Le Letterature Europee dal Rinascimento al Manierismo.

Torquato Tasso

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Introduzione

Questione della lingua e dialetti

Cortigiano

Petrarchismo

Qualche nome

Niccolò Machiavelli

Il principe

Ludovico Ariosto

L'Orlando Furioso

Torquato Tasso

La Gerusalemme liberata

Francois Rabelais

Luis de Camoes

L'Età elisabettiana

William Shakespeare

Re Lear

Amleto

Il celebre monologo di Amleto (Atto III, scena 1ª)

Il Siglo de Oro

Luis Gongora

Del catafalco che eresse Cordova nelle esequie della Regina Margherita

Pedro Calderon de la Barca

Miguel de Cervantes

Don Chisciotte

Itinerari culturali

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ITINERARI - PAROLE E IMMAGINI - LE LETTERATURE EUROPEE - DAL RINASCIMENTO AL MANIERISMO

INTRODUZIONE

Nel XVI secolo gli ideali umanistici si diffondono dall'Italia a tutta l'Europa, dove si sviluppano grandi personalità come il filosofo e saggista Erasmo da Rotterdam (1466-1536).

Già dall'inizio del secolo tuttavia si avverte un progressivo incrinarsi del rapporto armonico tra uomo e realtà, caro all'Umanesimo, per cui l'uomo, microcosmo, si sentiva parte di un più alto ordine, il macrocosmo.

I letterati trovano una loro collocazione all'interno della società di corte che si forma attorno ad ogni principe; le corti sono i nuovi centri di potere ma anche le vetrine che propagandano l'immagine di un mondo elegante, sofisticato, attento alle sollecitazioni della cultura.

La presenza del letterato è apprezzata e ricercata perché dà lustro.

Se tuttavia tale funzione esalta e valorizza la figura dell'intellettuale, ne limita anche la libertà di giudizio e ne isola l'azione rispetto al mondo che vive estraneo alla società di corte.

Nasce così e si sviluppa una cultura che risolve il suo impegno nella rigorosa osservanza delle forme, cultura celebrativa ed evasiva.

In questo quadro le opere di Machiavelli, di Rabelais o il teatro in lingua veneta di Ruzante (1502-1542), che mette in scena il mondo contadino, rappresentano un'eccezione.

La maggiore attenzione all'aspetto formale dello strumento letterario fa sì che si acquisisca maggiore consapevolezza delle possibilità linguistiche: per tutto il secolo si ha una imponente produzione di trattati in merito e si precisa una vocazione normativa che irrigidisce il principio di imitazione e fissa i modelli dei diversi generi letterari.

Dalla Poetica di Aristotele si desumono regole per la tragedia e il poema epico; Bembo, con l'autorevolezza di maestro del gusto, impone l'imitazione di Petrarca e Boccaccio, nella lirica e nella novellistica; si discute a lungo sul primato tra poema epico e cavalleresco e poi sul primato tra autori (Ariosto o Tasso).

L'attenzione esasperata alle forme conduce al Manierismo (termine mutuato dalle arti figurative), che è l'imitazione di una «maniera», cioè del modo di esprimersi di un autore.

Il modello non viene copiato; è sottilmente interpretato cercando di accordare le regole fissate dal canone estetico con la propria creatività.

Nasce una letteratura sottile e un po' tortuosa nelle sue forme espressive.

A partire dalla seconda metà del XVI secolo occorre tener conto del peso esercitato dalla Controriforma sulla cultura con un controllo ideologico capillare ed oppressivo, che spinge gli scrittori verso esiti apologetici della religione e non tollera la letteratura d'evasione.

Quando libri ed autori sfuggono a queste richieste non possono evitare che nelle loro opere compaiono i segni di una coscienza spesso drammaticamente divisa.

Nasce una letteratura dell'inquietudine, che vede progressivamente sgretolarsi gli ideali di centralità dell'uomo e della ragione, insoddisfatta dell'ordine che a più livelli (Controriforma, società di corte, modelli letterari) la condizionava.

Verso la fine del secolo si sviluppa una vera e propria cultura della crisi, della messa in discussione di ideali e criteri: le insanabili nevrosi del Tasso, lo scetticismo del saggista francese Michel de Montaigne (1533-1592), i drammi problematici di Shakespeare e l'amara parodia di Cervantes sono i segni provenienti da diverse culture di una stagione letteraria densa e inquieta.

