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Alcibìade.

Generale e uomo politico ateniese. Discendente per parte materna da Pericle (che lo ospitò in casa dopo la morte del padre Clinia nel 446) visse negli ambienti presocratici e fu discepolo di Socrate, del quale non condivise però del tutto le idee come si legge in alcuni dialoghi di Platone. Fu eletto stratega nel 420-419 nelle file del partito democratico, e appoggiò la coalizione contro Sparta. Contribuì alla rottura della pace di Nicia che portò alla riapertura del conflitto del Peloponneso che condusse Atene, alleata con Argo e altre città contro Sparta, fino alla tremenda sconfitta di Mantinea (418). Allontanato dalla città, tornò successivamente ad Atene dove scese a compromessi con la parte moderata e venne rieletto stratega tra gli anni 417-416 e 416-415. Desideroso di guerra e assai ambizioso, A. fu promotore della fatale occupazione della Sicilia, e ne fu dichiarato comandante con Nicia e Lamaco (415 a.C.). Dopo una serie di disastri, fu richiamato in patria per rispondere alle accuse di sacrilegio, al processo delle erme. Ma, sapendo quanto fosse pericoloso per lui il ritorno ad Atene, preferì rifugiarsi a Sparta dove, capovolgendo la sua azione bellica, offrì un aiuto fondamentale nella lotta contro Atene in Attica e in Sicilia, dove fece inviare un esercito in aiuto dei Siracusani. Ben presto però Sparta cominciò a diffidare di lui per i suoi maneggi con il satrapo persiano Tissaferne, in contrasto con gli Spartani. A. si trasferì così in Persia, da dove sobillò la rivolta della oligarchia ad Atene nel 411 promettendo l'aiuto dello stesso satrapo. Nella vittoria della oligarchia e nella sconfitta della democrazia che lo aveva condannato egli vedeva la speranza di poter tornare in patria e di occupare nuovamente una posizione di prestigio. Fallita la rivolta, egli si spostò nuovamente dalla parte dei democratici e aiutò la flotta ateniese ancorata a Samo in lotta contro il governo dei Quattrocento. A capo della flotta di Atene condusse vittoriosamente la battaglia contro quella del Peloponneso, vincendo alfine a Cizico (410) e ristabilendo la supremazia ellenica sul Bosforo e nella Tracia. Fu così richiamato e accolto con ogni trionfo ad Atene dove esercitò una influenza illimitata. Conferitagli l'autocrazia, cioè la dittatura, fu vicinissimo a raggiungere la tirannide. Ma la incomprensibile indecisione del suo carattere che non lo portava ad approfittare nel modo migliore del buon successo del momento lo fece rinunciare alla carica. Partì invece in cerca di nuova gloria per la Jonia. Nel 407 la sconfitta navale a Notio presso Efeso, nella quale era stato battuto un suo ufficiale, Lisandro, gli suscitò contro nuovi sospetti. A. si ritirò così nei suoi castelli in Tracia, da dove cercò di evitare la sconfitta di Atene nella battaglia di Egospotami (405 a.C.). Dopo che Lisandro e Ciro alleatisi sconfissero nuovamente Atene (404), riparò presso Farnabazo, che pare lo facesse uccidere istigato dallo spartano vincitore, Lisandro. A. era uomo di spiccate doti politiche e militari: purtroppo i suoi rapporti difficili con i concittadini determinarono la sua rovina e anche quella di Atene stessa. Ciò è sicuramente da imputare alla personalità egocentrica e ambiziosa di A., anche se in parte fu colpa degli errori politici degli ateniesi almeno secondo lo storico Tucidide che con le Storie Elleniche, insieme a Plutarco (Vita di A.) costituisce la fonte storica che offre più elementi per la valutazione storica del personaggio (452 circa - 404 a.C.).