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![]() GALLICANESIMO Teoria di politica ecclesiastica che accompagnò la nascita della Chiesa gallicana e che diede nome a tutte le tendenze alla creazione di Chiese nazionali. Già insita nelle posizioni di parte imperiale nella lotta per le investiture, così come nello scontro tra i Plantageneti e gli arcivescovi di Canterbury (T. Becket) in Inghilterra (XI-XII secolo), si concretizzò con Filippo IV il Bello e quindi nella cattività avignonese e nello scisma d'Occidente, fra il XIII e il XV secolo. La prima teorizzazione compiuta venne formulata, in seguito alle guerre di religione, da P. Pithou (Les libertés de l'église, 1594), il quale sostenne che il papa non aveva in Francia alcun potere temporale e anche il suo potere spirituale era limitato dai poteri del re. Il re quindi poteva esercitare, tramite la nomina dei vescovi e il loro giuramento di fedeltà, un capillare controllo sulla gerarchia ecclesiastica e sull'intera società. Il culmine fu toccato con l'approvazione da parte dell'assemblea generale del clero della Dichiarazione del clero gallicano sul potere della Chiesa stilata da J.B. Bossuet (1682, ritirata nel 1693), sulla cui falsariga si rimodellò anche la Chiesa anglicana. La Riforma, infatti, rafforzò con motivi dottrinari la tendenza autonomistica delle dinastie nazionali in campo ecclesiastico. In Francia, dove il protestantesimo fu sconfitto duramente, le tendenze gallicane continuarono a percorrere la vicenda dei rapporti tra stato e Chiesa ancora con la rivoluzione (vedi Costituzione civile del clero). Superata con il concordato napoleonico del 1801, la questione riemerse periodicamente fino alla drastica condanna del concilio Vaticano I (1870). Negli altri paesi cattolici d'Europa finì col saldarsi al giurisdizionalismo e anche in quelli protestanti la Riforma, soprattutto dopo la pace di Westfalia (1648), legò la spinta al separatismo nazionale a differenze teologiche e liturgiche che produssero di fatto la proliferazione di Chiese e religioni di stato. |
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