INTRODUZIONE
Il termine
«gotico» nasce nel Rinascimento con intenzioni dispregiative, a
bollare di «barbaro» tutto il periodo e la connessa cultura figurativa
medievale. Solo con l'Ottocento passò a definire il XIII e XIV sec.,
nell'accezione corrente.
Centro propulsore delle novità
«gotiche» in campo architettonico e decorativo fu l'Ile-de-France e in
particolare il grande cantiere sorto attorno alla basilica di Saint-Denis nella
prima metà del XII sec. per volere dell'abate Suger.
Rispetto alla
possente struttura degli edifici romanici, quelli gotici presentano soluzioni
molto più ardite e complesse, fondate sull'abile distribuzione delle
spinte per mezzo di archi rampanti.
La parete, così alleggerita,
può quindi assottigliarsi sino a scomparire ed essere sostituita da
grandi aperture chiuse da vetrate.
Analogamente il tessuto decorativo
scultoreo si espande sino a permeare ogni elemento della costruzione.
In
Italia queste innovazioni vengono in primo luogo portate dai nuovi ordini,
soprattutto dai cistercensi, che fondano numerose abbazie secondo un modello
elaborato nella casa madre di Cîteaux in Borgogna.
Si ricordano, tra
le principali, quella di Chiaravalle, fondata da S. Bernardo, di Chiaravalle
della Colomba in Emilia, di Staffarda in Piemonte, di Fossanova e Casamari nel
Lazio.
L'interpretazione cistercense degli elementi gotici tende
però ad un'estrema semplificazione, che consiste nella rinuncia ad absidi
complesse, sostituite da muri rettilinei (il cosiddetto «coro
bernardino»), e quasi ad ogni forma di decorazione.
Ricostruzione virtuale del cantiere di una cattedrale gotica
IL RINNOVAMENTO DELLA SCULTURA
Un artista di transizione tra la possente plastica
romanica ed il nuovo gusto gotico è Benedetto Antelami, che dalla
giovanile Deposizione del Duomo di Parma (1178) evolve verso le forme raffinate
ed eleganti dei Mesi del battistero della stessa città, nei quali il
lavoro e la vita dell'uomo giungono a rinnovata consapevolezza.
Ma è
a Pisa che la scultura italiana, alla metà del XIII sec., grazie
all'attività di Nicola Pisano continuata dal figlio Giovanni, rompe i
legami con la precedente tradizione, aprendosi ad un'attenta rilettura della
cultura classica e a strette connessioni con la coeva esperienza
gotica.
Nicola giunse a Pisa probabilmente dalla natia Puglia, nella quale
si era formato a contatto con i grandi cantieri avviati da Federico II (Castel
del Monte, Andria), propugnatore di una linguaggio artistico europeo nel comune
denominatore della cristianità latina e della tradizione
classica.
Tali caratteri emergono dalla prima grande opera di Nicola, il
pulpito esagonale per il battistero della cattedrale di Pisa (1260): le figure
acquistano una nuova proporzione, ispirata ai grandi modelli antichi desunti dai
sarcofagi del vicino Camposanto.
La svolta di Nicola è proseguita da
Giovanni, che accentua il dinamismo lineare gotico (pulpito della cattedrale di
Pisa, 1302-12).
Nella bottega di Nicola si forma anche Arnolfo di Cambio
(1245-1302), architetto e scultore, che cercò invece una nitida sintesi
delle forme in volumi stereometrici e rigorosamente scanditi (ritratto di
Bonifacio VIII, a Firenze).
IL CANTIERE DI ASSISI
Due anni solo dopo la morte di San Francesco venne
avviata la grande fabbrica della basilica a lui dedicata ad Assisi, articolata
su due piani. Quello inferiore, con cappelle laterali, è greve ed ancora
ricco di richiami romanici; quello superiore è concepito come una limpida
aula unica, adatta alla predicazione. Sarà la decorazione di queste
pareti a richiamare i maggiori artisti del tempo, e a segnare il deciso
superamento della tradizione bizantina.
Nel transetto si conserva la
Crocifissione di Cimabue, che dà profondo pathos e nuovo senso plastico
alle forme attraverso l'uso sapiente del chiaroscuro.
Lungo la navata si
dispongono le storie di San Francesco, unanimemente attribuite a Giotto,
personalità rivoluzionaria della pittura italiana, che riafferma il
valore centrale dell'uomo collocato in uno spazio certo ed esperibile, ormai
lontano dalle astrazioni medievali.