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QUESTIONE DELLA LINGUA E DIALETTI

Nel 1525 Pietro Bembo (1470-1547) pubblica le Prose della volgar lingua, in cui si pone il problema dell'unità della lingua letteraria in Italia, a seguito della penetrazione del toscano nelle diverse regioni, grazie alla sua straordinaria fioritura letteraria. Fedele al principio di imitazione Bembo impone come modello di lingua letteraria il toscano della grande stagione trecentesca. Dopo una serie di polemiche (detta appunto «questione della lingua»), la tesi del Bembo vinse; nello stesso tempo le altre lingue diventavano dialetti e cominciava anche la loro fortuna letteraria, come letteratura riflessa, cioè imitativa della lingua nazionale: si rifà Petrarca nei vari dialetti, si traducono i diversi poemi, molte volte per puro divertimento letterario e realizzazione del gusto manieristico, in alcuni casi si sviluppa la sperimentazione espressiva che avrà molta fortuna nel Seicento secolo di massima fortuna delle varie letterature in dialetto. Ricordiamo al proposito le favole in napoletano del Pentamerone di Gian Battista Basile (1575-1632) la lirica in genovese di Gian Giacomo Cavalli, l'originalissima Carta del navegar pitoresco (1660) del veneziano Marco Boschini (1613-1676) guida alla grande pittura veneta.

CORTIGIANO

è il gentiluomo che vive a corte cioè nella reggia del sovrano (sia nei grandi Stati europei che in quelli piccoli italiani). Dà un ritratto delle sue qualità ideali e del suo comportamento Il libro del cortegiano (1513-1518, pubblicato nel 1528) del mantovano Baldesar Castiglione (1478-1529), opera che ebbe uno straordinario successo europeo. Tra i cortigiani ha spazio lo scrittore, che ha la funzione di scrivere opere celebrative del suo signore e della sua famiglia; per più secoli (dalla fine del Quattrocento alla fine del Settecento) la corte fu il più tipico luogo di vita dello scrittore, in quanto era pressoché l'unico modo di guadagnarsi da vivere con l'attività di scrivere.

PETRARCHISMO

Così si definisce la poesia lirica del Cinquecento in Italia e poi in gran parte d'Europa, basata sul modello poetico del Petrarca, contraddistinta in particolare da un canzoniere d'amore per una donna ritrosa e da un linguaggio fortemente selezionato nel lessico. Tra i vari modelli di poesia quello petrarchesco era senz'altro il più organico e, in qualche modo, così lineare da essere efficacemente seguito. A parte i più scolastici imitatori, tutti i grandi poeti tra Cinquecento e primo Seicento, da Tasso a Shakespeare a Gongora hanno preso di qui le mosse. Il petrarchismo è una delle più tipiche manifestazioni del Manierismo, in quanto i poeti dovevano cercare di innestare la propria voce personale dentro un modello dato; ne derivò una serie di molteplici petrarchismi, da quello più ortodosso del Bembo a quello pittorico-metaforico di Luigi Tansillo (1510-1568) a quello malinconico di Giovanni Della Casa (1503-1556) a quello filosofico di Michelangelo (1475-1564). In Europa i maggiori petrarchisti furono il francese Pierre de Ronsard (1524-1585), lo spagnolo Garcilaso de la Vega (1503-1536), l'inglese Philip Sidney (1554-1586).

QUALCHE NOME

NICCOLÒ MACHIAVELLI

Machiavelli (1469-1527) nasce a Firenze, da famiglia aristocratica, ma decaduta; partecipa alla vita politica della sua città in un tempo di continui mutamenti di regime (tra signoria e repubblica); durante la Repubblica (1498-1512) è segretario di Cancelleria e tra i responsabili della politica estera (svolge varie missioni in altri Stati italiani, in Francia, in Germania). Dopo il ritorno della signoria dei Medici è costretto ad allontanarsi dalla vita politica e trascorre un anno (1513) in una sua tenuta, dove scrive n Principe. Cerca a lungo di ingraziarsi i nuovi signori, che lo incaricano di scrivere la storia della città (Istorie fiorentine), dandogli poi piccoli incarichi politici. Nel 1527 i Medici sono di nuovo cacciati e si ripristina la repubblica, che emargina Machiavelli per la collaborazione con il passato regime. Muore a Firenze nello stesso anno. Storico, letterato (ricordiamo le due vivaci commedie: la Mandragola, 1518 ca., e la Clizia, 1524), deve la sua fama alla fondazione di una vera e propria scienza politica, con il piccolo trattato, Il Principe (pubblicato nel 1538) e le ampie riflessioni dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Machiavelli è il primo a separare la politica dalla morale, in quanto non gli interessano le teorie sugli Stati perfetti e ideali (tipici dei pensatori politici precedenti), bensì verificare attraverso l'analisi delle reali possibilità («verità effettuale») il tipo di Stato utile in una determinata situazione.

