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Acrìlico.

Chim. - Termine riferito a composti chimici organici contenenti il gruppo CH2═CH–CO–. ║ Resine a.: famiglia di resine sintetiche termoplastiche, ottenute a partire dall'acido a. o da suoi derivati quali acrilonitrile, acido metacrilico, acrilati e metacrilati. Si tratta di un ampio gruppo di resine, dotate di ottime proprietà meccaniche e ottiche, usate nei campi più diversi: dalla fabbricazione di lenti e sostituti del vetro a quella delle fibre tessili. Furono utilizzate per la prima volta nel 1937, sotto forma di lastre per la fabbricazione di finestrini per aerei, grazie alla loro trasparenza e alla loro resistenza. La loro composizione è stata poi differenziata in molteplici varietà adatte a impieghi diversi. Nonostante in seguito siano state introdotte sul mercato numerose altre materie plastiche, il loro impiego è sempre stato in espansione. Col termine resine a. si indicano genericamente almeno una decina di polimeri, differenti sia dal punto di vista della composizione chimica sia dal punto di vista delle proprietà. Da un punto di vista sistematico le resine a. appartengono a tre grandi famiglie: resine poliacriliche, resine polimetacriliche, resine poliacrilonitriliche. ║ Resine poliacriliche: derivati della polimerizzazione dell'acido a. o di suoi esteri. Il polimero dell'acido non esterificato, in realtà, non viene preparato che in quantità molto piccole; comunemente vengono invece polimerizzati i suoi esteri e particolarmente quello metilico e quello etilico, ma sono usati anche alcooli superiori. Talvolta si fanno dei copolimeri fra un estere e un altro estere, sempre dell'acido a. Alla polimerizzazione comunemente si dà inizio con sostanze generatrici di radicali, come il benzoilperossido, oppure con sistemi redox. È applicabile sia la polimerizzazione in blocco sia in sospensione. Nel primo caso il monomero viene posto in uno stampo, che ha già la forma del manufatto finito, addizionato con degli iniziatori di reazione e poi riscaldato moderatamente per avviare la polimerizzazione. Essendo questa esotermica, le condizioni operative devono essere accuratamente controllate per evitare temperature eccessive. Questo metodo è difficilmente applicabile e viene quindi usato solo in condizioni del tutto particolari. Per questo motivo si preferisce di norma non partire dal monomero ma da un oligomero, cioè da una sostanza ottenuta per parziale polimerizzazione (o prepolimerizzazione) del monomero. In tal modo il calore sviluppato dalla reazione è molto minore. Secondo una variante di questo metodo si impiega, invece, una miscela del polimero in forma di polvere con il monomero liquido. Questa soluzione trova impiego solo per la fabbricazione di manufatti in piccolissima serie, poiché l'ammortamento di uno stampo per stampaggio o iniezione non è economico né, d'altro canto, conviene una lavorazione all'utensile. Ne era un tipico esempio di applicazione la fabbricazione di lastre, piane o curve, per finestrini di aerei e simili. Il prepolimerizzato veniva colato fra due lastre di vetro e sottoposto, quindi, al completamento della polimerizzazione. Oggi sono state introdotte per le lastre piane (che sono la maggioranza) delle macchine di fabbricazione continua della lastra a partire direttamente dal monomero. La polimerizzazione in blocco direttamente nello stampo rimane per lastre non piane e per la produzione di lenti di alta qualità. Generalmente la polimerizzazione viene condotta in emulsione acquosa: il monomero viene disperso in acqua per mezzo di opportune sostanze emulsionanti che trattengono in sospensione anche il polimero, che man mano si forma, per permettere alle macromolecole di allungarsi fino al punto voluto. La polimerizzazione in emulsione non presenta problemi di riscaldamento, in quanto il calore generato dalla reazione può essere facilmente compensato raffreddando l'acqua in cui la reazione avviene. Il polimero ottenuto in queste condizioni si presenta come un lattice simile a quello del caucciù e può essere impiegato come tale in molti casi (ad esempio per appretti antipiega, per collanti per cuoio, per la preparazione di tinture idrosolubili e così via). Una applicazione caratteristica dei poliacrilati è la preparazione di stoffe e carte da parati, dotate di colori vivissimi. Questi materiali vengono impregnati del lattice