Le Mille e Una Notte Storia del Sarto e Storia del Giovane Zoppo.
LE MILLE E UNA NOTTE - STORIA DEL SARTO E STORIA DEL GIOVANE ZOPPOSTORIA DEL SARTOSire, un cittadino di questa città mi fece l'onore, due giorni or sono, d'invitarmi a un banchetto che offriva ai suoi amici. Vi andai presto, e vi trovai circa venti persone, che aspettavano il padrone di casa, che era uscito per qualche affare. Presto lo vedemmo arrivare accompagnato da un giovane forestiero, vestito con molta eleganza, molto ben fatto, ma zoppo. Ci alzammo tutti per far onore al padrone di casa, e pregammo il giovane di sedersi accanto a noi. Egli stava per farlo, quando, vedendo un barbiere che faceva parte della nostra compagnia, si tirò indietro con sdegno, e disse che voleva uscire. Il padrone di casa sorpreso del suo gesto, lo fermò. «Dove andate?», gli disse. «Io vi conduco con me perché partecipiate a un banchetto che offro ai miei amici, e appena entrato volete uscire?» «Signore», rispose il giovane, «in nome di Maometto vi supplico di non trattenermi, poiché non posso vedere senza orrore questo abominevole barbiere, il quale, benché nato in un paese ove tutti sono bianchi, assomiglia ad un etiope, e ha l'anima ancora più nera e più orribile della faccia.» Rimanemmo molto sorpresi a tale discorso e cominciammo tutti a guardare con sospetto il barbiere, benché non sapessimo se il giovane forestiere avesse ragione di parlare di lui in tal modo. Protestammo però che non avremmo sopportato alla nostra tavola un uomo del quale ci si faceva un ritratto tanto orrendo. Il padrone di casa pregò il forestiere di farci sapere il motivo per cui odiava tanto il barbiere. «Signori miei», ci disse allora il giovane, «sappiate che questo maledetto barbiere è la causa per la quale io sono zoppo, e che mi è accaduto per causa sua quanto di più crudele si possa immaginare: per questo motivo ho fatto giuramento di abbandonare tutti i luoghi dove lo incontrassi e di non fermarmi neppure un momento in una città dove egli dimori. Questa è la causa per cui sono partito da Bagdàd, e sono venuto a stabilirmi in questa città nel mezzo della grande Tartaria, poiché mi lusingavo di non vederlo. Ma poiché, contro ogni mia aspettativa egli è qui, sono costretto, o miei signori, a privarmi contro voglia dell'onore di divertirmi con voi. Oggi stesso voglio allontanarmi dalla vostra città, e andarmi a nascondere in luoghi dove lui non possa venire a presentarsi ai miei occhi.» Ciò detto, voleva abbandonarci: ma il padrone della casa lo trattenne di nuovo, supplicandolo di fermarsi con noi, e di narrarci la ragione dell'odio che nutriva contro il barbiere, il quale teneva gli occhi fissi a terra e stava zitto. Noi unimmo le nostre preghiere a quelle del padrone di casa, e finalmente il giovane, cedendo alla nostra insistenza, si sedette, voltando la schiena al barbiere e parlò così.STORIA DEL GIOVANE ZOPPOMio padre aveva nella città di Bagdàd un grado così alto che avrebbe potuto aspirare alle principali cariche, ma egli preferì sempre una vita tranquilla. Non ebbe altri figli all'infuori di me e quando morì io ero già in età di poter disporre delle grandi ricchezze che mi aveva lasciato. Non le dissipai pazzamente, ma ne feci anzi buon uso così da meritarmi la stima generale. Non avevo ancora provato alcuna passione e non ero sensibile all'amore, anzi, confesso, con mio rossore, che sfuggivo a bella posta il contatto delle donne. Un giorno, mentre mi trovavo in una strada, vidi venirmi incontro una gran turba di donne: per non incontrarle presi una strada traversa, e mi sedetti su un banco vicino a una porta. Stavo di fronte a una finestra, dove c'era un vaso di fiori bellissimi, su cui tenevo fissi gli sguardi, quando la finestra si aprì e vidi comparire una giovane dama, la cui bellezza mi abbagliò. Lei subito posò lo sguardo su di me, e, innaffiando il vaso di fiori con una mano più bianca dell'alabastro, mi fissò con un sorriso che m'ispirò altrettanto amore per lei, quanta avversione avevo avuto fino allora per tutte le donne. Dopo avere innaffiato i fiori, e avermi lanciato un ultimo sguardo pieno di grazia, che finì di ferirmi il cuore, chiuse la finestra e si ritirò lasciandomi in una confusione