Stato (2.780.272 kmq; 37.355.000 ab.) dell'America Meridionale. Confina a Nord
con la Bolivia e il Paraguay, a Est con il Brasile e l'Uruguay, a Ovest con il Cile;
a Est si affaccia sull'Oceano Atlantico.
Si estende dal Tropico del Cancro alla Terra del Fuoco. Capitale: Buenos Aires.
Città principali: Còrdoba, Rosario, La Plata, San Miguel de
Tucumán e Santa Fé. Ordinamento dello Stato: Repubblica federale
di tipo presidenziale. Moneta: peso argentino. Lingua: spagnola. Religione
ufficiale: cattolica, praticata dal 90% della popolazione, con minoranze
protestanti e musulmane. Popolazione: a differenza di quasi tutti gli altri
Paesi dell'America latina, è prevalentemente bianca (oltre il 65%),
formata da Argentini di origine italiana e spagnola; la parte restante è
costituita da meticci, mulatti e zambos, un incrocio, quest'ultimo, tra amerindi
e negri. La popolazione indigena originaria è stata pressoché
decimata dall'opera di colonizzazione; ne sono rimaste poche tribù,
dislocate sulle montagne a Nord (Quechua e Guarani), nonché nella
Patagonia occidentale (Araucani).
GEOGRAFIA
Morfologia:
l'
A., il secondo Paese dell'America Meridionale per estensione, dopo il
Brasile, comprende quattro regioni geografiche distinte: la regione delle Ande,
le pianure del Nord, la Pampa e la regione della Patagonia. La zona andina
è caratterizzata da rilievi piuttosto elevati che in alcuni punti a Nord
superano anche i 6.000 m e che diminuiscono procedendo verso Sud. Oltre a
comprendere tutto il versante orientale della Cordigliera delle Ande, questa
zona comprende anche l'altopiano desertico della Puna e le Sierre Preandine.
Questi complessi montuosi sono caratterizzati da particolari depressioni
tettoniche, bacini lacustri chiusi, pochi passi montani elevati e difficili e da
un'intensa attività vulcanica e sismica. L'
A. è comunque
essenzialmente un Paese pianeggiante. Le pianure del Nord comprendono il Chaco,
un territorio umido e spesso paludoso con altitudini inferiori ai 200 m che si
estende tra i rilievi subandini e il fiume Paraguay, e la cosiddetta
"Mesopotamia argentina", una zona ricca di acque e caratterizzata dalla prateria
e dalle foreste tropicali, situata tra i fiumi Paranà e Uruguay. A Sud
del Chaco e a Ovest del Paranà si estende la Pampa, una prateria
estremamente piatta dove le uniche variazioni consistono nelle dune e negli
affioramenti di concrezioni calcaree dette
toscas. A Sud del Rio Colorado
si estende il tavolato monotono e roccioso della Patagonia, che, a partire da
un'altezza di 2.000 m, degrada a terrazze verso l'Oceano Atlantico. La Patagonia
è intagliata da profondi canyon, entro i quali scorrono i fiumi
provenienti dalle Ande. Alla regione della Patagonia appartengono
morfologicamente anche le isole della Terra del Fuoco. Le coste dell'
A.
sono basse a Nord, alte e rocciose nella Patagonia e in complesso povere di
approdi. Il porto principale del Paese è Buenos Aires, posto
sull'estuario del Rio de la Plata. ║
Idrografia: i principali fiumi
dell'
A. sono l'Uruguay, il Paranà e i suoi affluenti, il Rio
Colorado e il Rio Negro. Tutti gli altri fiumi che nascono dai rilievi andini
non riescono a raggiungere il mare ma si disperdono durante il loro corso.
║
Clima e vegetazione: l'
A. presenta una notevole
varietà di situazioni climatiche. Nella regione andina prevale un clima
freddo, con scarse precipitazioni piovose; la vegetazione è povera e
tipica delle zone desertiche e steppose. La Patagonia e la Terra del Fuoco, che
si estendono all'estremità meridionale, hanno un clima tipico dei deserti
freddi con inverni rigidi e poche piogge. Il Chaco e la zona compresa tra i
fiumi Paranà e Uruguay presentano un clima e un paesaggio tropicale e
subtropicale. La Pampa comprende due zone: una orientale, umida e piovosa,
l'altra occidentale, secca e temperata.
