Dir. - Giudizio deferito, anziché agli organi
giurisdizionali dello Stato, a uno o più privati scelti dalle stesse
parti e, soltanto in caso di mancata scelta di una di queste,
all'autorità giudiziaria. La decisione che suggella il giudizio degli
arbitri, il
lodo, non ha l'efficacia della sentenza; questa efficacia
deve esserle conferita dall'autorità giudiziaria con un apposito
provvedimento, il decreto del pretore. La legge fa divieto di affidare ad
a. la decisione di controversie di Stato, di separazione personale fra
coniugi, in generale le cause che non possono formare oggetto di transazione, e
inoltre le cause in materia di lavoro e di previdenza o assistenza obbligatorie.
Le parti possono autorizzare gli arbitri a giudicare secondo equità e in
pratica quest'autorizzazione è assai frequente. Non può infine
essere deferito agli arbitri il potere di emanare provvedimenti cautelari
né di giudicare sulla convalida di sequestri. Non possono fungere da
arbitri gli stranieri, i minori, gli interdetti, gli inabilitati, i falliti e
coloro che sono sottoposti a interdizione dai pubblici uffici. Gli arbitri, che
devono essere in numero dispari, regolano lo svolgimento del procedimento nel
modo che ritengono più opportuno, ma devono in ogni caso rispettare il
principio fondamentale del contraddittorio, concedendo alle parti termine per
presentare documenti, memorie, e per esporre le loro ragioni. Qualora sorga una
questione attinente a una delle materie che la legge sottrae al giudizio degli
arbitri, questi debbono sospendere il giudizio in attesa che le parti chiedano
al giudice ordinario la decisione della questione riservata alla sua competenza,
e finché le stesse non abbiano notificato ad essi la sentenza passata in
giudicato che decide la lite pregiudiziale. Il lodo, che deve essere pronunciato
in Italia e per iscritto, è deliberato a maggioranza di voti e deve
essere depositato nella cancelleria della pretura del luogo in cui è
stato pronunciato per essere dichiarato esecutivo dal pretore. La sentenza
arbitrale può essere impugnata solo per nullità o per revocazione.
Giudice dell'impugnazione è il pretore, il tribunale o la corte
d'appello, a seconda che gli arbitri abbiano pronunciato nei limiti della
competenza del conciliatore, del pretore o del tribunale. L'
a. che si
svolge nelle forme su esposte, e che ottempera alle norme dettate dal codice di
procedura civile, è chiamato l'
a. rituale. L'
a. libero o
irrituale invece, col quale le parti, mediante un contratto, si impegnano
a uniformarsi alla decisione degli arbitri senza la formalità dell'
a.
rituale, si risolve frequentemente nel riempire un foglio già firmato
in bianco dalle parti stesse. Relativamente all'
a. vanno tenute presenti
numerose convenzioni internazionali: per esempio, la convenzione di New York del
1958 e quella di Ginevra del 1961. Va infine ricordato che la legge 9 febbraio
1983 n. 8 ha introdotto delle modifiche, per esempio stabilendo che il lodo va
depositato in pretura non a cura degli arbitri, ma della parte che intende darvi
esecuzione nel territorio della repubblica. •
Dir. del lav. - Le nuove norme introdotte nel settembre 1973 hanno riconosciuto
la legittimità dell'
a. rituale che, in precedenza, era vietato
nelle controversie di lavoro. La procedura arbitrale è ammessa quando il
contratto collettivo contiene una clausola specifica detta clausola di
compromesso. In base a questa clausola il lavoratore e il datore di lavoro hanno
facoltà di ricorrere al giudice. Restano escluse le controversie in
materia di previdenza e di assistenza. Quanto all'
a. irrituale, la legge
del 1973 stabilisce che, nelle controversie riguardanti rapporti individuali di
lavoro, l'
a. è ammesso solo nei casi previsti dagli accordi e dai
contratti collettivi, lasciando comunque alle parti la facoltà di
ricorrere all'autorità giudiziaria. Il lodo arbitrale può essere
invalidato, qualora siano state violate disposizioni inderogabili di legge e
disposizioni previste dai contratti collettivi di lavoro.
• Dir. internaz. - L'
a. può essere
attuato tanto per risolvere controversie giuridiche (ed è il caso
prevalente), quanto politiche (in tal caso l'arbitro viene autorizzato a
giudicare
ex aequo et bono o in base a determinate direttive fissate dai
contendenti). Nonostante il nome, non era un organo arbitrale la
Corte
permanente di arbitrato costituita dalla convenzione dell'Aia del 29 luglio
1899 e confermata da quella, pure dell'Aia, del 18 ottobre 1907; queste
convenzioni si limitavano infatti a predisporre un elenco di arbitri dal quale
gli Stati in contesa avrebbero dovuto scegliere la persona di loro fiducia;
anche la scelta o meno dell'arbitro dall'elenco era pienamente facoltativa.
Costituivano, invece, corti arbitrali permanenti la Corte di giustizia
centro-americana (che funzionò dal 1907 al 1917), e la Corte permanente
di giustizia internazionale (che ebbe vita dal 1921 al 1946); e attualmente la
Corte internazionale di giustizia dell'Aia. La convenzione per il riconoscimento
e l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, conclusa a New York il
10.6.1968 ed entrata in vigore per l'Italia il 1.5.1969, ha stabilito che gli
Stati contraenti si impegnano a riconoscere la validità dei compromessi e
delle clausole compromissorie per
a. estero.