IL PRINCIPE

Il Principe, scritto oltre che in un personale momento di angustia del Machiavelli anche nel tempo della rovina degli Stati italiani tra la morsa di Spagna e Francia, vuole essere un rapido manuale di come costituire e mantenere in Italia uno Stato assoluto, basato sulla forza carismatica del principe. Tramite una ricca esemplificazione (sono ricordati personaggi classici e contemporanei come Ferdinando il Cattolico e Cesare Borgia) Machiavelli fornisce una serie di consigli pratici di governo: si raccomanda la prudenza, la simulazione, l'uso politico della religione, la capacità di «sapere intrare nel male, necessitato», se ciò è necessario per la salvezza dello Stato (ed è questo l'unico «fine» che giustifica «i mezzi»); tutto questo concorre alla «virtù» del principe, che non è una qualità morale, ma una capacità operativa di trovare l'«occasione» tra gli eventi, per giungere al potere. Ma la virtù è insidiata dalla «fortuna», dal gioco del caso, che in Machiavelli è sempre guardato con sospetto e paura, perché capace di rovinare mirabili costruzioni di «virtù», come dimostra la storia. è una concezione politica che esalta la forza operativa dell'individuo d'eccezione, in perenne lotta con la fortuna e con gli altri uomini, spesso qualificati come bestie mosse da un cieco egoismo; di conseguenza il potere deve basarsi soprattutto su una logica di rapporti di forza, lontana dagli ideali di magnanimità e altruismo predicati dalla morale classica e dal Cristianesimo.

LUDOVICO ARIOSTO

Ariosto (1474-1533) nasce a Reggio Emilia, da famiglia aristocratica. Ha una vasta educazione letteraria, ma a causa della morte del padre interrompe gli studi. Nel 1501 è capitano della rocca di Canossa, sull'Appennino, per un lungo periodo è al servizio del cardinale Ippolito d'Este, passando poi a quello del duca di Ferrara, Alfonso I d'Este. Governatore della Garfagnana, muore a Ferrara. Tra le sue opere, a parte le Rime, di gusto petrarchesco, e le cinque Commedie di gusto plautino, sono importanti le sette Satire (1517-1525), in terzine, indirizzate ad amici e parenti, di carattere discorsivo e ironico (nei confronti della corte e delle ambizioni umane), basate su spunti ed episodi personali; ma l'opera di gran lunga più importante è l'Orlando furioso (1516, ultima edizione riveduta 1532), cui lavorò tutta la vita. Primo elemento singolare è la trama, giacché il poema non ha vero inizio (continua l'Orlando innamorato del Boiardo), né fine (non si narra l'annunciata morte di Ruggiero). La trama tende al fantastico, inteso come gioia di narrare; a volte Ariosto ha la tentazione di opporre il suo cangiante e vigoroso mondo di personaggi e azioni d'ogni tipo, nella sua assoluta libertà, al mondo reale e alla sua esperienza di vita di corte, con rigide regole; ma altre volte il fantastico serve a satireggiare aspetti del costume. La fede nel ritmo naturale e vitale della sua multiforme storia (dal comico al patetico, dall'epico al grottesco) lo porta a un distacco ironico verso i contenuti, i valori, gli stessi personaggi, che non hanno coerenza psicologica, ma rivestono sentimenti a seconda delle situazioni. Il mondo cavalleresco vale come repertorio di situazioni narrative (duelli, inseguimenti, prove, amori, guerra, ecc.) e non come mondo di valori: quello che conta è la vitalità delle storie narrate, il loro ritmo calato dentro una profonda armonia compositiva, in modo che nessun elemento svetti su un altro dando armonia ad un'opera apparentemente labirintica.

L'ORLANDO FURIOSO

Poema cavalleresco di Ariosto in 46 canti (circa 40.000 versi in ottave). è pressoché impossibile dare brevemente notizia della trama, dato il fitto intrecciarsi degli episodi. Possiamo distinguere tre nuclei, di volta in volta in luce. C'è la guerra tra Franchi e Arabi, sempre sullo sfondo, che diventa centrale soprattutto nella lunga e sanguinosa battaglia di Parigi (canti XVI-XVIII), dove è protagonista l'eroe arabo Rodomonte, e nella tenzone di Lipadusa (canti XLI-XLII), dove Orlando, il maggior paladino cristiano uccide il re Agramante, capo delle schiere arabe. Un secondo nucleo è rappresentato dalle vicende amorose e avventurose di vari cavalieri, tra cui domina quella del medesimo Orlando, senza fortuna innamorato di Angelica, fino a impazzirne una volta appreso che la fanciulla si è sposata con un umile e ignoto soldato arabo (canto XXIII). La pazzia di Orlando, episodio che dà nome all'intero poema, spinge il cavaliere a compiere varie folli imprese finché il paladino non rinsavisce bevendo l'ampolla del suo senno (canto XXXIX), che Astolfo altro prode cristiano, aveva ritrovato sulla Luna (canto XXXIV). C'è infine la vicenda di Ruggiero e Bradamante (immaginari capostipiti della casa d'Este), il cui amore è ostacolato dal mago Atlante (canti IV e II), che prevede la morte del pupillo Ruggiero dopo tale matrimonio; con le nozze dei due eroi (canto XLVI), tuttavia, si chiude il poema.

