generale. La meccanica celeste dette quindi origine a due scoperte molto importanti: una a livello pratico, dal momento che dimostrò l'esistenza di irregolarità in quello che si credeva essere il miglior orologio esistente, la rotazione della Terra, l'altra invece a livello teorico.

I PRIMORDI DELL'ASTROFISICA

Fino all'inizio del diciannovesimo secolo l'astronomia si dedicò quasi interamente alla descrizione dei moti dei corpi celesti e alle cause di questi moti, mentre riguardo al resto si accontentava di semplici descrizioni. Era ben salda l'idea che sarebbe stato impossibile conoscere la composizione chimica delle stelle e le loro condizioni fisiche fino a che non si fosse potuto «andare fin lì e osservarle da vicino». Molti astronomi si erano rassegnati a ciò, mentre altri avevano usato la loro immaginazione, occasionalmente spruzzata da fantasie osservative. Tuttavia alcuni fisici avevano iniziato a pensare che non sarebbe stato impossibile raggiungere una obiettiva conoscenza della natura delle stelle. Numerosi di loro, come Angström, Foucault e Stokes si accorsero, verso la metà del secolo, che una coppia di righe osservate da Fraunhofer nello spettro del Sole - una delle prime applicazioni dello spettrografo - coincidevano in lunghezza d'onda con una identica coppia di righe osservate in laboratorio nello spettro del sodio. Il piccolo passo che separava dal comprendere che il Sole contiene realmente del sodio fu compiuto immediatamente. Fu poi Kirchhoff a fondare le basi dell'analisi chimica dei corpi mediante la spettroscopia: dopo aver misurato le lunghezze d'onda di migliaia di righe nello spettro solare, egli si accorse che una gran quantità di quelle erano dovute a elementi come l'idrogeno, il sodio, il magnesio e il calcio. Dal 1887, Rowland - un americano che aveva migliorato notevolmente lo spettrografo - osservò sia nel Sole che in laboratorio un numero ancora maggiore di righe. Nel misurare le loro lunghezze d'onda con precisione, riconobbe non meno di trentasei elementi terrestri nel Sole. Questo avvenne nel 1896 e fino al 1928 egli ne aumentò il numero a cinquantuno. Verso la metà dell'Ottocento crebbe l'interesse verso le strutture del Sole, in particolare verso la sua atmosfera esterna, la cromosfera e la corona, visibili solo durante le eclissi totali e nel 1868 furono ottenuti da Janssen i primi spettri della cromosfera durante un'eclissi. Oltre alle classiche righe dell'idrogeno, lo spettro conteneva un'intensa riga che non corrispondeva ad alcun altro elemento osservato sulla Terra e che venne attribuita ad un elemento sconosciuto che fu chiamato elio. Successivamente si scoprì dell'elio anche sulla Terra, ma è interessante vedere come fu l'astronomia allora a dare un sostanziale contributo alla fisica. I legami tra fisica, chimica e astronomia divennero allora sempre più stretti: si può quindi a ragione cominciare a parlare di astrofisica.
Nel 1870 l'inglese Young scoprì delle nuove righe nella corona, che vennero attribuite ad un ulteriore elemento, il coronio. Ma questa volta le ricerche di laboratorio furono compiute invano e fu solo nel 1941 che lo svedese Edlén riuscì a spiegare l'origine di queste nuove righe che derivano dal ferro, dal calcio, dal nichel e da altri elementi, i quali nella corona solare sono in condizioni tali - impossibili da riprodurre in laboratorio - da essere ionizzati.
La seconda metà del secolo fu inoltre segnata da un grande numero di studi, sia morfologici che descrittivi, della superficie e dell'atmosfera del Sole. Il laboratorio di astrofisica fondato nel 1876 da Janssen a Meudon si dedicò principalmente a questi studi. Fu necessario, tuttavia, aspettare fino a quando le leggi che descrivono l'emissione della radiazione non furono espresse da Kirchhoff, Boltzmann e Wien, prima che una stima ragionevole della temperatura della superficie solare - circa 6000 K - venisse ottenuta nel 1893. Questo avveniva prima che le leggi fisiche che governano la radiazione fossero stabilite da Max Planck nel 1906: un ulteriore interessante punto nella storia della scienza riguardo all'evoluzione delle idee sull'origine dell'energia emessa dal Sole. Robert Mayer, dopo aver affermato il principio di conservazione dell'energia nel 1842, propose la prima spiegazione moderna: l'energia solare sarebbe derivata da un continuo rifornimento di energia da parte di meteoriti che cadevano continuamente sulla superficie del Sole. Quest'idea incontrò difficoltà insormontabili e venne ben presto abbandonata. La spiegazione avanzata da Helmholtz apparve, invece, più soddisfacente. Egli notò che, se il Sole si contrae, la sua contrazione rilascia dell'energia gravitazionale che è convertita in energia termica. Tale energia gravitazionale gli avrebbe permesso, secondo Helmholtz, di irradiare per altri venticinque milioni di anni nello stesso modo. A quel tempo nessuno aveva un'idea della scala dei tempi nell'Universo e questo valore venne accettato fin oltre l'inizio del ventesimo secolo. Sebbene l'idea di Helmholtz non sia attualmente accettabile, tuttavia si applica realmente ad alcune fasi dell'evoluzione stellare. Essa anticipa la comparsa nel pensiero scientifico dell'idea di evoluzione, che era stata affermata da Charles Darwin nel suo Origin of Species del 1859. Proprio come le specie viventi, il Sole non fu più considerato immutabile. La cosmogonia, che è lo studio della formazione e dell'evoluzione dei corpi celesti e in particolare del Sistema Solare, compì allora un ingresso trionfale nella scena astronomica.
