Poeta lirico greco. Secondo i critici alessandrini fu il
primo poeta lirico greco. Visse a Sparta fino alla vecchiaia e scrisse numerose
liriche e canti corali per le festività religiose: peani, iporchemi,
parteni, inni. Ripartiti in sei libri dai critici, ce ne restano solo brevi
frammenti. La poesia di
A. è gioiosa, un po' sensuale, ma sempre
composta e intessuta di immagini delicate. La lingua usata è quella
dorica con influssi ionici (Omero) ed eolici (poeti lirici). La conoscenza della
poesia di
A. è stata possibile, oltre che da pochi frammenti della
tradizione indiretta, grazie alla scoperta di due papiri: il primo cosiddetto di
Mariette dal nome dell'archeologo che lo scoprì in un tomba in Egitto nel
1855; il secondo detto di Ossirinco e pubblicato nel 1957. Il frammento del
partenio è lungo più di 101 versi e presenta per la prima volta la
divisione in strofe, cantate a ritmo alterno dalle due sezioni del coro, con
movimenti di danza.
A. contempla qui la bellezza delle fanciulle di
Agido, di Agesicora riuscendo a ricreare nel testo quell'atmosfera, quella forma
di
eros che nasceva tra le ragazze educate nei circoli femminili
spartani. L'amore è al centro di molti suoi componimenti, così
come l'esaltazione della bellezza muliebre, contemplata quasi come in un
incanto. Con immagini di estrema poeticità
A. esprime il
turbamento che stupisce chi si innamora e canta l'amore che per lui non è
la passione violenta di Saffo né il desiderio violento e doloroso di
Archiloco, ma è sentimento che riscalda il cuore e appaga i sensi. Poesie
di rara bellezza sono quelle in cui
A. nella quiete e
nell'intensità riesce a cogliere e percepire il fascino delle cose, i
colori, i misteri della notte, quando descrive il sonno delle montagne, dei
fossati, degli animali nei quali si avverte come una pausa nel ritmo della vita,
nel sonno che avvolge e addormenta tutto accomunando l'intera natura; o quelle
nelle quali riesce a dare il senso dell'arcano sconfinamento dell'umanità
in una comunione con il mondo delle fiere, nell'immagine della baccante che
caglia del latte di una leonessa alla luce di una torcia. Né mancano
liriche dove il poeta rivela se stesso: ora egli traccia un simpatico
autoritratto e scherza amaramente sulla sua indigenza, talora invece prevale la
riflessione desolata sulla propria condizione, la malinconia per la vecchiaia
che lo ha piegato. Meritano infine un cenno i frammenti di poesia epica
(l'episodio di Circe che spalma le orecchie di cera a Ulisse e compagni per non
far loro sentire le sirene, correlazioni con l'episodio di Ulisse nelle terra
dei Feaci). La presenza di tali liriche è particolarmente interessante
perché attesta come già nel VI sec. esistesse a Sparta una
versione dell'
Odissea (Sardi seconda metà VII sec.
a.C.).