Anche la vita del santo viene tuttavia
interpretata in questa chiave di profonda e commossa umanità. I colori
sono compatti, sobri e vividi; le forme sono animate da un possente chiaroscuro
e senso della corporeità; la gamma espressiva è salda e
varia.
Attraverso i suoi numerosi viaggi in tutta Italia (si ricordi in
particolare il soggiorno padovano e la decorazione della cappella degli
Scrovegni, 1302) contribuì in modo determinante a diffondere il nuovo
linguaggio pittorico, creando scuole «locali» a lui collegate (Rimini,
Milano).
La Basilica di San Francesco ad Assisi
Giotto: "Il giudizio universale" (part.)
SIENA
A Siena, invece, i legami con la tradizione
bizantina sono più saldi e duraturi, le fratture meno
evidenti.
Caposcuola riconosciuto è Duccio di Buoninsegna (notizie
dal 1278 al 1318), che declina con ritmi raffinati ed eleganti le novità
gotiche d'oltralpe (Maestà nel Duomo di Siena).
Duccio di Buoninsegna: "Maestà" (1311)Decisamente orientato verso un
gusto cortese è Simone Martini, che utilizza una linea duttile e sinuosa
ed una gamma cromatica tenera e sensibile (Maestà nel palazzo pubblico di
Siena). Il suo viaggio ad Avignone contribuì ad una diffusione dei modi
senesi in Europa.
Personalità di mediazione con la lezione giottesca
sono i fratelli Lorenzetti, Ambrogio e Pietro. Estremamente interessante
è il ciclo (di Ambrogio) dell'Allegoria del buono e cattivo governo nella
sala dei Nove nel palazzo pubblico di Siena, nella quale per la prima volta
viene trattato un tema tutto profano e si afferma la centralità della
vita comunale.
Pietro è sensibile all'esperienza di Giovanni Pisano,
e ne riprende alcuni tratti caratteristici.
La peste del 1348 segnò
sicuramente una brusca interruzione nello svolgersi di questa fervida produzione
artistica. Molti artisti scomparvero, ma soprattutto cambiò il gusto e
mutarono le aspettative del mercato. La religiosità si fece più
cupa ed il timore della morte più intenso, come appare in diversi cicli
di affreschi (Camposanto di Pisa). Interprete di questa sensibilità fu
soprattutto Andrea Orcagna.
IL GOTICO INTERNAZIONALE
Nella seconda metà del XIV sec., intorno
alle prime Signorie insediatesi in alcuni grandi centri dell'Italia
settentrionale, si venne a formare una cerchia di nobili e dignitari, di
letterati ed artisti che presto assunse l'aspetto di una vera e propria corte
principesca. Queste piccole società, chiuse ed isolate nei nuovi
accoglienti castelli-palazzo, strinsero stabili rapporti tra di loro e con le
grandi corti straniere (Praga, Parigi, di Borgogna a Digione, del duca di Berry
a Bourges), di cui condividevano gli interessi economico-politici e di cui
presto assimilarono la cultura, il gusto e la moda.
Tale fenomeno di
cosmopolitismo diede origine allo stile cosiddetto «gotico
internazionale» o «tardogotico» (in rapporto al suo sviluppo
cronologico) che interpreta la raffinata civiltà coniata civiltà
«cortese» con piena aderenza alla vita, al costume, allo spirito di
queste corti dominanti l'Euo del '300 e nel primo '400.
L'arte assume il
tono fiabesco ed irreale proprio di questo mondo aristocratico con una spiccata
tendenza ad un estetismo profano, a forme squisite, stilizzate e convenzionali,
ad un vivo senso della linea, una linea falcata, che perde la sua
nervosità espressiva per tramutarsi in ritmi calligrafici e
musicali.
Il colore si fa lieve, prezioso, il fondo oro delle tavole
antiche scompare e la natura comincia ad essere indagata con analisi minuziosa
nei suoi particolari più ornamentali. Anche l'uomo è osservato con
nuovo interesse, volto però a ritrarne soprattutto l'aspetto esteriore,
la bellezza e l'eleganza dei costumi e delle acconciature. Non v'è ancora
senso dello spazio e profondità prospettica: il campo del quadro, gremito
di forme rese a colori smaltati, dà quasi l'impressione di un giardino
fiorito («hortus conclusus» o «giardino del Paradiso») o di
un tappeto orientale (Madonna del Roseto di Stefano da Verona; Verona, Museo di
Castelvecchio).
