(dal greco
aristokratía, der. di
áristos: ottimo e
kratéo: domino). Nel significato
originario, il termine indica il governo dei più meritevoli, dei migliori
dal punto di vista morale e intellettuale. Ma già nella Grecia antica la
parola venne ad assumere un significato vicino a quello che ha attualmente,
cioè di governo dei nobili, poiché secondo un concetto
aristotelico mutuato da Platone, i migliori, cioè i più dotati
intellettualmente e moralmente, sono necessariamente coloro che, non essendo
afflitti da preoccupazioni di carattere materiale, appartengono per nascita alla
classe dei ricchi e nobili. Sulle origini di questa classe aristocratica, che
aveva diverse denominazioni nelle varie regioni - fra cui
áristoi
e
béltistoi (i migliori), i
káloi kái
agathói (belli e buoni), gli
eupatridi in Attica o
bennati - e che dominò in Grecia fino almeno al V sec. a.C., i
pareri degli studiosi sono discordi, ma non inconciliabili. Secondo alcune
teorie la distinzione fra eupatridi e gli altri cittadini consisteva in una
differenza insieme di nascita e di provenienza, cioè l'
a.
costituiva la classe formata dai cittadini veri e propri, in contrapposizione
agli elementi non indigeni; secondo altre teorie si trattava di una distinzione
di carattere essenzialmente economico, e pertanto basata sul censo. Le due tesi
possono essere entrambe accettate, supponendo che la primitiva distinzione si
fondasse sull'origine dei cittadini e che, in seguito, ad essa sia venuta
sovrapponendosi quella basata sulle condizioni economiche. Certo è che in
epoca storica, e già ad esempio al tempo delle vicende narrate dai poemi
omerici, l'
a. era venuta differenziandosi su basi economiche: i
più ricchi erano coloro che, potendo procurarsi le armi e i cavalli,
andavano alla guerra al seguito del loro re e, attraverso la guerra, con la
successiva spartizione del bottino, traevano occasione per arricchirsi
ulteriormente. Cosicché in età più recente, e cioè
sul finire del IX sec. a.C. e all'inizio dell'VIII, le
a. delle
città greche vennero ad assumere una potenza tale da rovesciare quasi
dovunque il regime monarchico, sostituendosi al re nel governo dello Stato. Il
termine
a. viene quindi usato per indicare questa nuova forma di governo,
caratterizzata dal dominio di una classe di individui che si differenziano dagli
altri per la nobiltà del sangue e che pongono i presupposti della propria
superiorità economica nel possesso pressoché esclusivo della
terra. Questa classe poté dominare incontrastata, opprimendo le altre e
concentrando nelle proprie mani ogni potere, finché il progressivo
affermarsi delle attività commerciali e il conseguente determinarsi di
un'economia fondata sulla disponibilità di risorse finanziarie -
più che su una proprietà fondiaria sempre meno redditizia- non
intervenne lentamente, ma inesorabilmente, ad esautorarla. Il passaggio del
potere politico dalle mani dell'
a. a quelle del popolo avvenne
però per gradi: dapprima, nel VI sec., si ebbe l'affermarsi in tutta la
Grecia della tirannia. I tiranni furono per lo più uomini provenienti
dalle file dell'
a. che, con l'appoggio delle masse popolari, si
sostituirono al governo dei nobili per porre mano al riordino della compagine
dello Stato, ormai sull'orlo del disfacimento. Le tirannie si protrassero in
Grecia per tutto il VI sec. e, solo nel secolo seguente, furono soppiantate,
seppure parzialmente, da forme di governo democratico. Solo con quest'ultimo
passaggio di poteri, l'
a. poté dirsi definitivamente esautorata
come classe politica, sebbene ad essa rimanesse il godimento di molti privilegi,
più che altro formali. Per certi aspetti analoghe sono le vicende
dell'
a. in Roma: anche qui il governo aristocratico venne gradualmente
esautorato dalla crescente affermazione dell'economia monetaria. Ma a Roma una
vera e propria
a. chiusa si ebbe soltanto nei primi tempi della
Repubblica, poiché già verso la fine del V sec. a.C. l'accesso
alle cariche pubbliche fu aperto anche ai non appartenenti al patriziato, tanto
che il ricambio della classe senatoria accompagnò - caratterizzandole -
le vicende dello sviluppo di Roma fino all'ultimo secolo della Repubblica; e
proprio quando tale ricambio cominciò a venir meno con il controllo delle
cariche pubbliche da parte di un'oligarchia tanto ristretta quanto privilegiata,
si verificò il passaggio del potere nelle mani del
princeps.
Benché l'imperatore avesse precluso l'accesso al Senato alle classi non
aristocratiche, o meglio alle famiglie non senatorie, è pur vero che
questa
a., se così la si poteva ancora chiamare, aveva ormai
subito modificazioni tali da non essere più riconoscibile nel patriziato
repubblicano e, inoltre, versava in condizioni economiche così gravi che
non furono rari i casi in cui l'imperatore stesso dovette fornire a un senatore
il patrimonio minimo indispensabile per essere ammesso a far parte
dell'assemblea. Il significato originale del termine si è venuto del
tutto deteriorando dal Medioevo in poi: infatti l'
a. non è
più una forma di governo, ma una classe di cittadini privilegiati che si
tramandano le proprie prerogative per eredità, sia che consistano nel
possesso di terre o titoli, o nell'esercizio di poteri di varia natura. Scarso
successo hanno riscosso i tentativi dei filosofi che, nell'intendimento di
riportare il termine al suo primitivo valore, auspicarono un governo dei
migliori, argomentando che soltanto i più preparati - da un triplice
punto di vista intellettuale, culturale e morale - si sarebbero rivelati adatti
a sostenere il peso del potere. Fra queste moderne teorie aristocratiche,
sostanzialmente improntate a una visione utopistica, spiccano soprattutto quelle
dello storico e saggista scozzese Thomas Carlyle e, ultima in ordine di tempo,
la teoria del Superuomo di Friedrich Nietzsche.