Poeta lirico greco. Negli anni della sua giovinezza
abbandonò con alcuni dei suoi concittadini la patria, in seguito alla
invasione dei sovrani persiani, gli Achemenidi, i quali, dopo aver vinto Creso
intorno al 545 a.C., avevano iniziato l'occupazione delle città ioniche
già appartenenti alla sfera di influenza della Lidia.
A. si
recò così prima in Tracia, ad Abdera. Poi invitato da Policrate a
Samo, vi rimase fino alla tragica fine del tiranno. Qui trascorse il periodo
più sereno e felice della sua vita, come consigliere di Policrate.
Successivamente si diresse ad Atene da Ipparco, figlio di Pisistrato, che
offriva ospitalità ai poeti del tempo. Dopo l'uccisione nel 514 a.C. di
Ipparco da parte di Armodio e di Aristogitone, passò forse presso gli
Alveadi di Tessaglia, dove trascorse gli ultimi anni di vita. Sembra sia morto
più che ottuagenario, soffocato, si dice, da un acino d'uva. Il suo
peregrinare da una corte all'altra, da un tiranno all'altro, sono la
testimonianza di un'epoca in cui i sovrani erano i commitenti delle opere dei
poeti, i quali nelle loro poesie si trovavano a rispecchiare gli orientamenti
politici e culturali dei loro protettori. I critici alessandrini raccolsero le
opere di
A. ordinandole, secondo i metri, forse in cinque libri. La
produzione del poeta fu molto vasta: compose elegie, giambi, trochei, ma
soprattutto liriche e poesie monodiche. Le sue poesie riflettono la sua anima
ionica e sono affini alla sensualità che caratterizza anche le liriche di
Mimnermo. Predominano i temi dell'amore fugace e del vino oblioso, del convito.
L'amore non è però descritto, come nelle liriche di Saffo, negli
effetti devastanti che procura nei cuori degli amanti: nelle liriche predomina
piuttosto la ragionevolezza che porta
A. a considerare la passione e il
sentimento amoroso con una sorta di ironia e autoironia, ironia verso se stesso
ormai vecchio, ma anche ironia verso il giovane di cui descrive il taglio della
chioma o verso la fanciulla che non si accorge dell'amore del poeta. Spicca
quindi un tono scherzoso, che rende vivaci le immagini ora di Eros che gioca con
il poeta a dadi, ora che tempra con il sentimento d'amore l'anima del poeta
così come il fabbro con il fuoco tempra la spada. A differenza di Alceo e
Saffo,
A. non fu impegnato nella politica attiva e le sue poesie
riflettono invece l'atteggiamento del poeta al servizio del tiranno. Eccolo
allora riferire con disprezzo di una rivolta di pescatori contro Policrate. Alla
politica antiaristocratica condotta dai tiranni va anche attribuita
l'esaltazione e il rilievo dato nelle sue poesie alla figura di Dionisio (il cui
culto era celebrato spesso dai tiranni in opposizione a quello, preferito dalla
aristocrazia, delle divintà Olimpiche). L'inno al vino e a Dionisio non
è però portato alla esasperazione, ma introdotto nell'ambito di
cerimonie caratterizzate da moderazione e pacatezza. Tutta la poesia di
A. si caratterizza del resto per una moderazione che però non
diventa mai monotonia, ma anzi si arricchisce con una vasta gamma di forme
metriche e linguistiche. La lingua è un dialetto ionico al quale si
inframezzano elementi dell'epica, omerismi, e vocaboli provenienti dalla lingua
popolare. I metri sono quelli eolici e ionici (celebre è soprattutto il
dimetro anacreontico): predominano fra gli altri i gliconei e i ferecratei. La
fortuna delle liriche di
A. ha moltiplicato le schiere di imitatori che
però hanno ridotto l'eleganza dei versi anacreontici in puro manierismo e
in leziosità la dolcezza che li caratterizza. I temi trattati dal poeta
sono così diventati spesso materia di pura esercitazione retorica. Lo
stesso genere delle
Anacreontee ha falsato l'immagine e
l'originalità di
A. non permettendo una corretta valutazione della
sua produzione (Teo, Ionia 570 a.C. circa- 485 a.C.
circa).
Busto di Anacreonte (Roma, Musei Capitolini)