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Arbitraggio.

Dir. - La determinazione di un elemento di un negozio giuridico demandata a un terzo, per volontà delle parti. Se le parti si rimettono al "mero arbitrio" del terzo designato, detto arbitratore, quest'ultimo assume in totale libertà la sua determinazione con la conseguenza che i contraenti non possono impugnarne la decisione (se non per dolo). Se invece le parti si rimettono all'equo apprezzamento dell'arbitratore, è possibile rivolgersi al giudice per ottenere la modifica delle sue determinazioni ritenute inique. Nel primo caso se l'arbitratore non può o non vuole effettuare la determinazione per cui è stato incaricato, le parti possono rimettersi per la decisione all'organo giudicante competente; nella seconda ipotesi l'a. ha carattere di decisione giurisdizionale, pertanto, verificandosi le medesime circostanze le parti possono sempre rivolgersi al giudice. L'a. si differenzia dall'arbitrato, in quanto in quest'ultimo caso, il terzo incaricato ha il compito non di integrare in contenuto del negozio giuridico, bensì di comporre una eventuale lite tra le parti. • Fin. - A. di Banca o di Borsa: acquisto e vendita di titoli da una borsa all'altra. Scopo di questa operazione è livellare i prezzi tra piazza e piazza e ristabilire l'equilibrio tra la domanda e l'offerta di due borse. La legislazione ignora l'esistenza dell'a., risolvendolo in due o più operazioni autonome. Il fatto che esse siano combinate tra loro allo scopo di ricavare utile non ha rilevanza giuridica. Nella tecnica bancaria l'a. indica l'acquisto e la vendita di metalli preziosi o moneta da una piazza in cui il prezzo è basso a un'altra in cui il prezzo è più alto.