Cartina dell'Argentina
ECONOMIA
L'economia dell'
A. si è sviluppata
complessivamente secondo i canoni degli altri Paesi latino-americani, pur con
dei risultati suoi propri. A partire dal secolo scorso si svilupparono
l'allevamento e l'agricoltura, quest'ultima praticata dapprima (cerealicoltura)
nelle pianure più fertili e accessibili, nella Pampa, quindi anche nelle
valli più chiuse e decentrate. Un primo impulso verso
l'industrializzazione si ebbe soltanto a partire dalla seconda guerra mondiale,
grazie alle entrate provenienti dagli scambi agricoli con l'Europa. L'industria
però si trovò ben presto in gravi difficoltà, per
l'incapacità del Paese non soltanto di assorbire la produzione interna,
ma anche di proporre sugli esigenti mercati internazionali prodotti
all'avanguardia. Dopo la terribile crisi economica all'inizio degli anni
Settanta, alla quale seguirono la fuga dei capitali stranieri e una fortissima
inflazione che toccò punte del 900%, il Paese subì il golpe
militare del 1976. In seguito fu impostata una rigorosa politica economica
basata sull'austerità e sul risparmio, che comunque non è riuscita
a riportare il Paese alla prosperità di un tempo. L'agricoltura rimane il
punto di forza dell'
A., pur impegnando soltanto 1/4 della popolazione
attiva. È caratterizzata da un'intensa coltura di cereali (orzo, sorgo,
miglio, segale), frutteti (agrumi), viti, canna da zucchero. Altra grande
risorsa rimane l'allevamento del bestiame, in special modo quello bovino. Le
industrie principali sono quelle di trasformazione dei prodotti agricoli e
dell'allevamento, mentre in forte sviluppo sono la chimica e la petrolchimica.
Altre industrie importanti sono le meccaniche (macchinari agricoli, materiale
ferroviario e navale), nonché le tessili. Il potenziale idroelettrico
è abbastanza elevato, ma non ancora pienamente sfruttato. Discreti sono i
giacimenti minerari, anche se difficilmente sfruttabili e accessibili (piombo,
stagno, manganese, zinco, argento). Risorsa molto importante è il
petrolio anche se la sua estrazione presenta parecchie difficoltà
finanziarie e tecniche. In aumento è la produzione di gas metano. Le
importazioni sono forti e riguardano soprattutto manufatti e macchinari in
genere, mentre le esportazioni verso l'Europa e gli Stati Uniti riguardano
principalmente cereali, carne e pellami. Le vie di comunicazione sono buone,
supportate anche dai fiumi navigabili, in particolare il sistema del
Paranà.
STORIA
La storia precolombiana dell'
A. è
scarsamente conosciuta, dal momento che le popolazioni, le culture e le
tradizioni locali vennero distrutte o assai modificate dalla colonizzazione dei
bianchi. Scarsamente popolata da tribù nomadi, la regione del Rio de la
Plata, comprendente, oltre all'attuale territorio della Repubblica Argentina,
anche quello del Paraguay, fu dapprima esplorata da Juan Diaz de Solis nel
1515-16 e quindi conquistata alla Spagna da Pedro de Mendoza nominato
ufficialmente
adelantado (governatore) nel 1534. Deve il suo nome proprio
al Rio de la Plata, o "fiume d'argento", così come fu soprannominato dopo
la sua scoperta. Colonia essenzialmente agricola, fu sottoposta
all'autorità del viceré di Lima e, solo nel 1776, acquistò
l'autonomia territoriale, in seguito alla costituzione del vicereame del Rio de
la Plata, suddiviso in otto intendenze e comprendente, oltre all'attuale
A., anche i territori di Paraguay, Uruguay, Bolivia. Le leggi restrittive
spagnole, l'esiguo popolamento, nonché la struttura economica basata sul
potere feudale esercitato da alcuni grandi proprietari terrieri, non favorirono
certo lo sviluppo del Paese. Solo alle soglie dell'Ottocento, andò
costituendosi una borghesia urbana (Buenos Aires contava allora circa
venticinquemila abitanti) nell'ambito della quale cominciarono a manifestarsi i
primi fermenti contro i funzionari spagnoli e contro l'aristocrazia terriera.
Questi fermenti della nuova classe borghese, cioè dei
porteños, si tradussero presto in aspirazioni indipendentistiche.
Nel maggio 1810, i nazionalisti destituirono il viceré B. Cisneros e
insediarono una giunta governativa provvisoria. La lotta per l'indipendenza,
guidata dapprima da M. Moreno e M. Belgrano, e poi dal generale Josè de
San Martin, si concluse vittoriosamente nel 1816, ma lasciò una
situazione interna tutt'altro che pacifica. Essa, infatti, non segnò la
fine del conflitto tra
provincianos e
unitarios, i primi arroccati
nelle varie provincie soggette all'autorità di
caudillos, gli
altri, cioè i fautori di uno Stato unitario, concentrati a Buenos Aires.