Nel 1871 l'americano Lane avanzò una teoria sulla formazione del Sole che anticipò le idee attuali ed inoltre previde la sua fine come un piccolo corpo freddo, dopo avere esaurito tutta la sua energia gravitazionale. Il figlio di Charles Darwin, George, fornì importanti contributi alla cosmologia evolutiva, mostrando che le forze di marea esercitate sui pianeti dai loro satelliti e viceversa (per esempio dalla Luna sulla Terra) sono in grado di rallentare la loro rotazione su lunghi periodi di tempo.
E' interessante notare che, mentre si stavano sviluppando queste ricerche di tipo cosmologico, non veniva fatto quasi alcun lavoro su di un problema che ci interessa grandemente: l'origine della vita. Senza dubbio ciò era conseguenza del materialismo che profondamente impregnava il pensiero filosofico del diciannovesimo secolo. Quasi come per contrasto, invece, si discusse a lungo sulla pluralità dei mondi abitati; idea questa chiaramente antagonista del pensiero religioso dell'epoca ed entusiasticamente adottata da personaggi come Camille Flammarion, il cui pensiero fu caratteristico degli ultimi anni del secolo scorso. All'inizio di questo secolo la gente cominciò a dubitare del dogma della pluralità dei mondi. Alcuni astronomi, in particolare Eddington e Jeans, si dichiararono convinti del fatto che il nostro sistema planetario e la vita sulla Terra avessero buone probabilità di essere unici nella nostra Galassia e, probabilmente, in tutto l'Universo. Questo dibattito, peraltro, continua anche oggi.
L'applicazione della spettroscopia all'astronomia non fu limitata solo allo studio del Sole. Fin dal 1823 Fraunhofer aveva descritto in dettaglio gli spettri di alcune stelle brillanti, ma la sua morte prematura gli impedì di continuare questo tipo di ricerca, che fu ripresa solo molto tempo più tardi, dopo cioè che Kirchhoff ebbe dimostrata l'importanza dell'osservazione degli spettri astronomici e del loro confronto con gli spettri ottenuti in laboratorio. William Huggins, un inglese facoltoso che aveva costruito un osservatorio privato, e padre Angelo Secchi in Vaticano furono i principali pionieri della spettroscopia astronomica. Huggins riconobbe nel 1863 che elementi simili si trovano sulla Terra, nel Sole e in numerose stelle brillanti. Dal 1863 al 1868, Secchi dette origine ai fondamenti della classificazione stellare utilizzando le caratteristiche dei loro spettri. Huggins, non contento di osservare a occhio gli spettri delle stelle, fu tra i primi a ottenerne alcune fotografie, quasi contemporaneamente all'americano Draper. Nel 1864, inoltre, egli riconobbe alcune righe di emissione negli spettri di certe nebulose, simili alle righe prodotte in un gas rarefatto sottoposto ad una scarica elettrica. Erano queste le nebulose gassose. Tuttavia, altre nebulose, come la grande nebulosa in Andromeda, non mostravano righe di emissione. Questo fatto fu correttamente interpretato, riconoscendo che queste ultime nebulose - quelle che non mostravano righe d'emissione - erano in realtà ammassi di stelle, troppo lontani per poter essere risolti in stelle singole. Huggins studiò anche le comete, nelle quali scoprì e identificò alcune molecole e fu inoltre il primo a determinare la velocità di allontanamento di una stella mediante la misura dello spostamento delle sue righe dovuto ad effetto Doppler: proprio come l'abbassamento di tono del fischio di un treno rivela che questo si sta allontanando da noi, così lo «spostamento verso il rosso» delle righe spettrali dimostra che un oggetto celeste si sta allontanando da noi.