TORQUATO TASSO

Tasso (1544-1595) nasce a Sorrento, da famiglia di piccola aristocrazia bergamasca (il padre Bernardo è un importante letterato). Ben presto segue il padre nelle sue peregrinazioni attraverso le corti (Roma, Urbino). Dopo gli studi (soprattutto a Venezia e Padova), vive a Ferrara, prima a servizio del cardinale Luigi d'Este, poi del duca Alfonso II. Dopo alcuni episodi di stranezze ed anni di inquietudine è recluso, a Ferrara, nell'ospedale di S. Anna (1579-1586), dove continua a scrivere. Liberato è per breve tempo alla corte dei Gonzaga a Mantova, per poi peregrinare per varie città e corti d'Italia, vivendo per lo più a Roma e a Napoli. Nel 1595 muore a Roma, pochi giorni prima di essere solennemente incoronato poeta in Campidoglio. Tasso scrisse molto, fin dall'adolescenza, quando compose il Rinaldo (1562), un poema cavalleresco, dove si dà grande spicco alle avventure amorose. Varie le opere in prosa (di genere trattatistico: Discorsi sull'arte poetica; e sul Poema eroico; Dialoghi), ma il verso fu congeniale alla sua creatività. Tasso è noto per le Rime (oltre 2000, scritte in tutto l'arco della vita); nel filone della poesia petrarchesca sviluppa decisamente un trattamento fonico e musicale del linguaggio, con esiti di grande eleganza formale. La favola pastorale in versi Aminta (1573), inaugura un filone teatrale (il dramma pastorale) particolarmente fortunato e destinato a grande successo presso le corti europee. Nell'Aminta si fondono aspetti romanzeschi e patetici dentro una visione dolceamara della vita, segnata dalla nostalgia verso un mondo originario e perduto identificato dal poeta nel mondo pastorale. Vi sono anche descrizioni di sofferta sensualità perché Tasso, se da un lato sentiva le pulsioni degli istinti, dall'altro ne avvertiva la pericolosità, vivendo in ciò le contraddizioni dell'artista e del buon cattolico nel periodo della Controriforma. La Gerusalemme liberata (1565-1575, pubblicata nel 1580) è l'opera maggiore ed anche la più ambiziosa in quanto poema epico-cristiano, espressione della sensibilità e dei fasti della Controriforma. Il ruolo di poeta celebratore e religioso convive con il poeta della sensualità e degli affetti umani. L'equilibrio è precario: il poema è all'insegna tanto del «glorioso acquisto», (riferito alla vittoria nella prima crociata, che dà la materia storica al poema) quanto dell'«aspra tragedia dello stato umano», con cui si definisce la stessa impresa, vista come macello, punta estrema della insensatezza della vita umana. I personaggi del poema sono portatori di temi cari al Tasso. Goffredo, modellato su Enea, è il pio eroe che soffre, combatte e prega; accanto a lui Tancredi è l'eroe malinconico, tutto assorbito da un amore inespresso (verso Clorinda) e Rinaldo è il giovane predestinato, cui è concessa l'avventura, il piacere erotico e poi naturalmente il pentimento cristiano. Tra i nemici arabi, particolarmente cari gli sono Argante e Solimano, a cui è affidata la consapevolezza dell'inganno del mondo, della fragilità di valori e certezze. In questa mutevolezza bizzarra del caso, non c'è possibilità di equilibrio, come praticava l'Ariosto, ma solo di illusorietà, che poi svaniscono e sono duramente distrutte, fino a giungere a una concezione tragica e beffarda dell'esistere come nel duello di Tancredi e Clorinda quando il primo uccide la seconda che gli si era presentata sotto vesti sconosciute. Tasso è stato uno dei primi poeti a sondare aspetti irrazionali dell'esistenza, come la pulsione sensuale, l'emotività e il patetismo, inaugurando la poesia della commozione, che avrà tanto spicco fino al Romanticismo. Inoltre ha avvertito la presenza della magia (positiva e negativa) in molti aspetti della vita. La presenza della magia può essere interpretata come un segno della crisi del rapporto uomo-mondo del Rinascimento e della crescita di elementi di mistero a discapito della razionalità. Negli ultimi anni Tasso accentuò il suo pessimismo antiumanistico: nella sua tragedia Il re Torrismondo (1587) si assiste alla disfatta dell'amore e dell'amicizia; non resta che il rifugio in Dio e la preghiera di ricongiungimento a lui, in quanto si è stanchi di esistere, come pronuncia lo stesso universo in Il mondo creato (1605), poema sacro sulla creazione, ultima opera del Tasso.

