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IMMIGRAZIONE
Afflusso, all'interno di uno stato, una regione
o una città, di persone emigrate da altro stato, regione
o città. I movimenti migratori rappresentano una componente essenziale
dello sviluppo demografico che influì profondamente sull'evoluzione
e sulla distribuzione delle popolazioni anche nei secoli passati. Negli
anni novanta del Novecento il fenomeno dell'immigrazione, misurato in
base al numero di persone viventi in un paese diverso da quello di nascita,
coinvolgeva a livello internazionale 50 milioni di persone pari all'uno
per cento della popolazione mondiale. Nei paesi industrializzati si osservavano
in genere proporzioni più elevate di persone nate all'estero.
L'IMMIGRAZIONE NEGLI STATI UNITI. Negli Stati Uniti si registrava
il valore più alto: 14 milioni, pari al 6,2% della popolazione
complessiva (secondo i dati del censimento del 1980). In Australia si
riscontrava la percentuale più alta tra i paesi industrializzati:
i nati all'estero rappresentavano il 20,6% della popolazione complessiva;
seguivano la Svizzera, il Canada, la Nuova Zelanda e la Francia. Percentuali
più elevate si osservavano comunque in Israele (quasi il 43%) e
in Costa d'avorio. Nei primi anni ottanta nei paesi tradizionalmente di
immigrazione (Australia, Canada, Stati Uniti e Nuova Zelanda) si era raggiunto
il maggior livello di affluenza di stranieri dall'inizio degli anni sessanta
(3.800.000 negli anni 1981-1985), dovuto in realtà a una crescita
dell'immigrazione negli Usa cui era corrisposto, invece, un decremento
nelle altre nazioni. Gli Stati Uniti sono il paese in cui si ebbe il maggiore
afflusso di immigrati nel corso degli ultimi due secoli. Dal 1820, anno
di inizio della rilevazione dei movimenti migratori, al 1990 si registrò
l'ingresso di oltre 53 milioni di persone. Le correnti migratorie dirette
verso gli Usa subirono, nel tempo, importanti modificazioni sia nel volume,
sia nella composizione etnica. Nel primo decennio del XX secolo si verificò
il massimo afflusso: 8 milioni di europei. La predominanza europea sul
complesso degli immigrati si mantenne, comunque, fino agli anni sessanta.
La proporzione di europei e canadesi, che nei primi vent'anni del secolo
era pari al 91% di tutti gli immigrati presenti, rappresentava negli anni
novanta solo il 12% e quasi la metà degli immigrati proveniva dall'Asia.
Il Messico, che inviava ogni anno in media 67.000 persone, rappresentava
il principale paese di origine degli immigrati statunitensi e forniva
la più forte componente dell'alta quota di stranieri entrati illegalmente
nel paese. L'insediamento degli stranieri presenti negli Stati Uniti è
prevalentemente urbano e combina due aspetti apparentemente contraddittori:
la concentrazione e la dispersione. Pochi stati e aree metropolitane,
infatti, accolgono un elevato numero di immigrati, ma nello stesso tempo
in tutti gli stati si segnala la presenza di stranieri, la cui distribuzione
sul territorio si diversifica a seconda della provenienza. I quattro quinti
degli stranieri entrati a New York provengono, per esempio, dai Caraibi;
i messicani formano, invece, il contingente più numeroso a Los Angeles
e Chicago. Nel 1987 più del 70% degli oltre 600.000 ammessi negli
Stati Uniti per una presenza permanente legale si insediarono in sei stati,
California (26,9%), New York, Florida, Texas, New Jersey e Illinois, i
quali comprendevano circa il 40% della popolazione complessiva degli Usa.
Nessuno stato ha comunque accolto un numero di immigrati inferiore alle
200 unità.