Il principio della supremazia del Governo centrale finì col trionfare
sotto la dittatura del generale Juan M. de Rosas (1829-52), pur essendo egli
giunto al potere grazie all'appoggio di
caudillos locali contro il
presidente "unitario" B. Rivadavia. Sotto la dittatura di Rosas il Paese fu
inoltre impegnato in una serie di conflitti contro il Brasile, la Bolivia,
l'Uruguay, cui si aggiunse nel 1865-70 la guerra contro il Paraguay. Questa mise
fine alla serie di conflitti internazionali, ma non influì altrettanto
positivamente sui conflitti interni che continuarono a lacerare il Paese. La
guerra civile rimase infatti una malattia cronica dell'
A. e, a partire
dalla seconda metà del secolo, alla tradizionale contrapposizione tra
gauchos (allevatori) e
porteños (borghesi), subentrarono
più profondi e complessi conflitti sociali di classe. L'imponente flusso
immigratorio dall'Europa e la nascita delle prime organizzazioni sindacali non
intaccarono il potere dell'oligarchia latifondista contro cui si battevano
socialisti e radicali. I gruppi della sinistra argentina risposero all'appello
del Congresso socialista internazionale del 1889, dando vita alla federazione
dei lavoratori che entrò tuttavia presto in crisi per gli scontri tra
gruppi anarchici e socialisti. Questi ultimi, nel 1894, si unirono per dar vita
al Partito socialista argentino. Pur avendo aderito alla Seconda Internazionale,
per la particolare situazione del Paese, il partito presentava più le
caratteristiche di uno schieramento radicale, espresso dai ceti medi urbani, che
di un partito proletario. Nel 1902, i sindacati che rifiutavano l'indirizzo
anarco-sindacalista diedero vita all'Unione federale dei lavoratori (UGT) che
stabilì stretti legami col Partito socialista. Quando il Governo
tentò di ricorrere a leggi eccezionali contro gli scioperanti, l'Unione
organizzò imponenti dimostrazioni, tanto che il Governo fu costretto a
ritirare il progetto di legge. I disordini raggiunsero il culmine nella grande
dimostrazione del 1° maggio 1909, che fu stroncata nel sangue dalla
polizia. Seguì uno sciopero generale grazie al quale i lavoratori
argentini poterono ottenere altre importanti concessioni. Ma, nel novembre
successivo, prendendo come pretesto dall'uccisione del capo della polizia di
Buenos Aires da parte dell'anarchico polacco S. Radowitzki, furono adottate
severissime misure repressive che colpirono anche i socialisti più
moderati. Molte organizzazioni operaie vennero poste fuori legge e molti
dirigenti furono arrestati o costretti a fuggire all'estero. Durante i
successivi cinque anni, mentre i sindacati ricostruivano lentamente le loro
file, i salari e le condizioni generali di vita peggiorarono notevolmente,
favorendo la costituzione di un ampio schieramento di opposizione che
portò al potere, nel 1916, il Partito radicale, sotto la presidenza di
Hipòlito Irigoyen (1916-22), rieletto poi nel 1928. Nel 1917, dopo anni
di scontri e di lotte intestine, il Partito socialista subì una grave
scissione in seguito al distacco dell'ala sinistra che fondò il Partito
socialista internazionale, divenuto poi Partito comunista. Malgrado la
scissione, il vecchio Partito socialista di Palacios Justo continuò a
svilupparsi, seguendo una linea rigorosamente parlamentaristica e, nel 1925,
ottenne diciotto deputati al Parlamento. Nel 1927 subì una nuova e
più grave scissione da parte della sua ala nazionalista che
trascinò la maggior parte della base popolare, riuscendo a far eleggere,
nel 1930, ben dieci deputati, contro uno solo del vecchio troncone socialista.