Sulla scia di queste scoperte, iniziarono ad essere compilati grandi cataloghi stellari, contenenti le posizioni delle stelle, la magnitudine apparente (misurata con rudimentali fotometri), il tipo spettrale (classificato secondo una versione migliorata del sistema di Secchi, peraltro ancora in uso), la velocità radiale, etc. Ci fu inoltre un grande interesse verso i diversi tipi di stelle doppie e stelle peculiari, oggetti celesti che non erano stati ancora ben compresi e sui quali si trovano vastissime discussioni nella letteratura astronomica del diciannovesimo secolo.
Riguardo all'evoluzione stellare vi erano solo idee rudimentali: si pensava da una parte che le stelle fossero in continuo raffreddamento oppure, dall'altra parte, che fossero state in qualche modo scaldate e successivamente raffreddate durante la loro evoluzione e queste idee, entrambe scorrette, paralizzarono il progresso per diverso tempo.
Si costruirono strumenti sempre più potenti per poter studiare stelle e nebulose sempre più deboli. Questa corsa ai grandi telescopi, iniziata da Herschel verso la fine del Settecento, portò alla costruzione di enormi telescopi rifrattori di circa un metro di diametro, i quali, dopo il loro momento di gloria all'inizio di questo secolo, sono stati utilizzati praticamente solo per osservazione di stelle binarie. L'uso dei telescopi riflettori, inventati da Newton, crebbe sempre di più. Nel 1845, William Parsons (Lord Rosse) costruì un telescopio a specchio da 180 cm di diametro e 18 m di lunghezza focale, con il quale riuscì a rivelare la struttura a spirale di diverse nebulose. La qualità di questo strumento fu notevolmente migliorata dal fisico e astronomo francese Foucault, che costruì i primi specchi di vetro, aventi la superficie riflettente argentata: fino ad allora gli specchi dei telescopi erano realizzati in metallo. Foucault spianò così la strada ai grandi telescopi che avrebbero aperto l'era della astronomia contemporanea nel nostro secolo.
A dispetto dell'enorme sforzo compiuto dagli astronomi dell'Ottocento nella costruzione di strumenti e nel miglioramento delle osservazioni, la conoscenza dell'Universo alla fine del secolo scorso era ancora appena abbozzata. Nonostante si sapesse che il Sole e le stelle contenevano gli stessi elementi chimici della Terra, le idee prevalenti sulle loro atmosfere, sulla costituzione interna e sull'evoluzione erano, per così dire, fortemente speculative. Nell'astronomia planetaria la fantasia suppliva alla mancanza di conoscenze. Infine, non vi era la minima idea sulle dimensioni della nostra Galassia e non era nota l'esistenza di altre galassie oltre la nostra. Il concetto di un Universo infinito, benché comunemente accettato, rimaneva espresso solo a livello teorico e tutte queste idee portavano ad una visione puramente antropocentrica. Per dirla in breve, la nascente astrofisica si trovava allo stesso punto in cui versava la vecchia astronomia prima di Keplero e Newton: una abbondanza di dati e di fatti osservativi recentemente accumulati non era ancora stata integrata in valide teorie. Tutto ciò non avveniva tanto per un difetto dell'astronomia, quanto della fisica. Quest'ultima, per esempio, non aveva ancora fornito una teoria dell'emissione della radiazione in grado di interpretare correttamente gli spettri stellari. Nascevano tuttavia grandi speranze, a mano a mano che si stringevano i legami tra le due scienze: la storia dell'astronomia nel nostro secolo progredisce di pari passo con quella della fisica. I passi avanti dell'astronomia dipendevano dai progressi tecnologici, dalla costruzione di grandi telescopi, dalla nascita della radioastronomia e dall'astronomia spaziale. Il progresso della fisica e della tecnologia è stato infatti così rapido che non ci sorprende il fatto che l'astronomia abbia subìto una vera e propria rivoluzione in novanta anni, portando ad un cambiamento completo nella nostra visione dell'Universo. Non vi è inoltre ragione di credere che questa rivoluzione sia finita: l'astronomia non mostra alcun segno di stasi né di rallentamento.
E' difficile scrivere una storia dell'astronomia contemporanea. Tuttavia, con pochi esempi, possiamo illustrare l'evoluzione del pensiero e dei metodi di lavoro e le reciproche influenze della astronomia, delle fisica e della tecnologia. Possiamo distinguere tre fasi. Dall'inizio del secolo fino al 1950 l'astronomia fu ancora essenzialmente astronomia ottica, anche se grandi strumenti permisero di compiere scoperte spettacolari e la teoria progredì sostanzialmente, formando le basi delle conoscenze attuali. Dal 1950 al 1970 lo sviluppo della radioastronomia - nuova tecnica osservativa nata al di fuori dell'astronomia tradizionale - portò alla scoperta di numerose insospettabili classi di oggetti. Dopo il 1970 la scena astronomica fu ulteriormente arricchita con osservazioni dallo spazio e le tecniche osservative e di calcolo vennero rivoluzionate dall'introduzione massiccia dei calcolatori.