L'IMMIGRAZIONE IN EUROPA. L'immigrazione valutata in base al numero
dei "nati all'estero" raggiunge più o meno lo stesso ammontare
e rappresenta la stessa proporzione in Europa e negli Stati Uniti. In
Europa, negli anni ottanta del Novecento, Italia e Spagna, che da paesi
di emigrazione divennero paesi di immigrazione, si affiancarono a Francia,
Svizzera, Germania, Belgio, Olanda e Regno unito. Dalla prima metà
degli anni settanta i paesi dell'Europa occidentale che facevano ricorso
alla manodopera straniera decisero unilateralmente di limitarne l'afflusso,
intraprendendo nella maggior parte dei casi politiche volte alla stabilizzazione
della popolazione straniera presente nel loro territorio. Complessivamente
la popolazione straniera presente in tale area aumentò tra gli
anni settanta e gli ottanta per poi ridursi drasticamente sino a raggiungere
i 10,6 milioni nel 1985. All'interno delle singole nazioni si osservarono
differenze di andamento; in tutti i paesi, a eccezione della Svizzera,
si manifestò comunque una riduzione del tasso di crescita della
popolazione straniera presente. Tutte le nazioni ebbero pertanto un relativo
successo nel promuovere una stabilizzazione della manodopera straniera.
Il raggiungimento di tale obiettivo comportò comunque una significativa
modificazione per quanto concerneva la composizione etnica degli immigrati.
Il numero di algerini, marocchini, tunisini e turchi aumentò significativamente
tra i primi anni settanta e il 1985. All'inizio degli anni novanta si
stimava che 3.700.000 fra nordafricani e turchi vivessero nell'Europa
occidentale, circa un milione più degli stranieri provenienti dai
paesi Cee presenti in tale area. L'Italia ridusse, rispetto agli anni settanta, del 23% il numero di connazionali presenti in Europa occidentale
(soprattutto in Germania e in Francia), che vent'anni dopo ammontavano
a un milione e mezzo. Anche gli spagnoli, a differenza dei portoghesi
(-2%), conobbero una diminuzione del 40%. Nel 1985 italiani, spagnoli,
portoghesi e iugoslavi presenti nei paesi dell'Europa occidentale ammontavano
a 3,7 milioni, una cifra pari a quella di nordafricani e turchi. Un confronto
del genere negli anni settanta avrebbe evidenziato una differenza di circa
2,3 milioni a favore dei primi. In Francia i nordafricani rappresentavano
negli anni novanta quasi il 50% degli immigrati, in Olanda i turchi e
i marocchini il 49%. Solo in Svizzera e in Svezia la percentuale di nordafricani
e turchi si mantenne modesta. Molto diverso è l'atteggiamento degli
Stati Uniti e dell'Europa nei confronti dell'immigrazione. Negli Usa è
diffusa una valutazione positiva dell'immigrazione pur in presenza di
considerazioni anche negative del fenomeno. Una componente essenziale
dell'immagine che l'America ha di sé stessa e della propria storia
è rappresentata dalla consapevolezza di essere una "nazione di
immigrati". In Europa l'atteggiamento è, nel migliore dei casi,
neutrale, in quanto l'immigrazione è stata considerata una necessità.
Altre aree del mondo sono caratterizzate da consistenti fenomeni di immigrazione.
Tra queste figurano in America latina il Venezuela, l'Argentina e il Brasile.
Dei 4,8 milioni di stranieri presenti in tale area negli anni ottanta,
solo il 41% circa era di origine latinoamericana, il resto era principalmente
di origine europea. Nei paesi del golfo Persico si riscontrò una
presenza abbastanza consistente di immigrati, in particolare a partire
dagli anni settanta. Il paese africano in cui si registrava, negli anni
novanta del Novecento, la più alta immigrazione era la Costa d'avorio
(i nati all'estero rappresentavano il 21,3% della popolazione nazionale),
seguita dal Gambia.
L. Pozzi

W.J. Serow, C.B. Nam, D.F. Sly, R.H. Weller, a c. di, Handbook on International
Migration, Greenwood Press, Westport 1990; Presidenza del Consiglio
dei ministri, Atti della Conferenza internazionale sulle migrazioni.
Roma 13-16 marzo 1991, Editalia, Roma 1991; United Nations, World
Population Monitoring 1989, in "Population Studies", n. 113, New York
1990.
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