Nel frattempo, la grave crisi economica mondiale si ripercuoteva duramente
sull'
A., portando a una serie di scioperi che il Governo radicale
cercò di reprimere. Questa politica repressiva, unitamente alla
situazione di grave disagio provocata dalla depressione, tolse gran parte
dell'appoggio parlamentare al Governo e, nel settembre 1930, si ebbe un colpo di
Stato militare, capeggiato dai generali Uriburu e Justo, che rovesciò il
presidente liberal-radicale Irigoyen, che aveva avviato un limitato processo
riformistico. Quanto rimaneva del vecchio Partito socialista si unì ai
liberali nella protesta contro il colpo di Stato, senza peraltro tentare alcuna
forma di attiva resistenza. I socialisti nazionalisti (o indipendenti) si
schierarono invece dalla parte dei militari e, nel 1932, diedero il proprio
appoggio all'elezione del generale Agustin Justo a presidente con 166.000 voti,
contro i 126.000 del candidato democratico-liberale appoggiato dal Partito
socialista. Il sostegno ai generali costò ai socialisti nazionalisti la
perdita di gran parte del loro seguito, provocando inoltre dissidi e secessioni
che portarono al dissolvimento del partito stesso a vantaggio del vecchio
troncone socialista, il quale riuscì a eleggere 46 deputati. Lacerato
dai dissidi sul problema del Fronte popolare, il Partito nazionalista perse poi
nuovamente terreno nei confronti dei comunisti e, nel 1938, riuscì a
ottenere solo sette deputati. Nel 1937 al generale Justo successe R.M. Ortiz
(1937-40) che non ne modificò la linea conservatrice, poi trasmessa anche
a R.S. Castillo (1940-43), rovesciato da un colpo di mano da parte dei militari
filonazisti (Grupo de Oficiales Unidos), capeggiati dai generali P. Ramirez e E.
Farrel. Nei mesi seguenti, mentre i vari generali (A. Rowson, P. Ramirez, E.
Farrel) si succedevano alla presidenza della Repubblica, ritardando la rottura
con i Paesi dell'Asse (solo il 27 marzo 1944 fu dichiarata guerra alla Germania
e al Giappone) e si creava una forte tensione nei rapporti con gli Stati Uniti,
emerse la figura del colonnello Juan Domingo Peròn. Egli seppe
approfittare della propria posizione di responsabile del segretario del Lavoro
per guadagnarsi l'appoggio delle masse popolari che lo sostennero nella
battaglia contro il generale E. Farrel, presidente dal marzo 1944. Nel maggio
1944 Peròn divenne ministro della Guerra e del Lavoro, nel luglio
successivo vicepresidente e nel febbraio 1946 fu eletto alla presidenza della
Repubblica. Ebbe così inizio il cosiddetto regime peronista, che
affondava le proprie radici in una particolare situazione economica e sociale.
Nel marzo 1949, l'Assemblea costituente approvò una nuova Costituzione di
tipo nazionalistico che accrebbe l'autorità del presidente e nel novembre
1954 Peròn venne rieletto. Al di là della demagogia spicciola,
delle repressioni poliziesche e dei grossolani errori di politica
economico-finanziaria, il regime peronista, basato sull'ideologia
justicialista, segnò una svolta positiva per l'
A.,
riducendo considerevolmente il potere dell'oligarchia terriera e dando grande
impulso all'industrializzazione del Paese e alla sua legislazione sociale.
Indebolito già dalla morte della popolarissima Eva Peròn nel
luglio 1952, il regime cominciò ad avvertire sempre più i colpi
infertigli dalle difficoltà finanziarie, dall'inasprimento
dell'opposizione della Chiesa (per l'approvazione della legge sul divorzio) e
dall'ostilità degli Stati Uniti. Nonostante la schiacciante vittoria
elettorale (tre milioni di voti contro uno e mezzo dei radicali) dell'aprile
1954, nel settembre 1955, Peròn fu costretto dai militari a dimettersi.
Mentre l'ex dittatore si rifugiava in Paraguay, la presidenza veniva assunta
provvisoriamente dal generale E. Lonardi, sostituito due mesi dopo dal
più intransigente generale Aramburu, che procedeva allo scioglimento del
Partito peronista. La situazione rimase sotto il controllo dei militari sino al
febbraio 1958, quando fu eletto alla presidenza il leader del Partito radicale
popolare (Union Civica Radical) Arturo Frondizi, appoggiato dai peronisti che,
nelle elezioni del 1956, si erano contati votando scheda bianca in oltre due
milioni, corrispondenti al 25%. Conteso tra i peronisti, che ne avevano
decretato il successo e che pretendevano una politica più avanzata e meno
dipendente dal capitale nord-americano e i militari che lo accusavano di
debolezza verso i sindacati operai peronisti, Frondizi si trovò costretto
a un logorante tiro alla fune, finché il 29 marzo 1962, fu deposto dai
militari, dopo che i peronisti, presentatisi alle elezioni del 18 marzo avevano
ottenuto il 30% dei voti, affermandosi come lo schieramento di maggioranza
relativa. La presidenza fu assunta provvisoriamente dal presidente del senato
J.M. Guido, mentre il gioco politico, ridotto alla contrapposizione fra le varie
correnti appoggiate dai militari, non consentì alle sinistre di unirsi in
un fronte comune e favorì l'elezione, nel luglio 1963, di Arturo
Ullìa, leader dell'Union Civica Radical del Pueblo. Rappresentante
della corrente nazionalistica legata ai circoli conservatori, Ullìa
poté reggersi per alcuni anni grazie all'appoggio di una parte
dell'esercito, senza peraltro riuscire a sanare l'economia del Paese, né
tantomeno a frenare le spinte inflazionistiche. Il pronunciamento militare del
giugno 1966, capeggiato dal generale J.C. Onganìa, assunse il significato
di un dichiarato fallimento dei partiti tradizionali legati a ideologie che
avevano ormai fatto il loro tempo e incapaci di risolvere i problemi di uno
Stato moderno. Il nuovo colpo di Stato dei militari non si collocava quindi
nella tradizione golpista latino-americana a vantaggio di una ristretta
élite, ma costituiva un tentativo per sbloccare una situazione divenuta
insostenibile e per avviare un processo di ammodernamento del Paese, sia pure
attraverso la strada dell'autoritarismo e dell'efficientismo tecnocratico.
