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PARTITO SOCIALISTA ITALIANO
(Psi). Fondato a Genova, nell'agosto 1892, come Partito dei lavoratori italiani, assunse il nome di Partito socialista nel 1893. Punto d'arrivo di un travaglio teorico e politico avviato fin dall'unificazione italiana, nel movimento socialista, guidato da Filippo Turati e dal gruppo dirigente riformista di vaga ispirazione marxista, confluivano varie tradizioni: dall'anarchismo bakuniniano all'associazionismo mazziniano, dall'operaismo lombardo al rivoluzionarismo di Andrea Costa. Il Psi si sviluppò rapidamente: all'inizio del secolo poteva contare già su vasti consensi elettorali nel settentrione e nel centro del paese, su leghe e cooperative, al punto da divenire, nel 1902-1904, un credibile interlocutore del governo liberale di Giolitti. I riformisti, artefici dell'espansione del movimento e della creazione delle Camere del lavoro e della Cgl, si trovarono in minoranza fra il 1904 e il 1908, sotto l'urgere delle spinte massimalistiche impresse dal sindacalismo rivoluzionario. Il XIII congresso del partito (Reggio Emilia, 1912) decise l'espulsione, proposta da Benito Mussolini, dell'ala destra di Bonomi e Bissolati, provocando quindi una crisi del raggruppamento riformista, accentuata, nel primo dopoguerra, dalla grave crisi economica e sociale. Nel 1921 una scissione dava vita al Partito comunista; l'anno successivo la vittoria dei massimalisti spingeva Turati a uscire dal Psi.

SECONDO PARTITO ITALIANO. Costretto al forzato scioglimento dal fascismo, il partito rinasceva all'estero sotto la guida di Pietro Nenni, che nel 1934 siglava un patto di unità d'azione con il Partito comunista. Risorto come Partito socialista di unità proletaria (Psiup) per la confluenza del Movimento di unità proletaria guidato da Lelio Basso nel 1943, contribuì alla lotta di liberazione e, nelle elezioni politiche del 1946, col 20% dei suffragi, si rivelò il secondo partito alle spalle della Dc. Dopo aver assorbito l'ala maggioritaria del disciolto Partito d'azione, il programma comune col Pci determinò, nel 1947, la secessione dell'ala socialdemocratica di Saragat e la dura sconfitta del Fronte democratico popolare alle elezioni del 18 aprile 1948.

IL DECLINO. Alla ricerca di una politica di movimento, voluta da Nenni, una volta affermata la linea "autonomista" (congresso di Milano, 1961) e avviata la politica di centrosinistra che gli permise di accedere all'area governativa (1963), il Psi, che tuttavia non abbandonò mai l'unità sindacale con il Pci nella Cgil, dovette subire un'altra scissione da sinistra che diede vita, a opera dei massimalisti più irriducibili, a un nuovo Psiup (1964). Nel 1966 Psi e Psdi si fusero nel Psu (Partito socialista unificato), ma riacquistarono nel 1969, in piena crisi economica e politica, la rispettiva autonomia. Sotto la segreteria di Francesco De Martino ripresero i rapporti col Pci, che tuttavia condussero a una progressiva subalternità del Psi al più forte interlocutore. Le elezioni politiche del 1976 segnarono il culmine di un tracollo elettorale ritenuto inarrestabile cui venne posto fine con la segreteria Craxi (1976). IL CRAXISMO. I riformisti riconquistarono le posizioni perdute, rafforzando il ruolo del Psi nel governo tramite l'alleanza spregiudicata e conflittuale con la Dc: scelta, questa, che da un lato consentì al partito di recuperare voti e consensi, ma dall'altro ridusse gli spazi per la realizzazione di un energico programma riformatore. Da allora il Psi fu il perno di tutte le alleanze di governo: a livello nazionale, con le coalizioni di pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli), a livello locale in qualsiasi tipo di alleanza. Nell'uno e nell'altro caso si giovò del cosiddetto "potere di coalizione" derivantegli dal fatto che, pur non essendo mai cresciuto il suo seguito elettorale complessivo oltre il 12%, i suoi eletti fossero sempre determinanti per la formazione della maggioranza in qualsiasi consesso. Ciò consentì ai suoi esponenti di detenere quote di potere (sindaci, assessorati, ministeri, presidenze di istituti ed enti economici di nomina politica) molto superiori al suo reale peso elettorale, con il conseguente corrompimento del costume morale di molti suoi esponenti. Assurto a pilastro della partitocrazia, all'inizio degli anni novanta divenne, soprattutto nella persona di Craxi (che aveva accentrato ogni aspetto della direzione del partito, riuscendo a soffocare la dialettica interna), il principale bersaglio sia della rivolta morale diffusa tra i cittadini sia dell'iniziativa giudiziaria detta "Mani pulite" (1992), avviata a Milano, feudo elettorale e politico di Craxi, il quale fu costretto alle dimissioni. Sprofondato in una crisi senza precedenti, il partito fu sciolto nel 1994.

R. Balzani


G. Arfè, Storia del socialismo italiano (18921926), Einaudi, Torino 1965; Lezioni di storia del Partito socialista italiano 1892-1976, Clusf, Firenze 1977; Z. Ciuffoletti, Storia del Psi. Le origini e l'età giolittiana, Laterza, Roma-Bari 1992.
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