Movimento politico, affermatosi nella seconda metà
del XIX sec., mirante a emancipare l'uomo da ogni autorità politica,
economica o religiosa, attraverso la soppressione di ogni organizzazione (Stato,
Chiesa). Le basi dell'
a. politico furono gettate da P.J. Proudhon con le
sue prime memorie,
Qu'est-ce la propriété? Recherches sur le
principe fu droit et fu gouvernement (1840), in cui stigmatizzava la
proprietà, definendola un furto. Radicale fu la critica mossa da Proudhon
non soltanto alla vocazione oppressiva dell'assolutismo regio, ma anche agli
istituti economici del Capitalismo e all'ordinamento statuale promosso dalla
nuova borghesia democratica. Secondo Proudhon, tanto il regime parlamentare,
definito come un "arbitrio costituzionale", quanto il suffragio universale, a
cui attribuiva una valenza controrivoluzionaria, non corrispondevano affatto
agli obiettivi reali della classe lavoratrice. Al contrario, rappresentavano uno
strumento di perpetuazione dei privilegi del ceto dominante e di sfruttamento
delle classi subalterne. Unica via d'uscita, la costituzione di una
società fondata sull'unione federativa delle associazioni formate dai
lavoratori: in tal modo, attraverso la creazione di cooperative, la cessione
gratuita del credito e la costituzione di una "banca del popolo", veniva posta
al centro della vita sociale la classe lavoratrice - in qualità di unica
e vera produttrice della ricchezza sociale - non più retribuita con il
salario, ma con una quota proporzionale al lavoro prestato. Precursore della
concezione economica anarchica fu il russo Cernyscevski, la cui critica
dell'economia politica viene considerata dagli studiosi anarchici dotata di un
valore e di un respiro analoghi a quella condotta su altre basi da Marx. Il
collegamento fra il pensiero di Proudhon e il nascente movimento operaio fu
l'obiettivo perseguito da Bakunin: anch'egli contrario a ogni forma di
centralismo autoritario, predicò un connubio di
a. e di azione
insurrezionale, convinto com'era che, dietro un'apparente sottomissione, fosse
latente nelle classi contadine russe una carica di violenza distruttrice ed
eversiva. Egli non si curò molto di indicare quale forma dovesse assumere
la nuova società sorta dalla rivoluzione, confidando che il popolo
(soprattutto il popolo russo, "socialista per istinto e rivoluzionario per
natura") avrebbe creato da sé il nuovo assetto. In ogni caso, secondo
Bakunin anche nelle libere associazioni operaie era insito il rischio di
degenerazioni autoritarie, scongiurabili solo attraverso il trasferimento della
proprietà delle materie prime e dei mezzi di produzione alla
collettività dei lavoratori: all'individuo poteva essere concessa solo la
proprietà delle cose di uso strettamente personale. Tale processo doveva
essere innescato da "autorità rivoluzionarie" che agissero da stimolo del
risveglio insurrezionale e della definitiva emancipazione delle masse,
incentivandone forme di spontanea e autonoma organizzazione. Kropotkin
sviluppò il proprio pensiero a partire dalle premesse poste da Bakunin.
Egli distinse due fasi nella futura società rivoluzionaria: collettivismo
e comunismo. La fase collettivistica doveva rappresentare un passaggio
transitorio durante il quale il concetto di proprietà sarebbe
sopravvissuto nella forma di proprietà collettiva di comuni o di
federazioni di comuni. Questa fase doveva in seguito essere superata, con
l'accettazione da parte della collettività del principio secondo cui
ciascuno era partecipe della vita e della ricchezza sociale secondo le sue
capacità e i suoi bisogni: a questo punto l'idea stessa di
proprietà era destinata a dissolversi lasciando spazio alla realizzazione
del comunismo. La differenza tra questa concezione e quella marxiana
dell'estinzione dello Stato consisteva nel fatto che, secondo le teorie
anarchiche, lo Stato doveva essere distrutto subito e solo l'idea di
proprietà era destinata a estinguersi lentamente. Saverio Merlino che,
insieme con Enrico Malatesta, fu il maggiore teorico italiano dell'
a.,
rilevò che, mentre i collettivisti, ossia la quasi totalità dei
socialisti, concepivano la trasformazione economica della società come
riguardante esclusivamente la distribuzione dei prodotti del lavoro, per gli
anarchici comunisti la trasformazione doveva essere assai più radicale:
"tutto il quadro della società cambierà per il solo fatto che alla
produzione per il profitto succederà la produzione per la soddisfazione
dei bisogni diretti dei produttori associati". Pertanto, mentre il collettivista
fondava il proprio sistema sullo scambio e si sforzava di trovare un equilibrio
tra il lavoro manuale e quello intellettuale, tra prestazioni immediatamente
produttive e non, l'anarchico concepiva la società futura al di fuori di
tutte le regole dell'economia politica. Nella società anarchica, dunque,
la produzione finalizzata al consumo prevarrebbe su quella orientata allo
scambio, imprimendole una direzione totalmente nuova: lo scambio si
trasformerebbe in criterio d'associazione, ispirato al principio della
reciprocità dei servizi. In conclusione, secondo Merlino, "la
determinazione dei rapporti tra i lavoratori, l'organizzazione del lavoro e
delle soddisfazioni, la forma e le modalità dell'associazione, i rapporti
tra i gruppi, sarebbero rimessi alla libera intesa dei lavoratori stessi, al
gioco dei loro liberi interessi concordanti".