(dal latino
abstinentia). L'astenersi, il tenersi
lontano da qualche cosa, con particolare riferimento a cibi, bevande,
attività sessuale e piaceri materiali in genere, per motivi igienici,
morali o religiosi. • Patol. -
Sindrome
d'a.: complesso di alterazioni e disturbi organici che compaiono nel
soggetto tossicomane a causa della privazione delle sostanze cui è
assuefatto. • Rel. - Pratica penitenziale, che
consiste principalmente nella rinuncia a determinati tipi di cibo e di conforto
materiale. Nel Cristianesimo delle origini era perseguita assai radicalmente
soprattutto da eremiti e, nel Medioevo, da alcuni ordini monastici, arrivando a
consentire il consumo solo di pane, acqua e sale. L'
a. fu invece
attaccata, almeno a questo livello estremo, dalla Riforma protestante come
contraria allo spirito evangelico. Considerata dalla morale cattolica come una
virtù positiva, fu a lungo prescritta ai fedeli sopra i sette anni come
obbligatoria, nella forma dell'
a. dalle carni, ogni venerdì non
festivo e ogni mercoledì di Quaresima. Tale prescrizione venne alleviata
nel 1966 dalla Costituzione apostolica
Paenitemini, che limitava
l'
a. ai venerdì di Quaresima per i fedeli fra i quattordici e i
sessant'anni. Attualmente questa pratica è perseguita molto più
rigidamente nelle chiese ortodosse. • Econ. -
Destinazione di beni presenti a un consumo futuro o ad un investimento,
sottraendoli a una fruizione immediata.