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ERESIA
Deviazione dalla retta dottrina (ortodossia) in
seguito a scelta (greco áiresis) unilaterale. Nella storia
del cristianesimo il termine si è spesso accompagnato a scisma (separazione)
nel significare un attentato all'unità della comunità ecclesiastica.
La definizione dell'intero corpo sociale come cristianità creatasi
nel Medioevo comportò infatti l'inammissibilità, anche politica,
di interpretazioni eterodosse che rappresentassero tentativi di costituire
gruppi a sé stanti rispetto alla Chiesa ufficiale e giustificò
per estinguerli l'uso di metodi violenti quali il rogo. Le eresie dei primi
secoli (arianesimo, monofisismo, nestorianesimo) furono caratterizzate dall'accentuazione
di un elemento dogmatico relativo alla natura di Cristo in quanto umana
o in quanto divina. Le eresie medievali nacquero dall'esasperazione del
dualismo materia-spirito, intaccando i dogmi dell'incarnazione e dell'unità
di Chiesa temporale e Chiesa spirituale: esse assunsero toni ora duramente
ascetici (catari e albigesi), ora pauperistici (valdesi), ora di protesta
sociale (patarini), ma sempre racchiusero un nucleo di dissenso ecclesiologico.
Il clima di sospetto diffuso nella gerarchia cattolica verso tutto ciò
che uscisse dai binari dell'ortodossia portò tra Medioevo ed Età
moderna a estendere la nozione di eresia a ogni fenomeno di non conformismo
o protesta a carattere socio-religioso, come i movimenti lollardo e hussita.
Lo stesso esito del protestantesimo come eresia scismatica va collocato
nel contesto di tale slittamento, per cui un'iniziale spostamento interno
al binomio fede-opere, associato a quello coscienza individuale-tradizione,
si tramutò nella frattura dell'unità religiosa dell'Occidente.
Una valutazione più articolata del concetto di eresia è giunta
con il concilio Vaticano II, che distingue una gerarchia delle verità
di fede e quindi diversi gradi di appartenenza alla Chiesa secondo il livello
di adesione al patrimonio dogmatico cattolico.
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