Ritratto di Torquato Tasso

Ritratto di Torquato Tasso

LA GERUSALEMME LIBERATA

Poema epico di Torquato Tasso in 20 canti di oltre 20.000 versi in ottave. Gli eserciti crociati, già da sei anni in Terrasanta, proclamano loro condottiero Goffredo di Buglione e marciano su Gerusalemme dove il re Aladino si appresta alla difesa. Nel primo scontro Tancredi fa balzar via l'elmo all'avversario e scopre di aver combattuto contro una bellissima donna, Clorinda di cui si innamora. Le potenze dell'inferno si muovono per impedire che Gerusalemme cada e ordiscono un inganno: l'affascinante maga Armida si presenta ai cristiani e chiede aiuto per un'impresa in terre lontane. Molti cavalieri la seguono indebolendo l'esercito di Goffredo. Anche Rinaldo (progenitore degli Estensi e valoroso cavaliere cristiano) si allontana dal campo: provocato, ha ucciso un compagno. Argante, campione arabo, propone una soluzione rapida della guerra: vincerà chi lo sconfiggerà in duello. Tancredi accetta ma il combattimento è sospeso quando cala la notte. Erminia, principessa di Antiochia, preoccupata per le ferite riportate da Tancredi, che ella segretamente ama, indossa le armi di Clorinda ed esce da Gerusalemme per andare a curarlo. Ma è sorpresa da alcuni crociati; costretta a una lunga fuga, trova infine ospitalità presso dei pastori. Anche Tancredi si è allontanato dal campo; segue quella che crede essere Clorinda, ma finisce per cader prigioniero della maga Armida che lo trattiene in un castello incantato. Nello scontro tra le due armate intervengono angeli e diavoli; Goffredo è ferito e Solimano, l'eroe arabo che porta soccorso a Gerusalemme, può entrare in città. Nella notte Clorinda e Argante tentano una sortita per distruggere le macchine d'assedio dei cristiani, hanno successo ma Clorinda è sorpresa da Tancredi che era stato liberato da Rinaldo dall'incantesimo di Armida. Nel duello che segue Clorinda è uccisa da Tancredi che la riconosce solo quando, morente, chiede di essere battezzata. Arrivano frattanto notizie di Rinaldo: irretito dalla bella Armida conduce un'esistenza di piaceri nelle isole Fortunate. Due cavalieri partono alla sua ricerca e lo riconducono all'esercito; la sua presenza è indispensabile per la vittoria cristiana. Nell'ultimo assalto i capi arabi vengono uccisi, Rinaldo ritrova Armida che si converte al cristianesimo, Tancredi ferito viene curato da Erminia e Goffredo può recarsi a pregare sul santo sepolcro.

FRANÇOIS RABELAIS

François Rabelais (1494-1593) fu francescano; uscito di convento divenne medico e sostenne posizioni eretiche rispetto al Cristianesimo. La sua opera principale è il vasto romanzo Gargantua e Pantagruel (pubblicato tra il 1532 e il 1564), che narra le fantastiche e mirabolanti imprese di due giganti: Gargantua e il figlio Pantagruel. Episodi comico-fantastici si alternano a sequenze realistiche; costante è lo spirito dissacrante nei confronti dei vari dogmatismi (della fede, della cultura, della società). Portavoce dell'autore è soprattutto Pantagruel, con la sua fede nella scienza e l'ideale di una vita condotta secondo natura.

LUIS DE CAMÕES

Luis de Camões (1525-1580) è il poeta nazionale portoghese. Ebbe vita avventurosa, vivendo tra la madrepatria e le colonie asiatiche; si salvò miracolosamente da un naufragio alla foce del Mekong, fu più volte in carcere, ma la sua vita è avvolta da un clima di leggenda. La sua opera principale è il poema epico I Lusiadi (1572), che narra l'impresa della circumnavigazione dell'Africa compiuta da Vasco da Gama tra il 1497 e il 1499, fino a raggiungere l'India. La storia si mescola al mito e alla favola; la stessa impresa storica diventa di per sé leggendaria e articolata come un sogno.

L'ETÀ ELISABETTIANA

è la prima grande stagione della letteratura inglese, sotto il regno di Elisabetta (1558-1603), che si prolunga anche sotto il successore Giacomo I (1603-1625). è un periodo che ha caratteri assai originali rispetto al resto d'Europa perché vede continuamente intrecciarsi la cultura di corte con quella popolare di Londra; frutto di questo connubio fu una straordinaria fioritura teatrale sia nella corte che in città, come documenta l'opera di Shakespeare, di Christopher Marlowe (1564-1593) e di Ben Jonson (1572-1637).

