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OTTOMANO, SPARTIZIONE DELL'IMPERO
Suddivisione dei territori già facenti parte dell'impero ottomano in seguito alla sua sconfitta nella Prima guerra mondiale. Alla vigilia del conflitto, quando la parte europea era praticamente ridotta ai confini attuali della Turchia, la Francia aveva mire sulla Siria e su parte dell'Anatolia (l'antica Cilicia, corrispondente alla regione di Adana), la Gran Bretagna sperava di impadronirsi dell'Iraq, della Palestina e della penisola araba, mentre la Germania contava di estendere la propria influenza economica tramite il collegamento ferroviario, parzialmente già realizzato, tra Berlino e il golfo Persico. Durante la guerra tutti i belligeranti utilizzarono i movimenti nazionalisti arabi per fomentare rivolte nelle retrovie dell'avversario: nel 1915 l'occupazione italiana della Libia era ridotta a poche piazzeforti lungo la costa, mentre nel Maghreb i francesi erano minacciati dall'apertura di un secondo fronte rappresentato dalla guerriglia arabo-berbera. Germania e Turchia utilizzavano i combattenti libici anche contro la Gran Bretagna, incoraggiando incursioni in territorio egiziano. Il maggior successo, tuttavia, fu quello conseguito dalla politica britannica che riuscì a organizzare, grazie in parte al tenente T.E. Lawrence, la cosiddetta "rivolta del deserto", mobilitando gli arabi dello Higiâz e di altre regioni della penisola contro i turchi. La maggior parte dei nazionalisti arabi prestò fede alle promesse di indipendenza diffuse dalla propaganda franco-britannica; solo pochi (Abd al-Rahmân Shahbandar, Mohammed Kurd Alî e altri), rendendosi conto dei pericoli insiti nell'espansione coloniale franco-britannica, scelsero di appoggiare la Turchia sotto la parola d'ordine panislamica della guerra santa. Caddero dunque nell'indifferenza gli appelli alla gihâd lanciati all'inizio della guerra dal sultano-califfo, che sperava in tal modo di mettere in difficoltà la Francia e la Gran Bretagna, nei cui eserciti erano arruolati cospicui contingenti di musulmani nordafricani e indiani. Gli alleati non aspettarono la fine delle ostilità: fin dal 10 aprile 1915 Francia, Gran Bretagna e Russia avevano concluso un accordo che assegnava all'impero zarista la città di Istanbul e gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo. Era prevista inoltre la costituzione di uno stato arabo indipendente dai confini indeterminati. Francia e Gran Bretagna pervennero nel maggio 1916, con il consenso russo, al famigerato accordo Sykes-Picot, che contemplava il passaggio di Siria occidentale, Libano e Cilicia alla Francia, dell'Iraq centromeridionale e dei porti palestinesi di Haifa e Akka alla Gran Bretagna. La Siria orientale e il distretto poi iracheno di Mossul dovevano rientrare nella sfera d'influenza francese, la Transgiordania e la parte settentrionale del vilâyet di Baghdad in quella britannica; al resto della Palestina veniva riservato uno speciale regime internazionale. Alla Russia, in cambio del consenso, furono promessi i vilâyet armeni e il Kurdistan settentrionale. L'Italia fu tacitata con la promessa di Smirne (rivendicata energicamente dalla Grecia) e di parte dell'Anatolia centrale e sudoccidentale. Nel frattempo l'alto commissario britannico in Egitto Henry McMahon e il sovrano dello Higiâz, Hussein el-Hashimi (ritenuto discendente del profeta Maometto e, in quanto tale, custode dei luoghi santi di Mecca e Medina per conto dell'impero ottomano), avevano concluso un accordo (24 ottobre 1915) che impegnava il secondo a scendere in guerra contro la Turchia. In cambio la Gran Bretagna prometteva di riconoscere l'indipendenza di un regno arabo hascemita comprendente l'Iraq, la penisola araba (esclusi i protettorati britannici) e una parte non precisata di Siria e Palestina. L'andamento delle operazioni belliche pose la Gran Bretagna in una posizione di forza che le consentì di venir meno agli impegni presi. Nel 1917 le forze britanniche, passate finalmente all'offensiva dopo mesi di insuccessi imposti dall'efficace resistenza turca coordinata da ufficiali tedeschi, si impadronivano di quasi tutto l'Iraq; in Palestina le forze arabo-britanniche sfondarono le linee turche il 31 ottobre, e il loro comandante in capo E.H. Allenby entrò a Gerusalemme il 9 dicembre. La prospettiva di un'occupazione britannica della Palestina aveva già sollevato un caso delicato, poiché il governo di Londra era vincolato ai suoi alleati da due accordi diversi: in base alla corrispondenza Hussein-McMahon la Palestina doveva essere almeno parzialmente incorporata nel futuro stato arabo, mentre ai sensi dell'accordo con la Russia vi doveva essere instaurato un regime internazionale. La diplomazia britannica uscì dalla difficoltà derivante da questi impegni reciprocamente incompatibili assumendone un terzo, ugualmente incompatibile con i precedenti: il 2 novembre 1917 venne resa nota la cosiddetta dichiarazione di Balfour, in base alla quale la Gran Bretagna si dichiarava favorevole alla formazione di una sede nazionale (national home) del popolo ebraico in Palestina. La dichiarazione Balfour ottenne l'immediato appoggio del governo degli Stati Uniti, che aveva contribuito al successo dei negoziati tra governo britannico e movimento sionista, e nel 1918 venne accettata anche dai governi francese e italiano, suscitando naturalmente profonda indignazione tra gli arabi, ai quali apparve come la prova più lampante del tradimento britannico. A sua volta il governo sovietico pubblicò tutti i trattati segreti sulla spartizione dell'impero ottomano, compresi gli accordi Sykes-Picot. Il voltafaccia britannico offriva la possibilità di trattative turco-arabe, che furono avviate nel dicembre 1917 ma non ebbero esito, per il rifiuto dei turchi di accedere alle richieste arabe di autonomia o indipendenza. La guerra stava comunque volgendo al termine e, tra gli alleati, la Gran Bretagna era in grado di far la parte del leone. Tutti gli impegni, parzialmente incompatibili tra loro, assunti dai vincitori durante il conflitto vennero lungamente dibattuti alla conferenza di Versailles, che si concluse con il trattato di Sèvres (10 agosto 1920).

P.G. Donini


A. Giannini, L'ultima fase della questione orientale (1913-1931), Istituto per l'Oriente, Roma 1933; A. Giannini, Le costituzioni degli stati del vicino Oriente, Istituto per l'Oriente, Roma 1931; E. Rossi, Documenti sull'origine e gli sviluppi della questione araba (1875-1944), Istituto per l'Oriente, Roma 1944; W. Miller, The Ottoman Empire and its Successors 1801-1927, Cambridge University Press, Cambridge 1936; D. Miller, Constitutions, Electoral Laws, Treaties of States in the Near and Middle East, Duke University Publications, Durham 1953.
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