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VINO
Bevanda idroalcolica prodotta dalla fermentazione
alcolica del mosto ricavato dalla pigiatura dell'uva, frutto della vite
(Vitis vinifera). La coltivazione della vite e la produzione del
vino accompagnarono fin dalle origini lo sviluppo delle civiltà
mediterranee. Le testimonianze archeologiche più antiche sulla
vinificazione risalgono infatti al III millennio a.C. e miti di fondazione
del vino da parte di divinità o personaggi di dubbia storicità
sono presenti in tutte le mitologie e le religioni mediterranee antiche.
Gli egizi ne attribuivano l'invenzione a Osiride, gli ebrei a Noè,
i greci e i romani a Dioniso/Bacco. Per le sue caratteristiche fisiche
e per il mistero della sua vitalità il vino si prestò, più
di ogni altro alimento, a simboleggiare i caratteri soprannaturali che
gli antichi riconoscevano nel dispiegarsi della vita vegetale. Le metafore
del fuoco, del sangue, della gioia suscitate dal vino si ricollegano puntualmente
agli aspetti misterici che il culto dionisiaco ebbe in Grecia, nella versione
orgiastica del baccanale o in quella conviviale del simposio.
Nel primo caso il vino permetteva l'istituzione di un rapporto estatico
e corporeo con la divinità, nel secondo, nel quale i convitati
si coronavano come per i sacrifici, una comunione intellettuale ed elitaria
a suggello di un privilegio culturale e sociale. Per i greci il vino non
fu, dunque, bevanda ordinaria; furono i romani a democratizzarne il consumo,
promuovendone la produzione su larga scala, il commercio, l'esportazione
e la produzione in zone, come quelle di cultura celtica, tradizionalmente
legate all'uso della birra. Nell'arco di 4000 anni la tecnica di produzione
del vino non mutò sostanzialmente. Processi innovativi furono messi
a punto solo a partire dalla seconda metà del XVIII secolo con
l'ampliarsi della conoscenza dei fenomeni fisico-chimici della vinificazione
e con la costruzione di macchine e attrezzature che resero l'intero processo
più igienico, sicuro e programmabile. Gli egizi del III millennio
a.C. spremevano l'uva con un torchio a leva, ma i romani del I secolo
d.C. disponevano già del torchio a vite di legno, strumento superato
solo nell'Ottocento quando furono costruiti i primi torchi con vite di
ferro e, successivamente, i torchi idraulici. Se gli strumenti ebbero
poche modifiche nel corso dei secoli, cambiò invece radicalmente
il tipo di vino prodotto. Poco sappiamo del vino dei fenici, degli assiri
e degli egizi. I greci e i romani avevano l'abitudine di tagliarlo con
acqua marina, prima della fase di affinamento, per prevenire l'acetificazione.
Era comune anche l'aromatizzazione con miele, resine, spezie e altre essenze,
e la correzione con argilla, cenere di sarmenti, noccioli di olive, zolfo,
pece e altro. Il vino, lasciato sovente a invecchiare molti anni (fino
a cinquanta o cento) in recipienti di terracotta, si riduceva a una poltiglia
scura che, per tornare potabile, doveva essere disciolta in acqua bollente.
Fu sicuramente merito del cristianesimo se la viticultura e la vinificazione
riuscirono a sopravvivere, sebbene in condizioni precarie, alle invasioni
barbariche. Le necessità liturgiche connesse al sacrificio eucaristico
non solo promossero la coltivazione della vite nei terreni dei conventi
e dei monasteri, ma stimolarono i monaci a produrre un vino sempre più
puro e non artefatto e a studiare le modalità per renderlo limpido,
stabile e, in ultimo, più duraturo. Nel basso Medioevo si pervenne
a una prima selezione dei vitigni e si realizzarono innovazioni come la
vinificazione separata delle uve bianche e rosse e quella specifica per
le uve appassite, la variabilità nella durata della macerazione
delle vinacce, l'introduzione dei filtri a sacco. Si ebbero inoltre, dopo
gli sparsi accenni contenuti nell'Editto di Rotari e nel Capitulare
de villis voluto da Carlo Magno, le prime normative volte a definire
i tempi della vendemmia e a regolamentare la produzione e il commercio
del vino, prevenendo e punendo l'annacquamento e l'adulterazione, a salvaguardia
del consumo sempre più ampio portato dall'espansione economica
dell'età comunale. Il capitolo Delle diverse qualità
di viti compreso nel Trattato dell'agricoltura del bolognese
Pietro de' Crescenzi, composto all'inizio del Trecento, è uno dei
primi segnali del rinnovato interesse degli intellettuali per la cultura
enologica, che produsse nei secoli successivi una rigogliosa letteratura.
La scoperta dell'America ebbe notevoli, anche se non immediate, ripercussioni
in campo viticolo. Dal nuovo continente arrivarono infatti in Europa molti
vitigni selvatici dai quali derivarono alcuni degli innesti ancora in
uso, ma anche parassiti prima sconosciuti (oidio, fillossera, peronospora),
che furono poi causa, con le grandi epidemie della metà del XIX
secolo, della quasi totale distruzione del patrimonio viticolo europeo.
Nell'Europa del XVII secolo si impoverì complessivamente la produttività
delle campagne e si ebbero carestie seguite da pestilenze e accompagnate
da guerre. Meno colpita di altri paesi fu la Francia, che in quel secolo,
secondo la leggenda, creò lo champagne, e che impose i propri
vini molto rapidamente sui mercati dell'intera Europa, avviando una tradizione
non ancora esaurita. Con la fine del Settecento si aprì l'era dell'enologia
moderna, quando chimici, naturalisti e biologi svelarono i segreti del
vino. Lavoisier, Gay Lussac, Kutring, Pasteur aprirono le porte ai più
complessi studi ampelografici e alle ricerche sugli antiossidanti, sugli
anticrittogamici, sulla selezione dei lieviti e sulle implicazioni microbiologiche,
attraverso i quali si allargò poi sempre più il divario
tra il vino rurale, spesso difettoso, destinato all'autoconsumo, e la
produzione industriale per uso commerciale, sempre più curata e
scientificamente determinata.
R. Nistri

H. Johnson, Il vino. Storia, tradizioni, cultura, Muzzio, Padova
1991; G. Mainardi, P. Berta, Il vino nella storia e nella letteratura,
Edagricole, Bologna 1991. |
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