L'appoggio dei ceti medi e l'attendismo dei sindacati ridussero sostanzialmente
la lotta politica all'interno dello stesso regime tra militari di opposte
tendenze, mentre all'esterno l'unica vera forza di opposizione appariva quella
studentesca che continuò a proporsi come avanguardia politica, impegnando
duramente le forze di polizia. In un primo tempo, nonostante le resistenze
conservatrici, l'équipe tecnocratica di governo apparve decisa a
perseguire una politica basata su un programma suddiviso in tre tappe
successive: economica, sociale, politica. L'attuazione della prima fase
sembrò dare risultati positivi, ma proprio quando il gruppo tecnocratico
di governo proclamava il successo della politica economica intrapresa e l'avvio
di una politica di riforme sociali, cominciarono a manifestarsi le
contraddizioni del regime, le lacerazioni interne delle forze armate e le
debolezze politiche del governo Onganìa, che fu destituito nel giugno
1970 e sostituito dal generale R.M. Levingston. Le divisioni interne alle forze
armate non vennero sanate e, a meno di un anno dall'esonero di Onganìa,
il 23 marzo 1971 venne attuato un nuovo golpe da parte dei comandanti in capo
delle tre armi: A. Lanusse (esercito), C.A. Rey (aeronautica), P.J. Gnavi
(marina) che di fatto, tenevano sotto controllo il Governo sin dal 1966, quando
era stato estromesso l'ultimo presidente di nomina elettiva. La presidenza venne
assunta dal comandante in capo dell'esercito, generale Alejandro A. Lanusse,
appartenente alla corrente favorevole al ritorno alla legalità dei
partiti politici. Egli imboccò la via della liberalizzazione del regime,
mentre accanto alle vecchie contraddizioni e difficoltà ne emergevano di
nuove sia in campo politico-sociale che economico. Si ebbe inoltre
un'intensificazione dell'attività di guerriglia, contrassegnata da
clamorosi sequestri di persona, soprattutto da parte del gruppo denominato
Esercito rivoluzionario del popolo (ERP), di tendenze ideologiche trotzkiste,
affiancato da vari altri gruppi armati, tra cui il marxista-leninista FAL
(Fuerzas Argentinas de Liberaciòn), il castrista FAR (Fuerzas Armadas
Revolucionarias), il peronista FAP (Fuerzas Armadas Peronistas). Lanusse si
trovò a dover fronteggiare, oltre all'opposizione rivoluzionaria, anche
quella interna dei militari "nazionalisti", facenti capo all'ex presidente
Onganìa, ma riuscì a sventare i vari tentativi di golpe. La
situazione non migliorò in vista delle elezioni presidenziali del marzo
1973, in preparazione delle quali nel novembre 1972 si ebbe il ritorno di
Peròn, dopo diciassette anni di esilio, per far convergere il maggior
numero di forze di diversa tendenza sul nome del proprio fiduciario
Héctor Campora. La vittoria del candidato peronista, definita un
"trionfo" dallo stesso generale Lanusse, determinò una svolta decisiva
dopo anni di immobilismo politico. Arbitri della situazione rimasero tuttavia i
militari decisi a non cedere su alcuni punti considerati fondamentali. Il
trionfale ritorno in patria del vecchio leader giustizialista nel giugno
successivo fu seguito (13 luglio 1973) dalle dimissioni di Càmpora e
dalla candidatura di Peròn alla presidenza, affiancato dalla terza
moglie, Isabel, come vice-presidente. Il 23 settembre la coppia Peròn
venne eletta col 61,8% dei voti ma, quale preannuncio delle difficoltà
che avrebbe incontrato il nuovo regime peronista, due giorni dopo le elezioni,
un commando di guerriglieri dell'ERP (Esercito rivoluzionario del popolo)
assassinò il segretario della Confederazione generale del lavoro (CGT).