contenente il polimero a.; dopo l'asciugatura questo forma un film sottilissimo e perfettamente trasparente che fa risaltare particolarmente i colori sottostanti ed è inoltre resistente all'acqua, a molti solventi, agli agenti atmosferici. Dalla resina così polimerizzata è possibile ottenere una materia plastica, utilizzabile come materiale da costruzione, anche se dotata di proprietà più scadenti rispetto alla corrispondente resina polimerizzata a partire dagli esteri dell'acido metilacrilico, il cui costo è praticamente identico. La maggior applicazione delle resine poliacriliche consiste quindi solo nella preparazione di vernici di qualità e di elevata resistenza agli agenti atmosferici e aggressivi di varia natura. ║ Resine polimetacriliche: sono ottenute per polimerizzazione di esteri dell'acido metacrilico (o metilacrilico) secondo le tecniche sopra descritte. Sono queste le resine a. per antonomasia. La più antica di queste, e tuttora la più diffusamente impiegata, è il polimetacrilato di metile, noto con il nome commerciale di plexiglas (marchio di fabbrica della società statunitense Rohm & Co. Haas), detto anche resina a. non modificata per distinguerla da molti copolimeri originati dal metacrilato di metile unito ad altri composti (stirene, butadiene, derivati vinilici). Il polimetacrilato di metile si presenta come un solido vetroso, avente peso specifico 1,18÷1,19 g/ml, meno duro del vetro ma molto più tenace di questo, mentre è pari la sua trasparenza e la riflettività è molto bassa: almeno il 90% della luce che incide su una lastra di questa resina (ovviamente non trattata con coloranti o altro materiale) la attraversa. Questo materiale è dunque un ottimo sostitutivo del vetro in tutti i casi in cui vi siano problemi di sicurezza (ad esempio finestrini di aerei, parabrezza di motociclette, parti di lampade, ecc.) o di difficile sostituzione in caso di rottura (catarifrangenti, luci di posizione e di direzione di automobili). L'unico difetto del polimetacrilato di metile in tutte queste sue applicazioni è relativo alla durezza relativamente bassa rispetto a quella del vetro; oggi sono però in commercio delle resine modificate (contenenti ad esempio resine fluorurate, silice o altre cariche) che, pur mantenendo intatta o quasi la trasparenza, hanno miglior resistenza all'abrasione e sono impiegate in vari casi, ad esempio per vetri di orologi. Il polimetacrilato di metile si presenta, a temperatura ambiente, ad elevata cristallinità, come è ovvio data la sua trasparenza; a circa 90 °C, però, subisce un cambiamento di struttura, passando da quella cristallina a una di tipo gommoso-elastico, disordinata, con perdita di una parte della sua trasparenza. Per questo motivo è utilizzabile solo quando non siano previste eccessive sollecitazioni termiche; infatti il campo di temperature ammesse va dai -40 °C ai 115 °C circa, tuttavia è meglio non utilizzarlo con temperature di esercizio continuato superiori ai 90 °C. La sua resistenza alla trazione è buona (carico di rottura sui 500÷750 kg/cm²) ma l'allungamento a rottura è alquanto basso (2÷7%) rispetto alla maggior parte delle materie plastiche e termoplastiche. Anche da un punto di vista elettrico le caratteristiche sono buone: si tratta di un ottimo isolante, con una costante dielettrica abbastanza elevata (2,2 3,2 a 106Hz). L'assorbimento di acqua è basso (0,2÷0,4%) come pure l'infiammabilità, a tal punto che ne esistono anche modificazioni classificate come autoestinguenti dalle norme di sicurezza. Per quanto riguarda la resistenza agli agenti atmosferici, compreso l'irraggiamento solare, il comportamento è eccezionale. La resistenza ad agenti chimici come acidi e basi deboli e diversi solventi comuni è pure molto elevata, mentre è attaccato dalle basi forti, dagli acidi forti ossidanti e da vari solventi, fra i quali idrocarburi clorurati, idrocarburi aromatici e diversi esteri e chetoni. Per quanto concerne la lavorabilità le resine polimetacriliche sono abbastanza facili da trattare. Oltre alla polimerizzazione diretta nello stampo, o anche per iniezione, possono essere formate sotto vuoto, estruse e lavorate all'utensile. Possono essere stampate con inchiostro, metallizzate sotto vuoto e incollate facilmente. L'unica difficoltà di impiego si ha nello stampaggio a iniezione, che richiede un accurato controllo della temperatura (100÷115 °C), in quanto