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Ariano.

(dal sanscrito ariyà: nobile, signore). Denominazione che i popoli orientali di lingua indoeuropea si attribuivano per indicare le loro origini europee e distinguersi dalle altre popolazioni asiatiche. La locuzione razza a., in contrapposizione a "razza non-a.", rappresentò il fondamento della mistica razziale del regime nazista. Il termine a. cominciò a essere usato in Europa verso la metà del secolo scorso e ne fu teorico e propugnatore il francese A. Gobineau, che se ne era servito non nell'accezione nazionalistica, ma per difendere i privilegi dell'aristocrazia di fronte all'affermarsi di ideologie e regimi di tipo democratico. All'inizio del nostro secolo, un inglese, H.S. Chamberlain, genero di R. Wagner, diffuse, con pretese scientifiche, il mito dell'arianesimo in Germania. Nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, la propaganda incentrata sulla presunta superiorità nazionale tedesca servì come antidoto all'umiliazione della disfatta. La letteratura razzista preparò il terreno all'affermarsi in vari Paesi di movimenti tra loro diversi, ma accomunati da un medesimo sostrato ideologico, fatto di antiliberalismo, antimarxismo e antisemitismo. La dottrina razziale divenne il tema dominante del Nazismo. Essa non si basava su studi scientifici di genetica, quanto su presupposti pseudoscientifici, sul pregiudizio di razza e in modo particolare sull'antisemitismo, che era in Germania profondamente radicato. Il Nazismo perseguì una campagna antiebraica (nel cui confuso orizzonte ideologico confluivano perfino termini antitetici come capitalismo e marxismo, che venivano considerati entrambi espressioni della "congiura giudaica" per il dominio del mondo) facendo ricorso a un dogma diffuso dai sostenitori del credo nazionalista e basato sulla propria presunta superiorità razziale. I postulati fondamentali della dottrina sulla razza furono enunciati da Hitler nel Mein Kampf e si possono così sintetizzare: 1) ogni progresso sociale avviene attraverso una "selezione" degli individui migliori, che si affermano su quelli più deboli, destinati a soccombere nella ferrea logica della lotta per la vita. Questa lotta avverrebbe sia nell'ambito di una razza, creando in tal modo una élite naturale, sia tra le varie razze che esprimono le proprie prerogative dando luogo a culture diverse; 2) la commistione che ha luogo attraverso la mescolanza di due razze porta alla degenerazione di quella superiore, provocandone la decadenza; tuttavia una razza può sempre purificarsi dato che, sempre secondo questa teoria, gli ibridi tenderebbero a scomparire rapidamente; 3) le razze si possono dividere in tre tipi: la razza a., creatrice di cultura; le razze portatrici di cultura, che sono cioè in grado di adottare ed elaborare la cultura altrui, senza peraltro riuscire a crearne una propria; la razza che distruggerebbe la cultura, ossia la razza ebraica. La dottrina della razza fu elaborata da A. Rosenberg, secondo il principio della lotta di razza o, più esattamente, della lotta tra la razza a., considerata come creatrice di cultura, e le altre razze, ritenute inferiori, dell'umanità. Rosenberg supponeva che gli a., originari del Nord (il continuatore diretto della pura razza a. era perciò il tipo etnico biondo nord-europeo), si fossero diffusi in numerose aree, insediandosi in Egitto, India, Persia, Grecia, Roma, dando impulso allo sviluppo di quelle antiche, prestigiose civiltà. Secondo le sue teorie la decadenza di quelle antichissime culture si spiegherebbe con il venir meno della purezza razziale, dovuta all'unione degli a. con le razze "inferiori". I discendenti teutonici della razza a., impegnati in una lotta secolare contro il caos razziale che si presumeva responsabile del declino di Roma, avrebbero prodotto il meglio della civiltà e della tradizione culturale dell'Europa moderna. Qualunque manifestazione della scienza, dell'arte, del pensiero filosofico, come anche tutte le massime istituzioni politiche, sarebbero frutto esclusivo dell'ingegno degli a. In contrapposizione alla razza a. starebbe l'antirazza parassitaria, quella giudea, considerata alla base di molte manifestazioni della storia e del pensiero, accomunate da una valutazione fortemente negativa: il capitalismo, la finanza, la democrazia, il marxismo, l'intellettualismo e il Cristianesimo che, coi suoi ideali di amore e di umiltà, era inviso alla retorica di dominio e di sopraffazione che permeava queste teorie fondate sulla superiorità razziale. Tutto ciò che del Cristianesimo meritava di essere salvato doveva in qualche misura riflettere ideali a. (Cristo stesso era considerato a.), mentre il Cristianesimo storico, nel suo complesso, veniva giudicato come un'espressione corrotta del sistema ecclesiastico etrusco-romano-giudaico. Secondo la concezione rosemberghiana, tutte le facoltà mentali e morali sono legate alla razza. Esse si fondano su intuizioni o strutture intellettive innate, e pertanto qualsiasi elaborazione o soluzione del pensiero si richiama a prerogative di natura specificamente razziale. In quest'ottica non esistono valori universalmente validi in campo morale o estetico, né tantomeno principi generali e assoluti di verità scientifica. I molteplici - e fra loro difformi - ideali di verità, bontà e bellezza che uomini di varia appartenenza razziale elaborano e offrono al giudizio, non sono che frutto di una degenerazione intellettualistica. Secondo questa teoria ogni razza risponderebbe soltanto alla ferrea necessità di sopprimere tutto ciò che venga reputato ad essa estraneo. Da questo presupposto Rosenberg argomentava l'inopportunità di dar luogo a mescolanze di razze, per consentire al popolo tedesco di preservare la purezza razziale, come unica condizione in grado di conservare alla cultura nordica i suoi caratteri peculiari di spontaneità e genialità, assicurandole nel contempo la diffusione più vasta che la storia abbia conosciuto. Le argomentazioni di Rosenberg per stabilire le caratteristiche della razza a. erano prive di qualsivoglia supporto scientifico; del resto la sua filosofia era dichiaratamente un mito (Der Mythus des 20 Jahrhunderts, 1930). Tuttavia, una volta che il Nazismo si fu insediato al potere, la dottrina razziale fu sviluppata come un'antropologia scientifica, soprattutto per il contributo di G.F.K. Günther, e furono indicati come caratteri di superiorità razziale e di pura razza a. quelli del tipo etnico biondo e longilineo nordeuropeo. L'affermazione della dottrina razziale riverberò sulla politica nazista molteplici effetti: primo fra tutti l'incoraggiamento all'aumento della popolazione (favorendo le nascite anche fuori dal matrimonio) e l'emanazione, nel 1933, di una legislazione eugenetica, apparentemente volta a impedire la trasmissione di malattie ereditarie, ma di fatto destinata a perseguire una pratica generalizzata di sterilizzazione e di sterminio dei minorati fisici e mentali. Infine fu varata la legislazione antisemita per la conservazione della purezza della razza a., che vietava i matrimoni tra Tedeschi ed Ebrei o, più precisamente, tra Tedeschi e chi avesse sino a un quarto di "sangue ebreo". Queste misure discriminatorie giunsero al culmine nella aberrante politica di totale sterminio degli Ebrei iniziata nel 1939 e che doveva portare all'orrore dei campi di concentramento e delle camere a gas (V. anche ANTISEMITISMO, NAZISMO e RAZZISMO).