(dal greco
analoghía: rapporto). Relazione di
somiglianza che elementi di due o più cose, che differiscono nel resto
per le qualità che sono loro proprie, hanno fra loro.
• Mat. - Nella insiemistica, rapporto binario
tra elementi di sistemi che godono delle proprietà riflessiva e
simmetrica ma non di quella transitiva. • Fil. -
Procedimento di ricerca in base al quale, accertate alcune somiglianze tra due
cose, se ne deducono altre su altri punti. Tale procedimento dà soltanto
risultati probabili e non certi. Nel pensiero greco il termine indicava, nel
linguaggio scientifico, una proporzione matematica, cioè l'uguaglianza
fra due rapporti. A partire da Platone invece il termine assunse il significato
epistemologico a indicare come tra le cose naturali intercorrano rapporti simili
a quelli che ci sono tra enti matematici. Nel pensiero di Aristotele e dei
successori indica un procedimento logico diverso dalla univocità ed
equivocità; si ha
a. quando un termine riferito a più
soggetti ne predica un contenuto in parte uguale e in parte diverso. Due sono i
tipi di
a.: quella di attribuzione o rapporto, e quella di
proporzionalità. Tale concezione dell'
a. è alla base della
dottrina della
analogia entis, sviluppata soprattutto da Alberto Magno,
da S. Tommaso e dal tomismo. L'
a. sarebbe il modo in cui l'uomo
può avere conoscenza del primo assoluto data da un lato la totale
differenza e dall'altro la relativa somiglianza dell'uomo con Dio. L'idea per
cui l'
a. è propria dell'ente si contrappone all'idea della
univocità dell'ente stesso, sostenuta da Duns Scoto e Ockham. L'
a.
intesa come
coincidentia oppositorum è la definizione datane da
Cusano. I moderni fra i quali Keplero, Galileo e Kant ritengono invece la
a. come uguaglianza di rapporti priva di ogni valore ontologico. In tale
significato è presente anche nella logica contemporanea. Kant parla di
a. della esperienza, ossia di una serie di norme comuni che fanno
sì che l'uomo abbia delle esperienze oggettive. In ogni tipo di mutamento
la sostanza non cambia: né diminuisce né aumenta; tutti i fenomeni
sono regolati dalla legge di causa ed effetto; le sostanze sono in una azione
reciproca simultanea. I sostenitori della
a. fidei ritengono che sia
possibile usare categorie filosofiche per esprimere contenuti della rivelazione,
tesi che è alla base della teologia sistematica ma che è respinta
da Mosè Maimonide, fra i filosofi antichi, e da Karl Barth, fra i
contemporanei. • Dir. - Criterio di armonica
uguaglianza, il quale fa sì che una medesima disposizione di legge o
principio si applichi ai casi non previsti o non prevedibili dalle norme
giuridiche ma simili a quelli regolati. Si dice
a. legis, quando il
giudice argomenta in base a una disposizione riguardante un caso simile. Si ha
invece
a. iuris quando si argomenta sulla base del sistema legislativo
preso nell'interezza del suo spirito. Affinché si possa applicare
l'
a. è necessario dimostrare che il caso che non è
prettamente regolato sia simile a quello regolato. Per fare questo è
necessario trovare la cosiddetta
ratio legis vale a dire la ragione che
giustifica la norma, che di fatto rappresenta lo scopo della stessa legge.
Esistono alcuni casi in cui non si può applicare la
a.: quando si
tratta di leggi eccezionali, in materia di diritto del lavoro e di diritto
penale. • Fis. - Corrispondenza fra due fenomeni
fisici diversi che sono retti da uno stesso principio generale e da un'equazione
formalmente identica, pur essendo relativi a forme di energia diverse.
• Biol. - Concetto che sta alla base
dell'anatomia comparata. Analoghi sono detti quegli organi che hanno un
differente sviluppo embrionale e funzioni simili. Il concetto di
a. si
contrappone a quello di omologia: omologhi sono quegli organi che hanno una
medesima derivazione embrionale e rapporti simili.
• Ling. - Dottrina linguistica che si basa sul
concetto di somiglianza. Bisogna distinguere tra il significato che il concetto
assume per la grammatica antica e quello che ha in linguistica storica o
diacronica. Nel primo caso fu il frutto degli studi di linguistica svolti ad
Alessandria, dove ne fu il principale sostenitore Aristarco di Samotracia. Il
concetto di
a. si basava su una concezione della lingua come insieme di
segni convenzionali che si riteneva fossero sorti per una convenzione sociale e
che quindi dovessero essere regolati da norme razionali e rigorose. Lo scopo
dello studio dei grammatici avrebbe dovuto portare alla ricostruzione dei testi
antichi e alla scoperta dell'idioma puro. Opposta alla scuola di Alessandria era
quella di Pergamo, che era capeggiata da Cratete di Mallo. Tale scuola
elaborò il concetto di anomalia accogliendo la teoria per cui fosse la
natura a guidare le attività umane e quindi il linguaggio stesso. Gli
anomalisti rifiutavano l'idea della esistenza di regole precise, ribadendo
invece l'azione dell'uso e della consuetudine nella evoluzione della lingua.
Nella linguistica storica o diacronica l'
a. indica il fenomeno per cui si
creano delle nuove forme a somiglianza di altre, secondo regole foniche ben
precise. L'
a. si differenzia dal mutamento fonetico in quanto non
consiste nel mutamento di una forma, ma nella creazione di un'altra forma che si
aggiunge a quella preesistente. Inoltre, rispetto al mutamento fonetico,
l'
a. ha una funzione di regolare e uniformare il linguaggio, mentre il
primo genera un disturbo nella struttura della lingua. || In stilistica,
particolare tipo di metafora che, usando un termine che in genere indica un'idea
differente da quella che si vuole esprimere, crea effetti
singolari.