1900-1950. LA NASCITA DELL'ASTRONOMIA CONTEMPORANEA

In questo paragrafo ci accontenteremo di dare una rapida occhiata alle relazioni tra l'astronomia e la fisica atomica e nucleare e di esaminare come, grazie agli sviluppi strumentali, gli astronomi iniziarono ad avere qualche idea della vera scala delle distanze nell'Universo.
All'inizio di questo secolo erano ben conosciuti lo spettro del Sole, delle stelle e delle nebulose gassose, mentre mancava una teoria che desse ragione di questi spettri. Si iniziò con lo scoprire alcune regole empiriche che descrivevano le relazioni tra le lunghezze d'onda delle righe di un dato elemento in alcuni casi particolarmente semplici. Tra coloro che hanno dato maggiori contributi a questi studi, vanno ricordati i nomi di Balmer e di Huggins. Nel 1913 Bohr costruì un modello di atomo che rendeva comprensibile il messaggio in codice racchiuso negli spettri; questo modello comprendeva la teoria quantistica di Planck e favoriva l'interpretazione di numerose righe spettrali riducendola alla conoscenza di pochi livelli atomici d'energia. Proseguendo su questa strada, il progresso nell'analizzare gli spettri atomici diveniva strettamente connesso al progresso nella spettroscopia teorica e sperimentale e viceversa. Tra le numerose notevoli scoperte, dobbiamo ricordare l'identificazione di righe osservate in diversi oggetti astronomici, che non corrispondevano a nessuna riga rivelata in laboratorio: Bowen, negli Stati Uniti, ed Edlén, in Svezia, furono rispettivamente gli autori delle prime identificazioni delle misteriose righe osservate nelle nebulose gassose (1927) e nella corona solare (1941). Le righe della corona solare furono utilizzate per studiare qualitativamente le sue proprietà e la sua evoluzione (soprattutto dal francese Bernard Lyot) molto prima di essere identificate. E' stato proprio in queste occasioni che si è capito come le condizioni fisiche nell'Universo possono differire da quelle realizzabili in laboratori terrestri e come lo studio delle stelle sia, di conseguenza, utile per lo studio della fisica in generale. Negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Germania si sviluppò così la teoria della produzione e trasporto della radiazione, il che portava, finalmente, ad una parziale comprensione della fisica del Sole e delle stelle. Vennero allora intrapresi grossi lavori sugli aspetti astronomici del problema, ad opera di Karl Schwartzschild (1905-10), Milne e soprattutto Eddington (1923). Un sottoprodotto di questa ricerca fu la possibilità di determinare le abbondanze relative degli elementi nelle stelle dalle intensità delle loro righe spettrali. Solo allora gli astronomi capirono che l'idrogeno è di gran lunga il maggior costituente dell'Universo, seguito dall'elio e da altri elementi.
Nella prima metà del ventesimo secolo erano molto strette anche le relazioni tra l'astronomia e la fisica nucleare. La natura termonucleare dell'energia solare è ora molto ben nota, anche se l'idea è relativamente recente. Abbiamo visto poc'anzi come, all'inizio di questo secolo, si credesse, in accordo con Helmholtz, che il Sole derivasse la sua energia dalla contrazione gravitazionale. Tuttavia, la vita relativamente breve che il Sole avrebbe avuto secondo questa teoria si dimostrò incompatibile con i tempi di scala enormemente più lunghi rivelati dai progressi della geologia. Nella ricerca di un'altra ipotesi si considerò dapprima la radioattività, poi la scoperta della possibilità di trasformazioni nucleari, fatta da Rutherford nel 1919, rivelò una sorgente di energia molto più promettente. Nel 1929 Eddington propose, tra le altre possibilità, la conversione di idrogeno in elio: il problema era di capire come e dove potesse avvenire questa trasformazione. Ciò richiedeva la collaborazione degli astronomi - per studiare la struttura all'interno delle stelle e stimarne la pressione e temperatura - e dei fisici nucleari. Eddington trattò completamente la parte essenziale di astronomia, ma fu solo nel 1938 che C.F. von Weizsäcker e Hans Bethe riuscirono a stabilire a grandi linee il procedimento con cui l'idrogeno si trasforma in elio. I dettagli dell'evoluzione stellare erano ancora ben lontani dall'essere compresi; in particolare rimanevano non ben definiti i motivi per cui le stelle si distribuivano nel modo noto nel diagramma temperatura superficiale - luminosità, costruito tra il 1905 e il 1915 da E. Herzprung e H.N. Russel. Tuttavia appare chiaro che è stata l'astronomia a dare una spinta allo sviluppo della ricerca nucleare: perché un giorno non dovremmo riuscire a controllare questi fenomeni proprio come il Sole e le stelle fanno naturalmente?