Nella rappresentazione di un mondo fastoso e ricercato, in
cui l'apparenza acquista grande importanza, l'arte tardogotica sa ben cogliere
ed esprimere l'apparato lussuoso e l'ornamentazione di cui si circonda la
società.
Nelle splendide pagine miniate dei fratelli de Limbourg
(Les très riches heures du duc de Berry; Chantilly, Musée
Condé) il duca di Berry, un aristocratico francese del '400, appare
seduto ad una tavola imbandita con suppellettili e vasellame d'oro e d'argento.
I rarefatti «figurini» di Pisanello (Pisa 1380 ca. - entro il 1445) o
del veneziano Jacopo Bellini (1396?-1470?) dimostrano lo studio riservato non
tanto alla resa del corpo quanto alla veste, al costume, generalmente abbondante
e di tessuto pregiato (per gli abiti dei personaggi delle corti viscontea e
sforzesca centinaia di persone lavoravano per lunghi mesi sete e velluti
intessuti di fili d'oro). Le cadenze lineari degli ampi panneggi che la moda
voleva ricchi ed eleganti, privi di pieghe dure ed angolose, assumono una
funzione determinante nello sviluppo dell'intera composizione pittorica: Piccolo
Dittico del Bargello: Adorazione dei Magi e Crocifissione (Firenze, Museo del
Bargello); Matrimonio mistico di Santa Caterina di Michelino da Besozzo (Siena,
Pinacoteca).
Le arti minori in particolare ricevono un incremento
notevolissimo per venire incontro alle nuove esigenze di una società in
grado ormai di apprezzare l'alta qualità e la straordinaria finezza
tecnica dei manufatti artistici. I maggiori pittori del tempo si applicano ad
illustrare temi letterari, religiosi, pseudo-scientifici (Tacuina sanitatis)
destinati alle fornite biblioteche dei signori, senza disdegnare, inoltre, di
disegnare carte da gioco (mazzo di tarocchi dipinto dal cremonese Bonifacio
Bembo, Bergamo, Acc. Carrara), bandiere, scudi da parata, armature, maschere e
persino mobilio. Accanto alla miniatura, importantissima è la produzione
di arazzi, di pezzi di oreficeria sia sacra sia profana e di oggetti d'uso
domestico come specchi, pettini, cofanetti e arredi in avorio, istoriati con
scenette amorose e cavalleresche di evidente gusto nordico (Francia) e grande
eleganza decorativa.
LE VETRATE
Essenziale complemento, decorativo e funzionale,
degli edifici religiosi dal Medioevo in poi sono le vetrate.
Esse
consistono in un insieme di tasselli di vetro, generalmente policromi, saldati
tra loro mediante legature di piombo e inseriti in armature metalliche in modo
da comporre delle serie di immagini.
L'uso di tali superfici con lo scopo
di chiudere aperture, in particolare finestre, nelle pareti di edifici, risale a
tempi molto antichi (Egitto, II millennio); ma fu soltanto dal IX-X secolo che
nacquero le prime vetrate dipinte. Grande importanza assunsero nelle strutture
architettoniche gotiche: i muri delle chiese, ridotti di spessore, perdevano la
loro funzione portante e si ornavano di meravigliose vetrate attraverso cui
filtrava una suggestiva luce colorata all'interno delle navate.
Ne
ritroviamo esempi in cattedrali sia d'oltralpe (Chartres, Bourges,
Sainte-Chapelle e Notre-Dame di Parigi, Canterbury, Colonia) sia italiane (S.
Francesco di Assisi, Cattedrale di Siena, Duomo di Milano).
La cattedrale di Notre-Dame di Parigi
Visita virtuale all’interno della cattedrale di Notre Dame a Parigi. Veduta della navata centrale
Ricostruzione virtuale della cattedrale di Notre Dame a Parigi
Ricostruzione virtuale della cattedrale di Chartres, in Francia
Il duomo di MilanoIl
procedimento tecnico consisteva nel disporre le piccole lastre di vetro sul
disegno al vero della composizione (cartone): tali lastre venivano dipinte con
la cosiddetta grisaille (polvere di ossido di ferro di rame unita a solvente e
stesa con pennelli diversi a seconda degli effetti da ottenere), e sottoposte a
nuova cottura. Le varie parti, divise da doppi listelli, si incastravano quindi
nell'armatura in piombo, e l'intera superficie di vetro così ottenuta era
collocata definitivamente negli stipiti della finestra grazie ad un telaio di
ferro.