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TRATTA NEGRIERA
Esportazione di abitanti dall'Africa nera al fine di impiegarli come schiavi. Le due principali direttrici furono quella messa in opera da mercanti arabi del medio Oriente o dell'Africa settentrionale nelle regioni subsahariane o lungo le coste dell'Africa orientale, erede del più antico commercio degli schiavi dell'area mediterranea, ma specialmente quella transatlantica, finalizzata al rifornimento di manodopera per le colonie europee in America. La prima direttrice fu attiva fino alla seconda metà del XIX secolo, esaurendosi praticamente con lo stabilimento del dominio coloniale europeo e comunque interessò una porzione abbastanza ridotta del totale degli individui esportati dal continente dal XV secolo in poi. La tratta transatlantica, iniziata dai portoghesi in seguito allo stabilimento di basi commerciali lungo la costa dell'Africa occidentale (fine del XV secolo), acquisì dimensioni sempre più rilevanti dalla fine del XVI secolo quando la manodopera africana cominciò a essere impiegata nei nuovi imperi coloniali americani per sostituire la popolazione indigena in diminuzione o minata dai rigori del dominio europeo. Gli schiavi venivano barattati con merci importate dall'Europa, mentre con i proventi della loro vendita nelle Americhe venivano acquistati prodotti tropicali da trasportare e commercializzare in Europa (vedi commercio triangolare). L'estrazione delle materie prime richiedeva un'ingente manodopera a basso costo che consentisse alla merce di giungere sul mercato europeo a prezzi concorrenziali. Di una prima esportazione di africani dalla Spagna verso Haiti si ha notizia fin dal 1501. Una successiva serie di decreti del 1511, 1512 e 1513 autorizzarono il traffico diretto dei neri dalle coste della Guinea alle Indie occidentali. Carlo V concesse al fiammingo La Bresa il privilegio di trasferire annualmente quattromila schiavi neri ad Haiti, Cuba, Giamaica e Portorico. L'anno dopo (1514) il vescovo domenicano B. De Las Casas, a cui si fa risalire la responsabilità della legittimazione della tratta, avanzò a giustificazione di questo fenomeno la necessità di salvare da una rapida distruzione gli indigeni americani, meno resistenti al lavoro dei neri africani. L'introduzione degli schiavi si limitò inizialmente alle colonie spagnole, ma venne poi estesa anche al Brasile e alle Antille, dove facilitò lo sviluppo delle piantagioni di canna da zucchero. Nel corso del XVI secolo il commercio era stato affidato dalla corona spagnola ai maggiori offerenti. I principali beneficiari ne furono prima i mercanti genovesi e tedeschi, poi i portoghesi, e dall'inizio del XVIII secolo gli inglesi e i francesi. Lo sviluppo di città come Liverpool, Bordeaux e Nantes fu indubbiamente legato a questa attività. Diverse compagnie di navigazione, europee e americane, si specializzarono in questo traffico, che toccò l'apice nei secoli XVII e XVIII. Contestata in maniera crescente per i suoi risvolti sanguinari e immorali da diversi settori dell'opinione pubblica europea, specie britannica e francese, durante la seconda metà del Settecento, la tratta fu formalmente abolita prima dalla Francia rivoluzionaria e quindi dalla Gran Bretagna dove, con una legge del 1807, venne proibito il commercio marittimo degli schiavi. Questa stessa strada, già intrapresa dalla Danimarca (1792), fu seguita dagli Stati Uniti (1808), dall'Olanda (1814), dalla Svezia (1815) e dalla Francia (1815). Pur perseguito attraverso operazioni internazionali di polizia oceanica, il traffico transatlantico perdurò verso i mercati del Brasile, di Cuba e degli Stati Uniti, protraendosi, più o meno sporadicamente, fino agli anni ottanta del XIX secolo, allorché l'impiego di manodopera schiava nell'agricoltura di piantagione perse i suoi vantaggi economici. La tratta fu all'origine della formazione delle grandi comunità di popolazione nero-africana delle Americhe (vedi afroamericani). Le stime più accreditate del totale di africani deportati dal continente lungo le due grandi direttrici di tratta si collocano fra un minimo di 9 milioni e un massimo di 15 milioni nell'arco di quattro secoli, ma con una concentrazione massima nel XVIII secolo (forse 7 milioni di deportati). L'effetto di tale salasso di popolazione, specie di quella appartenente alle fasce più attive nel processo produttivo, sull'assetto e sullo sviluppo di un continente già poco popolato come l'Africa precoloniale è di difficile quantificazione. Tuttavia è evidente la gravità delle conseguenze sociali, economiche e politiche del commercio negriero e del movimento conflittuale da esso indotto in regioni come quelle congolesi o in vaste zone di savana dell'Africa occidentale e orientale, anche se alcuni stati precoloniali, specie nell'Africa occidentale (Ashanti, Dahomey), sicuramente beneficiarono per un certo periodo, in termini di accresciuta capacità finanziaria e di potere del governo centrale, oltre che di ricchezza diffusa, del coinvolgimento nel traffico come principali fornitori locali della merce schiavi, di solito frutto di attività belliche o di procedure giudiziarie.

P. Valsecchi
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