L'ultimo, ma non meno importante, campo della ricerca astronomica durante la prima metà del nostro secolo è stato quello inerente ai tentativi di fissare una scala delle distanze per l'Universo. Alla fine del diciannovesimo secolo erano state misurate solo le distanze delle stelle più vicine, utilizzando il metodo delle parallassi trigonometriche. Vale a dire un procedimento molto simile a quello usato dai topografi per determinare la distanza di un punto sulla Terra: si sceglie una «base» sul terreno - nel caso astronomico la base è il diametro dell'orbita terrestre - e si misurano gli angoli fra le visuali e la congiungente gli estremi della base stessa, poi si risolve il triangolo. Nelle misure di stelle si utilizzeranno le osservazioni angolari eseguite a sei mesi di distanza, nei punti, cioè, più lontani tra loro dell'orbita terrestre. La prima applicazione di questo metodo si deve a Bessel, che negli anni 1837-38, con un apposito strumento costruito da Fraunhofer, misurò le distanze angolari tra la stella 61 della costellazione del Cigno e due piccole stelle vicine, ottenendo la prima determinazione di parallasse stellare per via trigonometrica. Per parallasse di una stella si intende l'angolo sotto cui dalla stella si vede il raggio dell'orbita terrestre (considerata circolare). Questo angolo non raggiunge per nessuna stella il valore di un secondo d'arco, ossia tutte distano dalla Terra più di duecentomila volte il raggio della sua orbita intorno al Sole. Per le stelle più lontane l'immensa base di quasi trecento milioni di chilometri si rivelò tuttavia insufficiente. Il tedesco Kapteyn immaginò allora un metodo statistico che avrebbe permesso di spingersi più lontano e che fu il primo a fornire, nel 1908, un'idea ragionevole delle vere dimensioni della nostra Galassia. Poco dopo Miss Henrietta Leavitt mostrò che certe classi di stelle variabili hanno un periodo di variazione che dipende dalla loro luminosità intrinseca. Confrontando questa luminosità con il flusso ricevuto a Terra, si può quindi ottenere la loro distanza, una volta che la relazione periodo - luminosità sia stata calibrata da osservazioni di stelle dello stesso tipo, la cui distanza sia nota per altre vie. Dopo lunghi tentativi e molti errori, H. Shapley dell'Osservatorio del Collegio di Harvard applicò questo metodo alla nostra Galassia dimostrando, nel 1916-17, che il Sole non vi si trova al centro. Questo fu l'inizio di una brillante serie di lavori sulla struttura galattica dominati dallo svedese Lindblad e dall'olandese Jan Oort. Da parte loro gli americani Trumpler e Adams posero le fondamenta delle nostre conoscenze della materia interstellare. Tuttavia, la scoperta più spettacolare della prima metà del secolo fu senz'altro la scoperta della natura extragalattica delle numerose nebulose che ora noi chiamiamo galassie (la prima fu la Nebulosa di Andromeda, fra l'altro l'unica galassia visibile a occhio nudo dal nostro emisfero) e la scoperta dell'espansione dell'Universo. Entrambe, dovute a Edwin Hubble, furono fatte con il nuovo telescopio gigante da 2,5 m di diametro, posto su Mount Wilson in California, e basate su di un'applicazione del criterio di distanza di Miss Leavitt alle singole stelle di queste galassie, sulla definizione di nuovi metodi di determinazione delle distanze e, infine, sulle difficili misure spettroscopiche delle velocità di allontanamento delle galassie. Lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali di tutte le galassie osservate, dovuto ad effetto Doppler, dimostrò in maniera inequivocabile che le galassie si stanno allontanando da noi e il fatto che la velocità di allontanamento fosse proporzionale alla distanza provò che l'Universo stesso si sta espandendo. Le dimensioni e la scala dei tempi enormi dell'Universo osservabile apparivano straordinari. Nell'analisi e confronto di questi risultati osservativi la cosmologia teorica si sviluppò rapidamente, basandosi sulla teoria della relatività generale, formulata da Einstein nel 1916 e presto confermata osservativamente.
L'armoniosità che risultava da tutto l'insieme delle osservazioni e dei modelli teorici è senza dubbio uno dei maggiori risultati scientifici del periodo 1900-1950.

1950-1970. LA RADIOASTRONOMIA E LE NUOVE SCOPERTE ASTRONOMICHE

Il periodo 1940-45 fu ovviamente di stasi per l'astronomia, come per tutte le scienze, a causa degli eventi bellici. Tuttavia, gli sviluppi tecnologici realizzati per scopi militari, particolarmente nel campo del radar e dell'elettronica, ebbero notevoli ripercussioni in astronomia, favorendo soprattutto la nascita della radioastronomia. In realtà Karl Jansky aveva scoperto la radioemissione dalla Via Lattea nel 1931, ma la sua scoperta era rimasta praticamente ignorata dagli astronomi ottici. Dopo la guerra, gli ingegneri radio e radar iniziarono a costruire antenne e ricevitori per osservazioni radio del cielo sempre più sensibili. La radioastronomia nacque così al di fuori dell'astronomia ottica tradizionale, dentro i laboratori di fisica. Una serie di notevoli scoperte mostrò l'importanza di questo nuovo strumento osservativo e attrasse l'attenzione degli astronomi. Dall'inizio del 1950 alcuni gruppi di radioastronomi si unirono agli osservatori, stabilendo così delle regolari collaborazioni.
