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GIOLITTIANA, ETÀ
(1901-1913). Periodo di storia italiana dominato dalla figura dello statista Giovanni Giolitti, prima come ministro dell'Interno nel gabinetto Zanardelli, poi quasi ininterrottamente presidente del consiglio fino alla vigilia della guerra. Il periodo ha tuttavia una importanza centrale nella storia d'Italia indipendentemente dal ruolo di Giolitti; quegli anni infatti rappresentarono una svolta con la quale si affermarono nuove linee di sviluppo economico, sociale e politico. In primo luogo vennero superate decisamente le tendenze autoritarie culminate nei ministeri Crispi e Pelloux di fine secolo, con l'affermazione di una condotta di governo progressista, caratterizzata da un nuovo corso nei rapporti con le associazioni dei lavoratori e con il Partito socialista che, se non fece mai parte del governo, spesso ne appoggiò la condotta. Di questa direttrice fu sicuramente protagonista Giolitti, il quale riteneva che dall'integrazione del movimento operaio e socialista nel sistema istituzionale sarebbe derivato l'ammodernamento e il rafforzamento dello stato liberaldemocratico. In quest'ottica venne rispettato il diritto di sciopero e incoraggiato il riconoscimento del sindacato come mediatore sociale nei conflitti di lavoro (anche attraverso l'istituzione dell'Ufficio del lavoro), protetto e facilitato lo sviluppo delle cooperative. La legislazione sociale venne ampliata, anche se i provvedimenti effettivamente varati e applicati furono molto limitati rispetto a quelli messi allo studio, così che il sistema italiano di sicurezza sociale rimase tra i più arretrati d'Europa. Venne comunque estesa l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, che era stata introdotta nel 1898; fu limitato il lavoro notturno delle donne ed elevata a dodici anni l'età minima per il lavoro dei fanciulli; la legge Daneo-Credaro del 1911 addossò allo stato le spese per le scuole elementari; nel 1912 fu istituito il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita, che avrebbe dovuto permettere alla finanza pubblica di reperire i capitali per finanziare la cassa pensioni per l'invalidità e la vecchiaia dei lavoratori, ma l'attuazione del provvedimento fu rimandata di dieci anni. Sulla stessa linea di sviluppo dello stato moderno si collocarono la statalizzazione del servizio telefonico (1903) e delle ferrovie (1905), mentre la legge sulle municipalizzazioni (1903) aprì la strada all'esercizio diretto dei servizi pubblici cittadini da parte dei comuni. L'innovazione politica più importante fu l'istituzione nel 1912 del suffragio universale maschile che, estendendo tra l'altro il diritto di voto anche agli analfabeti che avessero compiuto i trent'anni, permise per la prima volta l'ingresso delle masse contadine nel corpo elettorale, che risultò quasi triplicato fino a coinvolgere oltre il 24% della popolazione italiana. L'aspetto più rilevante dell'età giolittiana fu però l'intensificazione dell'industrializzazione, a un ritmo di crescita sino ad allora sconosciuto e, secondo alcuni, superiore anche a quello delle economie europee più avanzate. I motori di questo sviluppo furono innanzitutto le industrie siderurgica, meccanica, chimica e la giovane industria idroelettrica. Nel periodo del decollo, tra il 1896 e il 1907, l'Italia si venne così progressivamente inserendo nel mercato industriale come una potenza economica di medio calibro. Alla vigilia della Prima guerra mondiale una voce significativa del grado di maturazione industriale di un paese, quale l'esportazione di prodotti industriali finiti, toccava ormai il 20 per cento del valore delle esportazioni complessive, oltre dieci volte di più di quelle dell'inizio degli anni novanta del XIX secolo. Il tipo di crescita dell'industria fu quello proprio della fase monopolistica dominata dal capitale finanziario (regime degli alti prezzi) e dall'appoggio statale (protezionismo doganale, commesse pubbliche). La stessa politica giolittiana favorì quindi l'industrializzazione, ma soltanto là dove già l'industria moderna si era sviluppata con le proprie forze, vale a dire nell'area nordoccidentale del paese (triangolo industriale) che, secondo il censimento del 1911, su una popolazione che era il 27 per cento di quella nazionale, aveva il 58 per cento degli occupati in manifatture con più di dieci addetti. Si aggravarono le condizioni del meridione, lasciato sotto la prepotente influenza dei ceti latifondisti e parassitari, una delle cause di debolezza economica strutturale su cui non incisero assolutamente provvedimenti come le leggi per l'industrializzazione di Napoli e per la costruzione dell'acquedotto pugliese o i provvedimenti per la Basilicata. Così l'unico sbocco occupazionale cospicuo per i meridionali cominciò a essere il pubblico impiego, le cui fila si ampliarono moltissimo in età giolittiana. Parallelo sviluppo all'industrializzazione ebbero le organizzazioni sindacali operaie (nascita della Confederazione generale del lavoro, 1906) e anche quelle dei datori di lavoro (nascita della Confindustria, 1910). Tuttavia lo scontro sociale, che già aveva raggiunto vertici significativi negli scioperi del 1901 e del 1904 (primo sciopero generale), si acuì per effetto della crisi economica mondiale apertasi nel 1907, che rallentò ma non interruppe lo sviluppo industriale italiano. Nel corso dell'epoca giolittiana si vennero così gettando le fondamenta della modernizzazione del paese, ma cominciarono anche a rivelarsi i nodi sociali e politici che nel dopoguerra avrebbero fatto precipitare la crisi dello stato e della società liberale.

M. Soresina

A. Aquarone, Tre capitoli sull'Italia giolittiana, Il Mulino, Bologna 1987; G. Carocci, Giolitti e l'età giolittiana, Einaudi, Torino 1961; V. Zamagni, Industrializzazione e squilibri regionali in Italia. Bilancio dell'età giolittiana, Il Mulino, Bologna 1978.
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