Nell'accezione moderna, rapporto sessuale extraconiugale, in
alcune legislazioni previsto come reato e come tale soggetto a sanzioni penali.
• Etn. - L'
a. viene considerato in modo
diverso dalle diverse società. Nelle civiltà in cui è
vietato, l'
a. può essere punito con pene più o meno gravi e
in alcuni casi addirittura con la morte. In passato, presso le popolazioni
dell'Assam e dell'Alta Birmania l'
a. veniva punito con una sanzione di
tipo risarcitorio: l'amante era tenuto a risarcire sia la famiglia d'origine
della donna sia quella del marito. Tra le popolazioni montanare dell'Indocina,
il risarcimento spettava invece al marito tradito che, qualora avesse colto in
flagrante i colpevoli, poteva ucciderli e pretendere un risarcimento da parte
della famiglia della moglie. Presso alcuni gruppi boscimani e dàmara del
Sudafrica, l'
a. era punito con la morte. Varie leggende e credenze
magiche circondano l'
a., soprattutto presso i popoli cacciatori di tutti
i continenti. L'andamento della caccia, e soprattutto le sue conseguenze
più tragiche (uccisione o ferimento del cacciatore da parte dell'animale
cacciato), venivano attribuite alla cattiva condotta della moglie del
cacciatore. Il tabù dell'
a. attraversa tutta la storia delle
religioni e del diritto delle società di interesse storico.
• St. - In base al codice babilonese di
Hammurabi e alla legge mosaica, l'
a. era considerato un crimine punibile
con la morte (la legge ebraica prevedeva la lapidazione). L'
a. era
severamente punito anche in Grecia, dove tracce profonde delle più
antiche leggi punitive, basate sulla vendetta personale, si ritrovano anche in
età classica, nonostante il tentativo delle autorità di
scoraggiare la vendetta personale, applicando invece la legge
dell'
atimía (privazione dei diritti civili fondamentali e
pagamento di una forte ammenda) all'amante. Quanto alla moglie adultera, era
previsto l'obbligo per il marito di ripudiarla, poiché, in caso
contrario, il marito stesso era punibile con l'
atimía. Il diritto
al ripudio, senza restituzione della dote, era previsto anche dal diritto romano
in età repubblicana. Poiché la repressione dell'
a. spettava
al
pater familias, in caso di flagranza al marito era consentito uccidere
la moglie e vendicarsi sul complice a propria discrezione. In età
imperiale, l'
a. fu regolato da un'apposita legge (
Lex Julia de
adulteriis del 18 a.C.), in base alla quale il diritto di uccidere gli
amanti sorpresi in flagrante era riservato, per causa d'onore, al padre della
donna adultera, mentre il marito poteva solo denunciarla al magistrato ed
esercitare il diritto di ripudio, trattenendo metà della dote. Anche
l'amante subiva la confisca della metà del suo patrimonio. Questa legge
fu inasprita sotto Costantino, con l'introduzione della pena di morte per
l'amante. Nonostante l'introduzione del concetto cristiano secondo cui il dovere
di fedeltà spetta a entrambi i coniugi, anche dopo l'avvento del
Cristianesimo fu conservata una netta disparità di trattamento tra l'uomo
e la donna per la violazione della fede coniugale e in varie società
cristianizzate il marito conservò il diritto di vendere o di uccidere la
moglie colpevole di
a. Esempi di pene severissime, tra cui la condanna al
rogo per la donna adultera, si ritrovano anche in età successiva a quella
medievale e lo stesso diritto moderno ha considerato, e in molti Paesi considera
tuttora, l'
a. come un reato penalmente perseguibile, conservando l'antica
discriminazione tra uomo e donna, per cui sono considerati adulterini i rapporti
sessuali extramatrimoniali della donna coniugata, mentre non vengono considerati
a. quelli che un uomo sposato intrattiene con una donna nubile.
L'
a. attualmente costituisce una delle principali cause di separazione e
di divorzio. In alcuni Paesi, esso può costituire un impedimento per la
concessione di una nuova licenza matrimoniale al coniuge adultero divorziato.
• Dir. - Il nuovo diritto di famiglia, in vigore
dal 1975, ha profondamente rinnovato la legislazione italiana, la cui
arretratezza in materia di
a. appariva in netto contrasto con
l'evoluzione del costume etico-sociale e con quanto stabilito dall'art. 3 della
Carta costituzionale, che pone su un piano di eguaglianza giuridica e di pari
dignità l'uomo e la donna. A questo proposito si era pronunciata la Corte
costituzionale con una sentenza del 19.12.1968 che aveva dichiarato illegittimo
l'art. 559 del Codice Penale, secondo cui la donna adultera poteva essere punita
con la reclusione sino a un anno, elevabile a due nel caso di relazione
adulterina. Questa sentenza, e quella del dicembre dell'anno successivo che
aveva sancito l'illegittimità costituzionale dell'art. 560 del Codice
Penale che puniva il concubinato del marito (V. CONCUBINATO), non aveva cancellato le sanzioni previste dall'art. 151 del
Codice Civile, secondo cui l'
a. e la relazione adulterina costituivano
motivo di separazione personale. Pertanto, nella legislazione italiana,
l'
a. ha conservato rilevanza giuridica sino al 1975, consentendo a uno
dei coniugi di chiedere la separazione per colpa dell'altro. Nella legislazione
vigente, l'
a. non rappresenta più una causa specifica di
separazione ma, in quanto rientra tra le cause che possono "rendere
intollerabile la prosecuzione della convivenza", viene considerato motivo valido
per una richiesta di separazione. Sulla base della legge del 23.5.1975 il figlio
adulterino ha acquistato diritti pari a quelli dei figli legittimi,
purché sia riconosciuto. Il riconoscimento può essere effettuato
anche da parte di un solo genitore, così come l'art. 254 del Codice
Civile già stabiliva per il riconoscimento del figlio naturale non
adulterino.