WILLIAM SHAKESPEARE

Le notizie sulla vita di Shakespeare (1564-1616) sono scarse e non molto sicure (al punto che alcuni hanno creduto non fosse mai esistito o che le sue opere fossero scritte dal filosofo Francesco Bacone). Questi, comunque sono i suoi dati essenziali. Nel 1564 nasce a Stratford on Avon, nel cuore dell'Inghilterra, dove vive la giovinezza, sposandosi precocemente. Nel 1592 è a Londra, protetto dal duca di Southampton dove comincia l'attività di attore e drammaturgo. Dopo vari successi è tra i principali gestori della compagnia teatrale del re (King's Men). Nel 1609 si ritira a Stratford, dove muore nel 1616. Shakespeare scrisse poemetti mitologici e una serie di Sonetti (1593-1597 ca.) di gusto petrarchista, ma fu soprattutto autore di almeno 36 testi di teatro (altri sono di dubbia attribuzione). Vivente ne pubblicò solo 16 (fra cui Romeo e Giulietta, 1599; Amleto, 1604; Re Lear, 1608); la prima edizione completa delle opere teatrali è del 1623. In genere la critica moderna raggruppa questi testi secondo generi: - commedie basate sul paradosso e le arguzie del linguaggio (ad esempio La bisbetica domata, 1593 ca.); - commedie romantiche, con intreccio di temi comici e sentimentali (ad esempio Il Mercante di Venezia 1597 ca.); - drammi dialettici, ovvero testi che presentano problemi e non tentano soluzioni, ad esempio l'Amleto, come evidenzia il dramma del protagonista, fin nel proverbiale «Essere o non essere»; - tragedie, che esprimono una visione negativa con il sovvertimento dei valori e della stessa società (soprattutto Re Lear, ma anche Otello, 1602-1611 e Macbeth, 1608); - drammi classici, di ambientazione per lo più romana e storica (Giulio Cesare, 1599-1600; Antonio e Cleopatra, 1608 ca.); - drammi romanzeschi, basati su complicati intrecci con colpi di scena (La tempesta, 1612); - drammi storici, sulle vicende di vari sovrani inglesi, per lo più medievali (Riccardo II, 1597; Enrico V, 1600, dramma epico nazionale sul periodo vittorioso della guerra dei Cent'anni). Quello che subito spiega la grandezza di Shakespeare è la sua versatilità, al punto da sembrare incredibile pensare a un solo autore (Montale, al proposito, parlava di «cooperativa», scherzando). Di conseguenza è molto difficile definire la sua opera con una formula: nel tempo della crisi della civiltà rinascimentale egli porta sulla scena la drammatica coscienza dei limiti e della miseria umana, della rovesciabilità dei valori del mondo e degli uomini dal comico al tragico e viceversa. Il suo teatro, piuttosto lontano dalle regole aristoteliche seguite in Italia e Francia, mescola continuamente, nello stesso testo, tragico e comico, per dare maggior spicco all'impossibilità di individuare e privilegiare un solo sentimento in quel magma caotico e mutevole che è la vita. Molte sono le tematiche affrontate: un filo conduttore che le unisce, soprattutto nei testi della maturità, sta nella visione sostanzialmente egocentrica dei personaggi che provoca una serie di infiniti conflitti, con episodi di ferinità e imbestialimento umano. La gamma dei personaggi è ricchissima: ognuno è molto articolato, non siamo di fronte a dei tipi (come era uso nel teatro) ma ad individui. Il segreto di Shakespeare sta nel cogliere da più punti di vista i personaggi (dall'autoanalisi dei celebri monologhi alle riflessioni degli altri personaggi in diversi ambienti e contesti). Spesso nella stessa figura si mescolano eroismo e meschinità, grandezza e miseria, serio e comico.

Ritratto di William Shakespeare

Ritratto di William Shakespeare

RE LEAR

Tragedia di Shakespeare in cinque atti, in versi e prosa. Atto I: Lear, re di Britannia, ormai vecchio, vuole cedere il regno alle figlie, Gonerilla, Regana e Cordelia; ma quest'ultima, riservata, non ostenta gratitudine smaccata come le altre ed è diseredata, ancorché poi sia sposata dal re di Francia; il vecchio re mantiene il privilegio di soggiornare con una sua corte tra le due figlie cui tocca il regno, ma presto è cacciato da Gonerilla. Atto II: Lear è cacciato anche da Regana; intanto Edmondo, figlio bastardo, trama per usurpare al padre e al fratello la contea di Gloucester. Atto III: Lear, abbandonato e quasi folle vaga, con il buffone e un vassallo fedele, in una terribile tempesta, mentre a Dover sbarcano i Francesi aiutati da Edmondo, che imprigiona Cordelia e Lear. Atto V: Conerilla, innamorata di Edmondo, uccide la sorella Regana, sua rivale, ma scoperta dal proprio marito, duca di Albany, si uccide; Cordelia è impiccata per ordine di Edmondo e Lear muore di dolore. Edmondo alla fine è giustiziato per i suoi misfatti, mentre diventa sovrano il duca di Albany.

