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Antropofagìa.

(dal greco ánthropos: uomo e fágo: mangio). Pratica consistente nell'alimentarsi con carne umana. • Etn. - Contrariamente a quanto in genere si crede, l'usanza di cibarsi di carne umana non è in rapporto al grado di civiltà ed è meno diffusa di quanto in passato non si sia ritenuto. L'usanza fu accertata già da antichi autori, quali Erodoto che ne parla a proprosito dell'Asia, Strabone che ne afferma l'esistenza in India e Tolomeo per l'Africa; ne parlò anche Cristoforo Colombo a proposito della Guadalupa. Il fenomeno, che è anche conosciuto come cannibalismo (V.), sembra oggi chiaramente localizzabile in aree geografiche precise: in Australia e in Melanesia, in alcune regioni dell'Indonesia, in zone dell'Africa (bacino del Congo, costa della Guinea), in Polinesia, in alcune zone dell'America Meridionale. L'a. può essere spiegata con una serie di motivi diversi ma che talvolta si intrecciano creando un complesso piuttosto inestricabile di motivazioni. Può consistere nel cibarsi delle carni di individui morti naturalmente ed essere dettata da esigenze nutritive; tale il caso di pratiche simili verificatesi durante carestie in Egitto nel 1000, in Francia nel 1030 e poi nel 1590, in Sassonia durante la guerra dei Trent'anni. Più spesso ha carattere magico-rituale e consiste in sacrifici umani fatti alla divinità per placarne le ire o propiziarsene il favore. Può inoltre aver carattere punitivo nei confronti dei nemici o di chi abbia infranto qualche importante regola tribale. Nell'a. rituale (diffusa in aree culturalmente più sviluppate), spesso non viene mangiato l'intero corpo, ma solo alcune parti alle quali si attribuisce un valore particolare, come la capacità di trasferire in altri individui le virtù della vittima: cervello, cuore, fegato. Al pari dei riti cruenti di società segrete dell'Africa centro-occidentale, come quella degli Aniota, queste pratiche rituali sono state represse severamente dopo la colonizzazione. Esse tuttavia sopravvivono tuttora e rientrano nel complesso di pratiche magiche attraverso le quali si intende dotare i membri di una società segreta, o i candidati stregoni, di forze magiche superiori. Tra i riti di varie società segrete (come quella degli uomini-leopardo), uno dei più importanti consisteva nel far mangiare ai propri aderenti esseri umani, in particolare bambini, appositamente uccisi, anche con lo scopo di terrorizzare la popolazione. Soprattutto in alcune regioni nord-occidentali del continente africano, nell'area dei fiumi Cross e Benué, l'a. rituale e la caccia alle teste si sono conservate tenacemente anche dopo la colonizzazione. A. e caccia alle teste avevano larga diffusione anche tra le popolazioni oceaniche, connesse alla credenza in un'anima o forza vitale (mana) abitante il corpo umano. In quanto principale sede della forza vitale, il cranio era considerato la spoglia più ambita del nemico e poteva essere conservato come quello degli antenati o mangiato, unitamente al fegato e al cuore. I riti antropofagi sono spesso connessi al culto degli antenati e rientrano tra le pratiche di iniziazione con riferimento alla fecondità. Per esempio, presso alcune tribù melanesiane i giovani acquistavano il diritto di sposarsi solo dopo aver cacciato almeno una testa, per la diffusa credenza che la generazione di una nuova vita fosse possibile solo dopo la distruzione di un'altra e il conseguente appropriamente dell'altrui forza vitale. • Psicol. - Come rara aberrazione psicopatica, l'a. viene più propriamente indicata come necrofagia (V.), poiché si tratta di una tendenza a mangiare la carne di un individuo morto, anche per cause naturali. In tal caso si pone in relazione con la necrofilia (V.). L'a. è però altrettanto spesso connessa con il necrosadismo e può indurre chi è affetto da questa forma di aberrazione psicopatica a mangiare la carne di un individuo da lui stesso ucciso, dopo averlo sottoposto a sevizie e mutilazioni.