Complesso di dottrine e posizioni filosofiche che,
direttamente o indirettamente, si richiamano alla filosofia di Aristotele. Una
netta distinzione si ha tra l'
a. dell'antichità e quello
medioevale e rinascimentale. Tra i discepoli e diretti continuatori di
Aristotele, detti
peripatetici (da
peripato, la passeggiata nei
giardini del Liceo), i più noti sono Teofrasto ed Eudemo. Buona parte del
pensiero aristotelico fu accolta e rielaborata unitamente a quello di Platone
dagli stoici e dai neopitagorici, nonché da Plotino, massimo
rappresentante del Neoplatonismo. Attraverso il Neoplatonismo e la patristica,
la filosofia aristotelica, i cui elementi fondamentali derivano da Platone,
giunse alla scolastica medioevale che la sottopose a importanti elaborazioni.
Anche la filosofia araba e quella ebraica medioevale si trovano a dover
affrontare gli stessi problemi che, nell'ambito del pensiero cristiano, ebbe la
scolastica relativamente al pensiero platonico-aristotelico. Particolarmente
importante fu l'elaborazione e l'interpretazione dei testi aristotelici avvenuta
nell'ambito della filosofia araba. Essa raggiunse le vette più alte con
Averroè, autore di un
Commento e di una completa parafrasi delle
opere di Aristotele, da lui considerate il vertice dell'umana sapienza, tanto da
far coincidere la filosofia di Aristotele con la stessa verità. La
visione aristotelica del mondo alla quale si ispira Averroè è
quella risultante dalla fusione di spunti originariamente aristotelici con
motivi della tradizione neoplatonica: il mondo è una manifestazione
necessaria della stessa natura di Dio, per cui, se Dio è eterno, anche il
mondo non può non essere eterno. L'eternità comporta la
necessità che pervade tutta la struttura del reale. L'ordine
dell'universo è quello che è, nessuna libera iniziativa umana vale
a modificarlo. L'uomo partecipa all'intelletto divino sia con l'intelletto
attivo che con quello potenziale. L'intelletto è unico in tutti gli
uomini, mentre molte sono le anime umane alle quali l'azione dell'intelletto si
comunica. Non si può pertanto parlare di un'immortalità
individuale, ma solo dell'immortalità dell'unico intelletto divino.
Nell'ambito della filosofia ebraica, il pensiero aristotelico, arricchito di
spunti neoplatonici, diventa elemento speculativo determinante con
Avicebròn (Ibn Gebirol), vissuto tra il 1020 e il 1060. Da Aristotele
egli aveva derivato la dottrina della materia e della forma che lo portò
alla concezione di una materia e di una forma universali, delle quali la
creazione, come principio volontario, realizza l'unità. L'opera di
Aristotele, quando venne conosciuta dalla cultura latina del XIII sec.,
attraverso la speculazione araba ed ebraica, fu giudicata estranea alla
tradizione platonico-agostiniana, e perciò respinta. Il primo a
utilizzare ampiamente la dottrina aristotelica e a tentare una sintesi tra
a. e cristianesimo fu il domenicano Alberto Magno, maestro di teologia a
Parigi e a Colonia. Il suo tentativo, peraltro parziale, muoveva da una profonda
ammirazione per l'opera di Aristotele, considerata perfetta e presentata come la
filosofia per eccellenza, essendo il campo della filosofia quello di una scienza
fondata sulla dimostrazione. Infatti, ciò che secondo Alberto Magno,
maggiormente persuade nell'
a. è il procedere per
ragioni e
sillogismi, non ammettendo niente che non sia dimostrabile in modo
rigoroso. Da ciò, la necessità di non confondere la filosofia con
la teologia, essendo quest'ultima fondata, non sulla ragione, ma sulla
rivelazione. Dall'arabo Averroè, trasse origine la corrente
dell'
averroismo latino che, contro la dottrina di Alberto Magno,
rivendicava l'interpretazione dei caratteri originali dell'
a. Il suo
più autorevole rappresentante a Parigi fu Sigieri di Brabante, che si
attenne al principio aristotelico rivendicato dall'averroismo, secondo cui
l'essere, nella sua struttura universale, è necessario ed eterno.