La prima serie di scoperte riguardava il Sistema Solare. Si comprese presto, infatti, che l'attività solare è molto più spettacolare alle lunghezze d'onda radio che a quelle ottiche e che l'emissione radio proviene, almeno a lunghezze d'onda metriche e decametriche, dalle regioni superiori della corona solare, che è molto difficile da osservare con altri strumenti. Ne risultò una completa revisione delle nostre conoscenze degli strati esterni del Sole. Contemporaneamente osservazioni radio dei pianeti portarono a scoperte inaspettate, come, ad esempio, l'alta temperatura della superficie di Venere e la potente emissione radio sporadica da Giove, riconosciuta solo più tardi provenire da una magnetosfera in qualche modo simile a quella della Terra. Queste osservazioni dei pianeti furono, si può dire, prerogativa degli Stati Uniti, mentre Europa ed Australia si dedicarono soprattutto alla radioastronomia solare.
Due scuole di radioastronomia in Gran Bretagna fornirono validi contributi allo sviluppo dei radiotelescopi. A Jodrell Bank, vicino Manchester, fu costruito un singolo enorme radiotelescopio, sotto la guida di Sir Bernard Lovell. Completata nel 1955, l'antenna da 76 metri rimase per lungo tempo il maggior radiotelescopio del mondo e fu la progenitrice dei radiotelescopi da 90 metri che verranno successivamente realizzati negli Stati Uniti e in Germania. A Cambridge fu invece inventata la tecnica della «apertura di sintesi», che permetteva di legare a coppie dei piccoli radiotelescopi. Usando la rotazione naturale della Terra e osservando lo stesso oggetto per 12 ore, i radioastronomi di Cambridge riuscirono a «sintetizzare» la risoluzione angolare delle grandi antenne. Le «aperture sintetiche» lunghe diversi chilometri furono usate per costruire un'intera serie di cataloghi di radiosorgenti celesti. Questa stessa tecnica è usata oggi nel Very Large Array (VLA) in Nuovo Messico, che è il maggior interferometro al mondo. Collegando tra loro radio antenne che si trovano in differenti continenti (alcune di queste si trovano in Italia, a Bologna, a Noto e a Matera) è possibile risolvere sorgenti fino ad un millesimo di secondo d'arco, limite irragiungibile con qualunque telescopio ottico, utilizzando una tecnica nota con il nome di Very Long Baseline Interferometry (VLBI). Per la realizzazione di questa stupefacente tecnica, Sir Martin Ryle ottenne il premio Nobel per la Fisica, primo astronomo a raggiungere questo ambito premio.
Nel 1951 si aprirono per l'astronomia galattica orizzonti completamente nuovi, per la scoperta, avvenuta contemporaneamente negli Stati Uniti, in Australia e in Olanda, della «riga a 21cm dell'idrogeno». Contrariamente alla luce, le onde radio non sono assorbite dalla polvere interstellare, il che rese accessibile alle osservazioni radio l'intera Galassia, fornendo così la prima evidenza della sua struttura a spirale. Fu tuttavia solo verso la fine degli anni '60 che la teoria delle onde di densità, sviluppata da Lin e Shu negli Stati Uniti, riuscì a dare una spiegazione soddisfacente dell'origine della struttura a spirale. Un ulteriore vantaggio dell'uso della riga a 21cm è che, essendo l'idrogeno il maggior costituente del gas interstellare, l'intensità della riga dà una misura della quantità di gas presente nella nostra Galassia e in quelle galassie lontane in cui può essere osservata. Queste misure sono però incomplete, poiché il mezzo interstellare non contiene solo atomi, ma anche molecole. Su queste molecole si sapeva molto poco prima del 1963, quando, sotto il consiglio del fisico americano Townes, se ne scoprirono diverse mediante la loro emissione radio. Non solo fu allora dimostrata l'esistenza (prima a malapena sospettata) di nubi di polvere e gas, costituite interamente da molecole e sede di formazione di stelle, ma furono anche trovate alcune molecole che presentavano emissione maser naturale. Scoperta questa di interesse sia per la fisica che per l'astronomia.
