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Ascetismo.

(da asceta). Complesso delle pratiche esteriori dell'ascesi, teorizzate all'interno di una religione superiore, tendenti al conseguimento della perfezione spirituale attraverso la mortificazione del corpo e il superamento dei bisogni materiali. Dal momento che non si può raggiungere la salvezza conducendo un tenore di vita normale, l'a. si fonda sul disprezzo del corpo e dei beni materiali, come morale filosofica o religiosa, mentre come pratica religiosa, volta all'ascesa verso Dio, si basa sull'allontanamento dalla vita mondana, su particolari prescrizioni (quali la solitudine, il silenzio, la preghiera) e su atti di rinuncia, penitenza e mortificazione del corpo (quali ad esempio l'astinenza da cibi e bevande, i digiuni, le veglie, le flagellazioni). Il termine ascesi, che in origine stava a indicare le pratiche di allenamento degli atleti, venne poi ereditato dal filone filosofico greco cinico e stoico per rappresentare un tipo di educazione spirituale e fisica tesa a dominare le passioni, rinunciare alle ricchezze, agli onori e ai piaceri materiali, capace di dominare le tentazioni illusorie: soltanto in questo modo, infatti, l'uomo può giungere alla vera felicità, è in grado di bastare a se stesso e in se stesso trovare le proprie ragioni di vita. In età ellenistica fu ricca di pratiche ascetiche l'iniziazione ai Misteri, propria soprattutto delle scuole neoplatonica e neopitagorica. In epoca cristiana, invece, l'a. si rifece, oltre che alla tradizione del pensiero greco-romano, all'invito che Gesù rivolse, a coloro che manifestarono l'intenzione di seguirlo, di rinnegare se stessi e farsi carico della propria croce. All'interno dell'etica cristiana, il significato dell'a. è quindi quello di rinnegare se stessi e imitare Cristo con un comportamento che contempli l'estirpazione dei vizi, il distacco dai beni terreni e la mortificazione dei sensi. L'a. è però altra cosa che l'ascesi mistica, in quanto quest'ultima viene generalmente considerata, da un gran numero di pensatori scolastici, come un'ascesa di tipo contemplativo, che si effettua attraverso differenti livelli di conoscenza e di perfezione. Durante il primo Cristianesimo, e in particolar modo a partire dal IV sec., si ebbe l'attuazione, in forma ascetica, dei consigli evangelici, attraverso l'affermazione del monachesimo orientale. I primi rappresentanti di questo filone furono gli eremiti del deserto e i cenobiti, conformi alla regola di San Basilio, mentre in un secondo momento si ebbe lo sviluppo del monachesimo occidentale, che seguiva invece la regola di San Benedetto da Norcia. Venne quindi elaborata una teoria della perfezione imperniata sulle "tre vie", o stadi, della vita spirituale nel cammino verso la perfezione: la prima era la via purgativa, la seconda la via illuminativa, la terza la via unitiva. L'a. riguarda i primi due gradini, e cioè la liberazione dal peccato e l'esercizio progressivo della virtù. • Psicol. - Le diverse forme di a. si trovano a essere tutte concordi nel ritenere che la perfezione spirituale si raggiunge attraverso l'umiliazione del corpo. Tale principio prescrive quindi l'astinenza o la continenza sessuale ed esige spesso altre forme di privazione e di mortificazione, quali ad esempio i digiuni e l'autoflagellazione. Come manifestazione psiconevrotica, la tendenza all'a. può avere luogo soprattutto in età adolescenziale: in questo momento infatti, durante il quale si ha lo sviluppo fisico, e di conseguenza si manifesta l'istinto sessuale, si verifica uno scontro tra le norme morali repressive e le esigenze fisiche naturali. È possibile perciò che, in individui che abbiano ricevuto un'educazione repressiva e che intendano punirsi e mortificare i propri istinti, tale fatto provochi sentimenti di colpa.