(dal nome antico della provincia centrale dell'Abissinia,
Amara). Lingua semitica che fa parte del gruppo etiopico. È
parlato nella maggior parte dell'altopiano abissino, dove è la lingua
ufficiale. Fu a lungo la lingua usata nei rapporti diplomatici (in Abissinia,
essendo la "lingua del re", servì a tale scopo fin dal XIII sec.) e
commerciali nonché nell'insegnamento, anche se la lingua letteraria
rimase il
ge'ez. L'
a. si estese nel corso dei secoli a scapito
degli idiomi camitici. I più antichi documenti di questa lingua risalgono
al XIV sec. Si tratta di inni agli dei o di canzoni di gesta. L'uso scritto si
stabilì nel XVI sec. sotto il dominio dei Portoghesi che ne fecero uso in
opere di propaganda. A loro risposero membri del clero locale con una produzione
originale in
a. o con testi tradotti dal
ge'ez. Nei secc.
XVII-XVIII venne inoltre tradotta in
a. la grammatica
ge'ez. Una
vera e propria letteratura
a. iniziò però solamente nel XX
sec. Tra i testi si ricordano quelli di padre Giusto da Urbino, il
Libro dei
consigli di Takla Hajmanot; un'opera di teologia polemica di Takla Marjam,
la
Vita di San Quirico; le
Divagazioni terrene e spirituali e la
Cronaca su Teodoro II di Zanneb; la
Storia del popolo etiopico di
Tajjè; le opere di Afevork che scrisse il primo romanzo in
a.
Fantasia e inoltre una biografia di Menelik,
Vita di Menelik.
Più vicino alla tradizione fu invece Heruj Walda Sellase (1875-1939),
autore di una
Breve storia dell'imperatore Giovanni, di una storia
dell'Etiopia basata anche su fonti occidentali (
Vigilia) e di altre
biografie. Nel secondo dopoguerra si fece più pressante l'influenza della
cultura occidentale: si sviluppò un teatro moderno impegnato, si
cercò di superare i convenzionalismi adottando la lingua viva, si
svilupparono le pubblicazioni di argomenti tecnici e scientifici. Su posizioni
più attardate e conservatrici è rimasta invece la produzione
poetica.