(Spedizione verso l'interno). Opera storica di Senofonte.
L'opera è strutturata in sette libri; narra le vicende della spedizione
intrapresa da Ciro il Giovane contro il fratello Artaserse II, re di Persia, nel
401 a.C. e protrattasi per quindici mesi con un percorso di oltre 6.000 km.
L'esercito di Ciro, composto da mercenari asiatici e da un corpo di 13.000
volontari greci, tra i quali Senofonte, diede battaglia ad Artaserse presso
Cunassa, a una giornata da Babilonia; ma proprio in quella battaglia Ciro fu
colpito a morte. Al suo esercito non rimase che la ritirata: gli stessi nemici
Persiani promisero di rifornirlo di vettovaglie purché non provocasse
ulteriori danni ai territori che avrebbe attraversato. In seguito al tradimento
del persiano Tissoferne i principali strateghi greci vennero assassinati, ma i
diecimila superstiti continuarono la loro marcia al comando di due nuovi capi,
Cherisofo e Senofonte stesso. Dopo aver risalito il corso del Tigri e
attraversato le impervie montagne dei Carduchi e l'altopiano armeno, la
spedizione toccò finalmente le coste del Ponto, guidata ormai dal solo
Senofonte, rimasto unico comandante dopo la morte di Cherisofo. L'opera fu
pubblicata a distanza di una trentina d'anni dagli avvenimenti narrati. Come
storico di se stesso, l'autore non fu imparziale; tuttavia, si può dire
che proprio il carattere autobiografico e l'intento apologetico contribuirono
alla popolarità e alla fortuna dell'opera, ammiratissima dai Greci e dai
Latini. Un criterio strettamente storico sarebbe stato, d'altronde, inadeguato
alla scarsa importanza del fatto narrato. L'interesse dell'
A. è
piuttosto negli episodi avventurosi del ritorno e soprattutto nelle ampie
descrizioni dei paesi attraversati: in questo senso, l'opera colpisce per il suo
vivace e nitido realismo, che attinge a un'esperienza diretta e che si esprime
in uno stile semplice e piano, raggiungendo nei brani migliori toni epici (la
scena dei Greci che raggiungono il mare), facendosi altrove ingenuo e
addirittura infantile. È celebre il giudizio di Quintiliano, secondo il
quale si potrebbe applicare a Senofonte quello che nell'antica commedia si disse
di Pericle, "come cioè sulle sue labbra sieda la dea della
persuasione".