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AMLETO

Tragedia di Shakespeare in cinque atti, in versi e prosa. Atto I: ad Elsinore in Danimarca al principe Amleto appare lo spettro di suo padre, il defunto re, che gli rivela di essere stato ucciso dal proprio fratello Claudio, ora re di Danimarca e sposo di Gertrude, regina vedova e madre di Amleto; il giovane principe giura di vendicare il padre. Atto II: Amleto si finge pazzo e strano, per scoprire i vari complici. Atto III: respinge l'amore di Ofelia, figlia dell'intrigante ciambellano Polonio; mette in scena davanti a Claudio e Gertrude un dramma che allude alle loro colpe; interroga con durezza Gertrude, uccidendo casualmente Polonio nascosto a spiare. Atto IV: Claudio invia Amleto in Inghilterra, per farlo là uccidere da sicari; intanto Ofelia, impazzita si annega e il fratello Laerte vuole vendetta su Amleto. Atto V: ritorno di Amleto e duello - formalmente incruento - con Laerte in realtà la spada di Laerte e il vino da offrire ad Amleto sono avvelenati da Claudio; Amleto è ferito, ma a sua volta uccide Laerte, - che gli rivela l'infame trucco - e Claudio, mentre Gertrude muore per aver bevuto la coppa al posto del figlio. Morto Amleto, giunge Fortebraccio di Norvegia, che assume il potere nel regno.

IL CELEBRE MONOLOGO DI AMLETO (Atto III, scena 1ª)

Essere o non essere, questo è il problema. È forse più nobile soffrire, nell'intimo del proprio spirito, le pietre e i dardi scagliati dall'oltraggiosa fortuna, o imbracciar l'armi, invece, contro il mare delle afflizioni, e, combattendo contro di esse metter loro una fine? Morire per dormire. Nient'altro. E con quel sonno poter calmare i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è erede la carne! Quest'è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire per dormire. Dormire, forse sognare. è proprio qui l'ostacolo; perché in quel sonno di morte, tutti i sogni che possan sopraggiungere quando noi ci saremo liberati dal tumulto dal viluppo di questa vita mortale, dovranno indurci a riflettere. è proprio questo scrupolo a dare alla sventura una vita così lunga! Perché, chi sarebbe capace di sopportare le frustate e le irrisioni del secolo, i torti dell'oppressore, gli oltraggi dei superbi, le sofferenze dell'amore non corrisposto, gli indugi della legge, l'insolenza dei potenti e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni, se potesse egli stesso dare a se stesso la propria quietanza con un nudo pugnale? Chi s'adatterebbe a portar cariche, a gemere e sudare sotto il peso d'una vita grama, se non fosse che la paura di qualcosa dopo la morte - quel territorio inesplorato dal cui confine non torna indietro nessun viaggiatore - confonde e rende perplessa la volontà, e ci persuade a sopportare i malanni che già soffriamo piuttosto che accorrere verso altri dei quali ancor non sappiamo nulla. A questo modo, tutti ci rende vili la coscienza, e l'incarnato naturale della risoluzione è reso malsano dalla pallida tinta del pensiero, e imprese di gran momento e conseguenza, deviano per questo scrupolo le loro correnti, e perdono il nome d'azione.

IL SIGLO DE ORO

Il secolo d'oro (1560-1650 ca.) è il periodo di maggior splendore della letteratura spagnola, che coincide anche con il periodo del massimo prestigio politico internazionale del regno spagnolo. La Spagna si libera dall'influsso culturale italiano e afferma una propria identità nazionale. In particolare si sviluppano due tendenze: la prima volta all'estremo idealismo e al culto della forma la seconda a un amaro realismo che comporta sempre desengano, cioè percezione della precarietà dei valori e dello stesso uomo nel mondo. Nel primo filone abbiamo la lirica mistica di Juan de la Cruz (1542-1591), ma anche la raffinata poesia di Gongora; nel secondo la ricca stagione del teatro con Lope de Vega (1562-1635) e Calderón de la Barca. Nel capolavoro di Cervantes, i due protagonisti Don Chisciotte e Sancio Panza rappresentano infine le due tendenze.

LUIS DE GONGORA

Vissuto sempre in ristrettezze economiche anche dopo aver preso gli ordini sacri, forse a causa di un carattere altero e mordace, lo spagnolo Gongora (1561-1627) ha dato il suo nome ad una tendenza del Barocco, il gongorismo, ricerca esasperata di sonorità linguistiche, di immagini e vocaboli nuovi nella poesia.