In seguito si esasperarono le divisioni in seno al Fronte giustizialista. La
situazione peggiorò con la morte improvvisa di Peròn (luglio
1974). Negli anni seguenti l'
A. continuò a essere dilaniata dalla
violenza, con un continuo susseguirsi di assalti armati, rapimenti, uccisioni
che deteriorarono il quadro politico e accentuarono le difficoltà
economiche del Paese. In tale quadro sembrava inevitabile un repentino
cambiamento dell'assetto politico. Il 23 marzo 1976, infatti, i militari presero
nuovamente il potere, formando una giunta presieduta dal generale Jorge Rafael
Videla e composta dai comandanti in capo dell'esercito, della marina e
dell'aviazione. Dopo aver messo agli arresti Isabelita Peròn, la giunta
promosse una serie di cambiamenti che avrebbero sconvolto il volto
dell'
A.: scioglimento del Congresso, delle legislature provinciali e
comunali, di tutte le organizzazioni sindacali e dei partiti di sinistra;
proroga a tempo indeterminato del coprifuoco già in vigore dal 1974;
controllo militare su ogni attività sociale ed economica, censura
preventiva sulla stampa e pena di morte per chiunque complottasse contro le
forze armate. L'economia, già di per sé in una situazione
estremamente difficile, venne rivoluzionata da una serie di misure messe a punto
dal ministro Martinez de Hoz che basava la sua politica sull'apertura senza
limiti al capitale straniero, sulla rimozione di ogni legge atta a salvaguardare
il settore pubblico e sulla diminuzione dell'impiego per ridurre il deficit
pubblico. A questi provvedimenti si aggiunse una violenta repressione
poliziesca: nel giugno 1979 i
desaparecidos (cioè le persone fatte
scomparire dal regime senza che nessuno potesse sapere che sorte era loro
toccata) erano più di 15.000. Nel settembre del 1980, a Videla
subentrò il generale Roberto Viola che si trovò, poco tempo dopo,
a dover fronteggiare uno dei periodi più difficili della dittatura
militare. Scoppiò, infatti la breve ma gravissima guerra per il possesso
delle isole Falkland chiamate
Malvinas dagli Argentini - da tempo sotto
il controllo della Gran Bretagna. L'
A. rivendicò la sua
sovranità su queste isole importantissime da un punto di vista militare e
strategico (in quanto rappresentavano l'unica base d'appoggio aeronavale per il
controllo delle rotte antartiche): la guerra, di breve durata, vide la vittoria
delle forze inglesi e provocò gravissimi contrasti politici in
A.,
aggravati da una situazione economica ormai insostenibile. A Roberto Viola
subentrò il generale Reynaldo Bignone, ma ormai la giunta militare
capì di essere arrivata alla fine della sua parabola politica. Le prime
elezioni democratiche, indette per il 30 ottobre 1983, diedero la maggioranza
assoluta all'Unione civica radicale (UCR) capeggiata da Raul Alfonsin. A partire
dal 1984 il Governo presieduto da Alfonsin sviluppò la sua azione
soprattutto in due campi: quello dei rapporti internazionali e in economia.