Pertanto, è indispensabile ammettere, oltre all'eternità
dell'anima intellettiva, anche quella della materia, del movimento e della
specie. L'anima intellettiva non è una parte dell'anima umana e non si
moltiplica con la moltiplicazione dei corpi, ma è
una e
identica per tutti gli uomini. A differenza dell'anima intellettiva,
l'anima sensitiva, che è la forma dell'uomo singolo, muore con la morte
del corpo. In tal modo, Sigieri rifiutava interamente la riforma dell'
a.
operata dalla dottrina tomistica per conciliarlo con il Cristianesimo,
ritornando a rivendicare la necessità del dato dell'intuizione
intellettiva. Contro l'
a. averroistico, oltre che contro l'agostinismo,
lottò duramente uno scolaro di Alberto, Tommaso d'Aquino, che tese a
integrare l'
a., liberato dalle scorie delle varie interpretazioni della
filosofia araba, col dato della verità soprannaturale. Tommaso si
impegnò pertanto a trasformare l'
a. dall'interno, per armonizzarlo
col dato della fede, così da creare un equilibrio tra il mondo razionale,
filosofico, e quello soprarazionale, teologico. Col principio della
sostanza, l'
a. aveva posto l'unità dell'essere; al
contrario degli interpreti arabi e degli averroisti latini, che da questa
premessa erano giunti alla conclusione della necessità di tutto l'essere,
compreso il mondo. Tommaso, affermando che il concetto di essere, pur
nell'unità, comprende e indica una dualità di piani (il creatore
è separato dalla creatura), divide in due l'universo aristotelico,
ponendo una precisa distinzione tra fede e ragione, tra il mondo del contingente
e del finito e il mondo dell'infinito, così da eliminare quanto
nell'
a. poteva principalmente allontanare dal Cristianesimo. Nonostante
le persecuzioni cui fu fatto segno, anche il filone averroistico dell'
a.
ebbe una sua continuità, soprattutto tra i maestri dell'università
di Padova, centro del nuovo
a. rinascimentale. Massimo esponente del
nuovo
a. del XV-XVI sec. fu Pietro Pomponazzi, che tentò di
rinnovare criticamente la psicologia aristotelica, ponendo il problema
dell'anima su una base puramente naturalistica. Tra gli aristotelici del
Rinascimento che rifiutavano come non genuina l'interpretazione tomistica,
Pomponazzi fu il massimo esponente del gruppo che si richiamava
all'interpretazione di Alessandro d'Afrodisia, in polemica col gruppo degli
averroisti. La differenza tra aristotelici alessandristi e averroisti si basava
essenzialmente sulla diversa concezione dell'intelletto. Per i primi, e quindi
per il Pomponazzi, l'intelletto non è che un grado superiore di sviluppo
dell'anima individuale; per i secondi, esso è un'unità universale,
separata dalle anime individuali. Comunque, in contrasto con la posizione
tomistica, entrambe le dottrine comportavano la negazione
dell'immortalità dell'anima individuale. Secondo gli alessandristi,
infatti, l'intelletto muore con essa; secondo gli averroisti esso sopravvive, ma
in modo astrattamente impersonale. Nel corso del XVI sec. furono sferrati sempre
più duri attacchi contro l'
a. scolastico. La rivolta contro di
esso derivava soprattutto dall'avversione al formalismo della logica
sillogistica della scolastica, inadeguata alle nuove esigenze di indagine sui
problemi della natura. Gli attacchi contro l'
a. scolastico, nell'ambito
delle scienze della natura, furono condotti da pensatori come B. Telesio che
concepì la natura non come manifestazione sensibile del divino, ma come
libro aperto all'intelligenza umana che avrebbe dovuto perciò studiarla
con animo spregiudicato, secondo i principi che, manifestandosi con certi
caratteri costanti, essa stessa presenta all'osservatore. Con ciò,
Telesio intese eliminare dalla spiegazione del mondo fisico il residuo di
trascendenza implicito nella concezione aristotelica della forma che, operando
sulla materia, la inserisce in un ordine finalistico facente capo a Dio. Contro
il conservatorismo aristotelico, si posero anche G. Bruno, T. Campanella e
Galileo che condivise i risultati più maturi della concezione della
natura elaborata dal pensiero filosofico del Rinascimento. Contro gli
aristotelici "dottori della memoria", Galileo rivendicò una ricerca
fondata sull'esperienza e sulla ragione, e contro ogni autorità pose una
netta distinzione tra scienza e rivelazione. Anche Francesco Bacone oppose al
formalismo logico e analitico degli aristotelici una filosofia attiva e il suo
Novum Organum fu una dichiarata ribellione alla logica aristotelica
espressa nell'
Organon, in nome di un nuovo metodo di ricerca per formare
una scienza della natura. Egli affermò che vera scienza dell'essere va
considerata quella che, prescindendo dalla ricerca delle cause ultime o
metafisiche, parte dall'osservazione e, mediante l'esperimento, giunge alla
conoscenza delle leggi universali che legano i fenomeni. Reso sempre più
inattuale dai nuovi metodi sperimentali applicati in ogni campo della ricerca,
l'
a. finì col tramontare definitivamente, salvo la sua assunzione
da parte della neoscolastica del XIX sec., propostasi come ritorno critico allo
spirito del pensiero medioevale.