Il periodo 1950-70 fu particolarmente fruttuoso in campo teorico. Grazie ai progressi della fisica nucleare e all'uso dei primi calcolatori, che permettevano di tenere sotto controllo i complessi problemi posti dalla struttura interna delle stelle, è stato possibile, per la prima volta, capire gli aspetti principali dell'evoluzione stellare e spiegare come queste sintetizzano gli elementi pesanti. E' questo un campo di ricerca molto grande e nel quale numerosi astronomi sono divenuti famosi. La scoperta casuale delle pulsar avvenuta a Cambridge nel 1967, ad opera di Hewish e Bell, dimostrò l'esistenza di oggetti che i teorici avevano previsto fin dagli anni precedenti alla guerra: le stelle di neutroni.
Gli anni '50 videro una nuova espansione dell'astronomia extragalattica e della cosmologia, certamente stimolata dal telescopio da 5 m di Monte Palomar, ma anche legata a tre scoperte radioastronomiche del tutto inaspettate: la rivelazione di una intensa emissione radio da alcune galassie (1954), poi dai quasar (1963) e infine - probabilmente la più importante di tutte - la scoperta della radiazione fossile dall'Universo primordiale a lunghezze d'onda millimetriche, effettuata dagli americani Penzias e Wilson nel 1967, scoperta che valse loro il premio Nobel. Altri Nobel ad astronomi sono andati a A. Hewish per le pulsar e a S. Chandrasekhar e W. Fowler per il loro lavoro sulla struttura stellare e sulla fisica nucleare. Gli oggetti più luminosi nell'Universo, i quasar, ci hanno permesso di scandagliarlo in profondità. All'inizio vi furono grandi speranze di poter usare queste enormi sorgenti di radiazione per scoprire la struttura e la geometria del nostro Universo. Sfortunatamente, tuttavia, i quasar - nuclei brillanti di galassie nelle prime fasi evolutive - si evolvono col tempo, rendendo il loro utilizzo molto complicato. L'interpretazione della radiazione fossile è stata relativamente facile ed ha confermato, per così dire, la vecchia idea di un «atomo primordiale» dell'abate belga Lemaitre, che datava al 1930.
Non possiamo lasciare il periodo 1950-70 senza dire qualche parola sulla ricerca spaziale, che ebbe in quegli anni una nascita difficile: molti sforzi, ma anche alcuni fallimenti. Tuttavia lo spazio dominerà il periodo successivo nello stesso modo in cui la radioastronomia aveva dominato gli anni '50 e '60.

DOPO IL 1970. SPAZIO E CALCOLATORI: L'ASTRONOMIA DEL DOMANI

E' molto difficile scrivere la storia dell'astronomia contemporanea, specialmente perché è tanto ricca quanto tutta la storia dell'astronomia stessa. In queste righe cercheremo, quindi, di tracciare solamente una breve rassegna di quelle che sono oggi le grandi linee di sviluppo dell'astronomia.
Il filone più affascinante di tutti è, senz'altro, quello inerente al prodigioso sviluppo dell'astronomia spaziale. Questa ha reso possibile l'esplorazione diretta del Sistema Solare (alcuni degli spettacolari e inaspettati risultati sono ancora lontani dall'essere compresi appieno) e inoltre lo studio dell'intero spettro elettromagnetico. Radiazione gamma, X, infrarossa e ultravioletta sono state osservate da diversi satelliti. Per esempio, l'Infrared Astronomical Satellite (IRAS), operativo per quasi tutto il 1983, oltre a compiere una rassegna di tutto il cielo, ha scoperto numerose nuove comete e dischi di polvere intorno ad alcune stelle, indice della presenza di altri sistemi planetari, già formati o in via di formazione. Una enorme quantità di informazioni e di nuove scoperte è stata fornita dall'International Ultraviolet Explorer (IUE), un satellite che avrebbe dovuto operare solo per un paio d'anni e che, invece, è rimasto attivo per molto più tempo, addirittura fino alla data odierna. E' inoltre stato possibile riscoprire la vecchia astrometria con il satellite Hipparcos, lanciato solo da poco e in grado di migliorare l'accuratezza nelle misure di posizione e di distanza delle stelle di diversi ordini di grandezza.
L'aspetto più spettacolare delle esplorazioni spaziali è stato senz'altro quello delle esplorazioni effettuate all'interno del nostro Sistema Solare. Dalle prime missioni umane Apollo sulla Luna, all'atterraggio delle sonde americane Viking su Marte e delle russe Venera su Venere, alle missioni Mariner che hanno osservato Mercurio e eseguito le mappe radar di Venere, alle spedizioni effettuate, prima dai due satelliti Pioneer e, subito dopo, dalle due sonde Voyager, inviate verso i pianeti esterni giganti del sistema (dettagliatamente e «spettacolarmente» osservati) e oggi in viaggio verso e oltre i confini esterni del Sistema Solare, alla sonda Halley che ha ripreso immagini ravvicinatissime dell'omonima famosa cometa.