L'
A., pur rimanendo nell'ambito dei Paesi non allineati, avviò
un'intensa attività diplomatica nei confronti dell'Europa e degli Stati
Uniti. In campo economico, il presidente Alfonsin negoziò col FMI un
accordo sul debito estero, ottenendo ulteriori prestiti per 1,42 miliardi di
dollari, in cambio di un rigoroso programma di austerità. La ricetta di
Alfonsin, nonostante seguisse scrupolosamente le direttive del FMI, si
rivelò tuttavia inefficace, anzi dal 1987 si avvertirono delle tendenze
negative e il ristagno della produzione, nonostante l'attenuazione del fenomeno
inflazionistico. In politica interna, Alfonsin avviò il processo per il
consolidamento della democrazia, basato sulla gestione del malcontento degli
alti gradi dell'esercito, esclusi dopo molti anni dalla direzione della vita
pubblica. In questo senso il Governo ottenne una vittoria sostanziale, anche se,
una volta giudicati e puniti i maggiori responsabili degli abusi commessi
durante la dittatura militare, dovette rinunciare a colpire più a fondo i
colpevoli, per non indispettire i militari, che comunque, a partire dal 1985,
diedero luogo a una serie di ammutinamenti. La politica di austerità
economica del Governo, intanto, ridiede fiato alle opposizioni e soprattutto ai
peronisti che nelle elezioni del settembre del 1987 sconfissero a sorpresa
l'Unione civica radicale, raccogliendo il 41% dei voti. Nelle elezioni
presidenziali del 1989, il candidato peronista Carlos Menem batté
Alfonsin, segnando il ritorno ai vertici dello Stato del partito giustizialista,
escluso dal Governo dal colpo di Stato del 1976. Menem affrontò la grave
crisi economica avviando una serie di riforme, culminate nello smantellamento
dello Stato sociale peronista e nella privatizzazione di tutti i settori
dell'industria pubblica. Superò inoltre il tradizionale neutralismo
argentino, intraprendendo una decisiva svolta filo-occidentale e filo-americana,
che gli consentì di ottenere l'appoggio finanziario del presidente
americano Bush e del Fondo Monetario Internazionale. Coerentemente con questo
nuovo atteggiamento internazionale, nel 1991 il presidente inviò due navi
argentine in appoggio alle truppe alleate durante la guerra del Golfo contro
l'Iraq. Inoltre l'
A. rinunciò, con un accordo scritto, alla
fabbricazione delle armi nucleari. Se il presidente riuscì così a
far diminuire l'inflazione, il suo piano non risolse tuttavia la grave crisi
economica del Paese. La sopravvalutazione del peso infatti determinò un
forte aumento delle importazioni, per le quali era necessaria una grande
disponibilità di risorse finanziarie. A fare le spese di questo nuovo
corso economico fu la popolazione che si vide fortemente ridotte le pensioni di
anzianità e subì un pesante calo nell'occupazione. Nonostante le
difficoltà, negli anni seguenti l'inflazione continuò a scendere e
nel 1992 si arrivò al 17,5 %. Nel 1990 un nuovo tentativo di golpe,
programmato alla vigilia della visita del presidente americano Bush, fu sedato
nel giro di ventiquattro ore senza spargimento di sangue. Ciò fece salire
ulteriormente il consenso nei confronti del Governo e soprattutto del partito
del presidente Menem che alle elezioni amministrative del 1991 ottenne la
maggioranza dei voti. Nelle elezioni costituenti del 1994 la grande sorpresa fu
il risultato della coalizione di sinistra Fronte Grande, che si trasformò
nella terza forza politica del Paese e trionfò nella capitale federale
con il 37,6% dei voti; ciononostante peronisti e radicali ottennero la
maggioranza necessaria per garantire la revisione costituzionale. L'anno
1995 cominciò con la minaccia di una possibile ripercussione della crisi
messicana. Il ministro dell'Economia Domingo Cavallo attuò tagli
sul bilancio e applicò misure di austerità. Il clima politico
divenne «incandescente" in marzo per i sospetti che circondarono la
morte del figlio di Menem. Nelle elezioni di maggio, Menem fu rieletto con il
50% dei voti, mentre l'ex peronista e candidato del FREPASO, José
Bordón, ottenne il 29% e il radicale Horacio Massaccesi il 17%. Verso la
metà del 1996 la disoccupazione raggiunse una media nazionale del 17,1% e
superò il 20% in alcune province; il debito estero registrò una
crescita del 57% rispetto al 1991. Nel primo trimestre Menem destituì
Cavallo e venne eletto ministro dell'Economia Roque Fernández, che
si dichiarò deciso a continuare la politica del suo predecessore e a
superare il deficit fiscale, la disoccupazione e la recessione. Le elezioni del
1998 per la Camera dei deputati videro la vittoria di Alleanza Elettorale
(composta dal Partito radicale e dal FREPASO), che ottenne il 46% dei voti,
mentre il Partito giustizialista raggiunse solo il 36%. Il giustizialismo, che
per la prima volta in 51 anni subiva una sconfitta elettorale a livello
nazionale mentre era al Governo, mantenne il controllo del Senato, che non fu
rinnovato. Il 22 marzo 1999 la corte suprema bocciò quattro iniziative
volte a consentire a Menem di candidarsi per un terzo mandato consecutivo alle
elezioni presidenziali. Dopo aver tentato per buona parte del 1999
di ottenere una nuova investitura, Menem desistette, lasciando la
candidatura al peronista Eduardo Duhalde. Le elezioni del 24 ottobre registrarono la
vittoria del radicale Fernando De la Rua. Alla fine di novembre De la Rua nominò il
nuovo Governo, che comprese quattro economisti liberisti e solo due esponenti del FREPASO.
