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Annìbale.

Generale cartaginese. Figlio di Amilcare Barca, fu condotto dal padre in Spagna (237) dove divenne comandante della cavalleria. Succeduto ad Asdrubale nel 221 nel comando supremo delle forze puniche, assediò Sagunto (219), alleata di Roma, con il fine di porre un freno all'espansione della potenza romana, che minacciava gli interessi prevalentemente economico-commerciali di Cartagine. I Romani non fecero intervenire subito l'esercito; la situazione precipitò quando all'inizio del 218 la notizia della capitolazione di Sagunto giunse a Roma. Dopo la dichiarazione di guerra portata a Cartagine da una delegazione guidata da Marco Fabio Buteone, A. concepì un articolato piano strategico che ambiva a guadagnarsi il favore, nel settore settentrionale, delle popolazioni celtiche della Cisalpina e, in quello meridionale, delle città della Magna Grecia, per creare un bilanciamento di forze propizio alla fioritura dei commerci di Cartagine. Nel 218 a.C. A., scortato da un esercito relativamente esiguo - circa 25.000 uomini, 12.000 cavalli e alcuni elefanti - iniziò la leggendaria spedizione in Italia. Superati i Pirenei, varcò il Rodano, affrontando il valico delle Alpi in pieno inverno; al Ticino batté un esercito romano, condotto da Cornelio Scipione, al Trebbia ne sconfisse un altro guidato da Sempronio (218 a.C.). Giunto in Toscana assalì Flaminio e lo sbaragliò al Trasimeno (217 a.C.). Paralizzato dai temporeggiamenti di Fabio Massimo, fu assalito dalle schiere di Varrone, ma riuscì a batterle a Canne (216 a.C.). Quella battaglia costò la vita di 40-50.000 soldati romani. Di fatto, però, Roma resistette agli assalti dell'esercito cartaginese che, mancando di forze idonee ad accerchiarla via terra e via mare, finì per rinunciare a un assedio che si sarebbe rivelato certamente infruttuoso. Le truppe di A., assottigliate dalle battaglie sostenute, rimasero in attesa di rinforzi dall'Africa. A. si accampò presso Capua, stabilendo una rete di alleanze con le città dell'Italia meridionale ribellatesi a Roma. Tuttavia il tentativo di A. su Napoli non riuscì, e fallì anche quello contro Nola difesa dal pretore Marcello. Il generale cartaginese conquistò invece Nuceria e l'importante posizione di Casilino (215). Si alleò quindi con Filippo V di Macedonia, ma senza profitto, in quanto per la mancanza di un'adeguata marina da guerra, dovette combattere basandosi unicamente sulle sue forze. La tattica di logoramento attuata da Roma (che impegnò le truppe cartaginesi in una serie di piccoli scontri evitando un confronto decisivo) in concomitanza con la crisi dell'alleanza con le città italiche coalizzatesi in funzione antiromana, segnò il definitivo fallimento del piano di A. A decidere le sorti del conflitto fu poi il richiamo di A. a Cartagine, minacciata da Scipione, che però riuscì a sconfiggerlo a Zama (202 a.C.). Cartagine accettò patti durissimi. A. mantenne il governo della città e impose misure restrittive atte a risollevare il bilancio dello Stato, messo in crisi dal pagamento delle pesanti indennità imposte da Roma. Tuttavia, l'ostilità degli oppositori interni e la diffidenza dei partigiani di Roma, convinti che A. tramasse segretamente con Antioco III di Siria, lo costrinsero alla fuga. Per non essere consegnato al nemico, A. si rifugiò in Siria, presso il re Antioco e successivamente in Bitinia presso il re Prusia. Quando il generale cartaginese si accorse che questi stava per acconsentire alle richieste di Roma autorizzando la sua estradizione, si tolse la vita. Per l'intelligenza tattica, le doti di governo, l'abilità strategica A. è delle figure più prestigiose nella storia del mondo antico. A lui si deve l'elaborazione di principi tattici e strategici genialmente innovativi: l'uso integrato della cavalleria e della fanteria, l'applicazione esemplare delle tecniche militari e l'impiego delle riserve gli hanno guadagnato un posto di rilievo nella storia dell'arte militare (Cartagine 247 a.C. - Bitinia 183 a.C.).