DEL CATAFALCO CHE ERESSE CORDOVA NELLE ESEQUIE DELLA REGINA MARGHERITA

Mai da diamante, da rubino ardente (l'uno faville, l'altro luci brilla) non vide crespa voluta di piume nascere più magnifica la gala, quanto, oscura nel volo tuo dolente dalla perla cattolica che chiudi alta tu sali a baciare le stelle, malinconica guglia rilucente. Sei pompa di dolor, segno non vano di nostra vanità. Lo dica il vento che dagli aromi e dalle luci tanto fumo ti deve. Ahi ambizione umana savio pavone se i cent'occhi adesso al disinganno tu consegni e al pianto. In questa poesia Gongora descrive, in modo sfarzoso, un apparato funerario per la regina Margherita (il cui nome in latino vuol dire perla); l'invito finale è all'ambizione che ha cent'occhi, come la coda dei pavoni e diverrebbe savia se con il poeta meditasse la morte.

PEDRO CALDERON DE LA BARCA

Pedro Calderon de la Barca (1600-1681), fu poeta di corte, cortigiano, militare e infine sacerdote (1651); è autore di 200 lavori teatrali di vario genere, dalle commedie avventurose a quelle fantastiche; da quelle religiose a quelle filosofiche, tra cui è La vita è sogno (1635), il suo capolavoro. è autore anche di molti autos (drammi sulla liturgia cattolica, in particolare sull'eucarestia, in funzione antiprotestante). Calderon è uno dei più tipici autori barocchi per l'ampia dimensione che assume in lui il tema del desengano e la conseguente visione negativa della vita e dei valori umani (gloria, potere, amore, ecc.); soltanto la fede può dare conforto e speranza all'uomo.

MIGUEL DE CERVANTES

Miguel de Cervantes (1547-1616) nasce in Spagna; il padre è un chirurgo. Dopo anni fortunosi (è addirittura accusato di omicidio e deve fuggire in Italia), si dà alla carriera militare ed è gravemente ferito a Lepanto (1571), rimanendo mutilato. Durante una navigazione dall'Italia alla Spagna è rapito dai corsari turchi e venduto come schiavo. Tornato in Spagna svolge incarichi per il Re, ma finisce in carcere a seguito del fallimento d'un banchiere. Vive gli ultimi anni, serenamente a corte, in Madrid. Cervantes, come l'Ariosto, pur avendo scritto varie opere (tra cui le Novelle esemplari, 1613, di carattere romanzesco e realistico) si identifica con il suo capolavoro il Don Chisciotte (stampato tra il 1605 e 1615); dal Furioso riprende l'atteggiamento ironico verso la materia cavalleresca, che porta non al fantastico, ma alla drammatica inconciliabilità tra il mondo interiore dell'uomo e la realtà esterna. Di quel mondo interiore Cervantes è uno dei primi ad indagare gli aspetti irrazionali (dalla follia al sogno) nel suo Don Chisciotte; costui, sempre ironizzato e beffato, non è mai un personaggio del tutto risibile, in quanto Cervantes voleva che il lettore partecipasse in parte allo scollamento perenne e ossessivo tra realtà e immaginazione del protagonista. Ciò è ancor più evidente se si pensa a Sancio, uomo semplice e concreto, ma attratto dagli strani e bizzarri comportamenti di Don Chisciotte, perché anch'egli non è per nulla integrato in una realtà di cinismo e miseria (materiale e morale) che però, diversamente dal padrone, continua a capire e subire. Dalla continua comicità amara di questo romanzo eroicomico discende un profondo senso di disagio della vita, tanto più pungente in quanto le mirabolanti imprese dei due antieroi sono un cumulo di sconfitte e frustrazioni, che producono una radicale e cupa malinconia.

Miguel de Cervantes

Miguel de Cervantes

DON CHISCIOTTE

Romanzo di Cervantes in due parti (rispettivamente di 52 e 74 Capitoli). Chisciotte, uomo di mezza età e benestante, sulla suggestione delle sue letture cavalleresche, decide di farsi cavaliere errante per coprirsi di gloria in nome di Dulcinea del Toboso nome fittizio in cui trasfigura una rozza contadina. Dopo una prima serie di disavventure, è riportato a casa e curato. Ristabilito, riparte all'avventura, questa volta con uno scudiero, Sancio Panza finché viene di nuovo, malconcio, riportato a casa da Sancio e da amici di famiglia. Nella seconda parte del romanzo i due ripartono: l'episodio culminante è nel palazzo di una duchessa che sottopone Chisciotte ad elaborate beffe ed inganna Sancio, con la nomina a governatore di una fantomatica isola; il suo governo, che sarebbe saggio, termina con la bastonatura ricevuta da finti nemici invasori. Infine Chisciotte è sconfitto in duello dal Cavaliere della Bianca Luna, un suo compaesano che più volte ha cercato di farlo rinsavire. Tornato a casa, si ammala, ma rinsavisce prima di morire, rinnegando il suo passato di cavaliere.

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