Nel 2000 proseguirono le inchieste sui crimini compiuti durante la dittatura. In giugno il
Paese fu paralizzato da uno sciopero generale di 24 ore indetto dai sindacati contro
le disposizioni economiche del Governo, intese a far scendere la spesa pubblica.
Nel 2001 De la Rua diede vita a un Governo di unità nazionale nel tentativo
di sedare le proteste successive alla messa in atto delle annunciate misure di
austerità. Nel giugno dello stesso anno l'ex presidente Menem venne
arrestato nell'ambito dell'inchiesta sul commercio illegale di armi verso
Paesi quali l'Ecuador e la Croazia; in settembre venne processato l'ex
dittatore Videla per la scomparsa di 72 cittadini stranieri avvenuta
durante gli anni della sua dittatura. A dicembre il Governo mise in atto una
drastica misura di protezione finanziaria nazionale, congelando i conti privati
e incentivando la conversione degli stessi conti in dollari. La popolazione
argentina scese nelle piazze in moti di protesta che provocarono decine di morti:
a seguito di ciò, il 20 dicembre, il presidente De la Rua si dimise,
sostituito da Adolfo Rodriguez Saa il quale, pur annunciando la sospensione
da parte dell'
A. del pagamento dei debiti esteri, non ebbe la fiducia
popolare e dopo pochi giorni fu costretto anch'egli alle dimissioni. Il 1° gennaio 2002
il Congresso elesse il peronista Eduardo Duhalde. Pochi giorni dopo il Governo svalutò
il peso, liberandolo così dalla decennale parità col dollaro, e
ripristinò la libera circolazione bancaria. Il 17 gennaio, il Fondo
Monetario Internazionale annunciò lo slittamento di un anno delle
scadenze di pagamento dei debiti esteri dell'
A. In aprile, però,
Duhalde fu costretto a sospendere nuovamente, per qualche giorno, le attività
bancarie e finanziarie per l'elevato rischio di collasso dell'intero sistema
finanziario argentino. Nel mese di luglio, dopo il ripetersi di decise - e in
alcuni casi violente - manifestazioni di protesta, Duhalde indisse nuove
elezioni presidenziali per il mese di marzo 2003,
slittate poi ad aprile. Il primo turno vide la netta supremazia dei candidati
del Partito giustizialista, il discusso ex presidente Carlos Menem, appartenente alla
corrente interna al partito denominata Fronte della lealtà, e di Nestor Kirchner,
esponente di punta della corrente denominata Fronte per la vittoria e molto
vicino al presidente uscente Duhalde. A pochi giorni dal ballottaggio, fissato per il
18 maggio 2003, Menem, sfavorito nei sondaggi, decise di lasciare campo libero a
Kirchner, che venne così investito d'ufficio della carica di presidente senza la
necessaria legittimazione delle urne. Tra i molti problemi da risolvere, anche la
gravissima povertà nella quale era precipitato il Paese nel novembre dell'anno
precedente, quando il Fondo Monetario Internazionale, a seguito del non pagamento
argentino di una parte dei debiti contratti con esso, decise di non elargire nuovi
prestiti al Paese sud-americano. Kirchner incentrò il suo piano di risanamento
economico-sociale sulla lotta al crimine e alla corruzione e cercò di ridurre la
disoccupazione tramite progetti di microimprenditoria. In campo internazionale sostenne
una maggiore autonomia rispetto agli Stati Uniti, un avvicinamento a Cuba, Venezuela
e Brasile e il rafforzamento del MERCOSUR. Infine, l'
A. fu uno degli Stati
latino-americani che sottoscrisse l'atto di nascita dell'entità geopolitica Comunidad
Sudamericana de Naciones (CSN) a Cuzco nel dicembre 2004. Nei primi mesi del 2005
Kirchner concluse la più grande ristrutturazione del debito pubblico di tutti i tempi:
grazie a una transazione rovinosa per migliaia di creditori pubblici e privati sparsi
in tutto il mondo, creò le premesse per una ripresa economica e nel gennaio
2006 il Paese saldò definitivamente il debito contratto con il FMI, che ammontava a
più di 9 miliardi di dollari. Nell'ottobre 2007 le elezioni presidenziali furono vinte
da Cristina Fernandez Kirchner. La senatrice,
moglie del presidente uscente Nestor Kirchner, candidata del Fronte della Vittoria si avviò dunque a
diventare
la prima «presidentessa» eletta, aggiudicandosi la vittoria al primo turno, senza bisogno di ballottaggio.
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