La partecipazione italiana a questi progetti è stata ed è attualmente massiccia, attraverso la sua Agenzia Spaziale e la sua partecipazione all'European Space Agency (ESA), consorella dell'americana NASA.
La tecnologia spaziale attualmente ha raggiunto la piena maturità e gli astronomi possono compiere le loro osservazioni spaziali (inviando i comandi con le telecomunicazioni) proprio come se usassero un telescopio o un radiotelescopio da terra. La comunità spaziale, inizialmente isolata, si è via via integrata con gli astronomi «classici», proprio come era successo, pochi decenni prima, per i radioastronomi.
Il trattamento automatico dei dati via calcolatore ha invaso l'astronomia e i calcolatori hanno enormemente espanso le possibilità di calcolo e di esecuzione di modelli dei fenomeni naturali - aspetto, questo, che è senz'altro il più conosciuto - e hanno permesso anche di pilotare complessi strumenti da terra fin nello spazio, consentendo un'analisi più avanzata e infinitamente più precisa dei dati osservativi. Da questi risultati è derivato non solo un aumento nelle prestazioni, nella facilità e nella flessibilità di uso degli strumenti tradizionali, ma anche la possibilità di costruire strumenti estremamente complessi, come ad esempio i radiointerferometri, inimmaginabili senza l'utilizzo dei calcolatori e delle moderne tecniche di trattamento dei dati e di elaborazione delle immagini. Nonostante tutto ciò presenti lo svantaggio che gli astronomi possano tendere a perdere quel contatto diretto con gli strumenti e anche col cielo che avevano gli «antichi» - quel che di «romantico» che vi era nel loro mestiere tradizionale - tuttavia, oggi, un astronomo può usare diverse tecniche complementari per studiare l'oggetto in esame.
Il periodo contemporaneo è caratterizzato, inoltre, da una tendenza - peraltro non nuova in astronomia - a costruire strumenti sempre più grandi. La costruzione di enormi telescopi è attualmente in fase di avanzata realizzazione. Ovviamente tali progetti sono difficilmente gestibili da una singola nazione e di solito richiedono delle collaborazioni internazionali. Come ad esempio il progetto Columbus per la costruzione di un telescopio costituito da due specchi di 8 metri di diametro ognuno (equivalente, per così dire, ad un gigantesco binocolo), cui l'Italia aderisce assieme ad alcune università americane. Come le esplorazioni dallo spazio non hanno reso superate le osservazioni fatte da terra dei pianeti, così vi è ancora necessità di strumenti di medie dimensioni, tecnologicamente avanzati e specializzati - come il progetto nazionale Galileo per un telescopio da 3,5 metri di diametro di avanzatissima tecnologia, che l'Italia sta cercando di realizzare sul vulcano spento Mauna Kea, alle Hawaii, a oltre 4000 metri di quota.
Nonostante l'astronomia, come si diceva, abbia fatto passi da gigante in questo secolo, tuttavia i problemi che oggi si trova a dover affrontare, pur con i mezzi messi a disposizione dalla moderna tecnologia, sono estremamente vasti e assolutamente non di secondo ordine. Come oltre 60 anni fa si scoprì l'espansione dell'Universo osservando lo spostamento verso il rosso della radiazione emessa dalle galassie, aprendo così la strada alla formulazione della teoria del Big Bang e 25 anni fa si trovò la prima verifica sperimentale del Big Bang osservando la radiazione di fondo a microonde, così oggi gran parte della ricerca astronomica è rivolta a rispondere ad alcune importanti domande riguardo alla definitiva comprensione della struttura dell'Universo:
- perché la radiazione di fondo a microonde è così uniforme?
- quanta materia è presente nell'Universo, dove si trova e di che cosa è fatta e come si può scoprire quel 90 per cento di «massa mancante», prevista teoricamente?
- quando si sono formate le galassie e come, dal momento che a oltre 10 miliardi di anni luce si sono scoperte centinaia di quasar, mentre a quella distanza si dovrebbero trovare poche galassie, impiegando queste numerosi miliardi di anni per formarsi?
- qual è l'età dell'Universo: 13 miliardi di anni, come hanno dedotto i cosmologi estrapolando a ritroso la velocità di espansione o oltre 15 miliardi di anni, come sembra derivare dallo studio degli ammassi globulari (densi assembramenti di centinaia di migliaia di stelle che ruotano intorno al centro della nostra galassia e di altre)?
Il difficile compito di cui si dovranno occupare gli scienziati nei prossimi anni sarà quello di cercare di rispondere ai quesiti lasciati ancora aperti dalla ricerca astronomica (solo alcuni dei quali sono stati ricordati prima) bilanciando correttamente tutti gli aspetti legati allo sviluppo tecnologico, alle collaborazioni internazionali e al reperimento delle risorse economiche necessarie.