oltre una data soglia il polimetacrilato di metile depolimerizza, rigenerando il monomero (un liquido che bolle a circa 100 °C). Questo fatto ha però una sua utilità perché permette un facile recupero degli sfridi di lavorazione che possono essere depolimerizzati a monomero e riciclati in una nuova polimerizzazione. Le resine metacriliche sono disponibili sul mercato, con vari nomi commerciali dati dai diversi fabbricanti, sia in forma di polvere o di granulato per stampaggi, sia in forma di semilavorati quali film, barre, tubi, blocchi, lastre e persino fibre ottiche. Possono essere sia trasparenti sia nelle più diverse colorazioni. Fra le principali applicazioni ricordiamo, oltre a quelle già citate, quella per la fabbricazione di insegne luminose, lenti, pompe e parti di meccanismi in genere (per poterne osservare il moto, data la trasparenza), tavoli luminosi, parti di grammofoni, radio, registratori, cruscotti automobilistici, e in generale tutti quei dispositivi per cui a una forma più o meno complessa si accompagna la necessità di trasparenza. Nell'industria elettronica queste resine si usano per bottoni luminosi, pannelli di controllo serigrafati o stampati, vetri di chiusura per unità nastro, vetri di copertura per organi di stampa e così via. Una applicazione che si va estendendo è quella che riguarda la copertura di lampade, soprattutto quelle destinate alla illuminazione di strade e autostrade, e di diaframmi di sicurezza per cinescopi di televisori. ║ Resine poliacrilonitriliche: sono ottenute per polimerizzazione dell'acrilonitrile in sospensione o in emulsione, utilizzando dei catalizzatori di tipo redox. Il polimero che si ottiene, pur essendo dotato di ottime caratteristiche meccaniche e di resistenza al calore, agli agenti atmosferici (compresa l'esposizione prolungata al sole), all'acqua, ai grassi e ai solventi più comuni, è difficilmente stampabile. Viene utilizzato invece per la fabbricazione di fibre tessili sintetiche, utilizzate per la fabbricazione di tessuti o filati per gli impieghi più vari (confezioni, maglierie, tende, corde, vele). Per questo scopo si sfrutta la solubilità del polimero in certi solventi, come il carbonato di etile e la dimetilformammide, per poterlo passare in filiera e ottenerlo allo stato di filo. Generalmente per queste applicazioni l'acrilonitrile non viene polimerizzato da solo ma con l'addizione di un 15% di altri monomeri (generalmente derivati vinilici) allo scopo di facilitare le successive operazioni di tintura della stoffa. Molte delle più comuni fibre sintetiche, note con diversi nomi commerciali quali orlon, leacril, acrilan (tutti marchi di fabbrica), sono appunto polimeri di questo tipo, sintetizzati per la prima volta negli Stati Uniti, nel 1948, e poi introdotte nei circuiti industriali. In Italia la prima fibra a. è stata prodotta nel 1959. Le caratteristiche principali di queste fibre sono la morbidezza al tatto, la lucentezza, un basso peso specifico, una buona tenacità e un ottimo allungamento a rottura come, d'altra parte, una buona ripresa elastica. Altre fibre tessili sono ottenute polimerizzando vari monomeri, anche in quantità sensibili, sempre con acrilonitrile. ║ Altri polimeri: la facilità con cui i derivati dell'acido a. polimerizzano fra loro, o copolimerizzano con altri monomeri per poliaddizione, ha reso possibile una vasta gamma di resine sintetiche dotate delle proprietà più diverse, ma sempre caratterizzate da una elevata trasparenza o per lo meno da traslucidità. Fra questi polimeri, la cui descrizione completa sarebbe molto lunga (e comunque impossibile, in quanto di molti copolimeri, spesso fabbricati da una sola industria, non si conosce la struttura), i più diffusi sono il polimero formato dall'acrilonitrile con il metil-stirene o con lo stirene stesso e un terpolimero fra acrilonitrile, butadiene e stirene, comunemente detto ABS. Entrambi sono dotati di proprietà simili a quelle del polimetacrilato di metile ma sono caratterizzati da una maggior resistenza all'urto. ║ Acido a.: acido organico, di formula CH2═CH–COOH, il termine più semplice della catena degli acidi a doppio legame. È un liquido incolore che solidifica a 13 °C, facilmente solubile in acqua. L'importanza di questo acido è legata ai suoi esteri e al suo nitrile, prodotti di partenza di materie sintetiche diffusissime. ║ Aldeide a.: sinonimo di acroleina (V.).