e in uno stordimento indicibili. Sarei rimasto ancora là chissà per quanto tempo, se uno strepito vicino a me, non mi avesse fatto rientrare in me stesso. Voltai il capo e vidi che giungeva il primo cadì della città a cavallo di una mula, accompagnato da cinque o sei persone; pose piede a terra davanti alla porta della casa di cui la giovane dama aveva aperta la finestra, ed entrò; per la qual cosa giudicai che fosse suo padre. Ritornai a casa, agitato da una passione tanto più violenta, in quanto non ne avevo mai provate altre. Mi misi a letto con una gran febbre, che provocò una grande afflizione ai miei familiari. I miei parenti, che mi amavano, spaventati da una malattia così improvvisa, accorsero sollecitamente, e mi assediarono di domande per saperne la causa: ma ebbi gran cura di non rivelarla. Il mio silenzio suscitò in loro una inquietudine che i medici non poterono dissipare, perché non conoscevano quale rimedio fosse adatto al mio male, che andava sempre più aggravandosi. I miei parenti cominciarono a disperare della mia vita, quando una vecchia dama loro conoscente, informata della mia malattia, venne a trovarmi: essa mi esaminò con molta attenzione, e dopo avermi ben bene osservato, capì, non so come, la cagione della mia malattia.Essa li prese in disparte, pregandoli di lasciarla sola con me, e di far ritirare tutte le mie genti. Tutti uscirono dalla camera ed ella si sedette al mio capezzale per dirmi: «Figlio mio, vi siete finora ostinato a tener celata la causa del vostro male, ma io non ho bisogno che ce la confessiate: ho esperienza sufficiente della vita per penetrare questo segreto, e non potrete negare se vi dico che è l'amore che vi mette in questo stato. Posso procurarvi la guarigione, purché mi diciate chi è la fortunata che ha saputo ferire un cuore tanto insensibile come il vostro: poiché voi avete fama di non amare le donne, e io non sono stata l'ultima ad accorgermene. Vedo finalmente che ciò che ho previsto è avvenuto e sono molto lieta che mi si presenti l'occasione di fare quanto posso per togliervi di pena». La vecchia dama, avendomi fatto un simile discorso, si fermò per udire la mia risposta; ma non ardivo scoprirle il segreto del mio cuore, e mi accontentai di prorompere in un profondo sospiro. «E' la vergogna», ripigliò, «che vi impedisce di parlare, o la mancanza di fiducia in me? Dubitate forse della mia promessa? Vi potrei citare una infinità di giovani a voi ben noti che si sono trovati nella stessa vostra condizione e che ho aiutato a guarire.» La buona dama, insomma, disse tante cose, che ruppi finalmente il silenzio e dichiarai il mio male, le manifestai il luogo dove avevo veduto l'oggetto che lo causava e le raccontai tutto fin nei minimi particolari. «Se riuscite», le dissi, «a vedere quella incantevole bellezza e a farle conoscere la mia passione, contate sulla mia riconoscenza.» «Figlio mio», mi rispose la vecchia dama, «conosco la persona della quale mi parlate; essa è, come avete giudicato, figlia del primo cadì di questa città. Non mi meraviglio del vostro amore per lei, poiché è la più amabile dama di Bagdàd: ma mi rincresce dirvi che è altera e molto difficile da avvicinare. Voi sapete quanto le nostre genti di giustizia siano esatte nel far osservare le leggi: lo sono maggiormente poi nelle loro famiglie, e il cadì che avete visto, è più rigido, in questo, di tutti gli altri insieme. Poiché non fanno che predicare alle loro figlie che è gran delitto farsi vedere dagli uomini, esse sono tanto prevenute che non usano gli occhi per la strada, se non per osservare dove camminano, quando la necessità le obbliga ad uscire. Io non dico che la figlia del primo cadì sia di quella fatta: ma ciò non toglie che tema d'incontrare grandi ostacoli sia da parte sua, sia da quella del padre. Piacesse al cielo che aveste amato un'altra dama! Avrei meno difficoltà da superare. Impiegherò nonostante ciò tutta la mia destrezza: ma occorrerà molto tempo per riuscirvi; non perdetevi il coraggio e confidate in me.» La vecchia mi lasciò, e io, ripensando a tutti quegli ostacoli, di cui mi aveva parlato, ebbi gran timore che non riuscisse nella sua impresa. Ritornò il giorno dopo: ma lessi sul suo viso che non aveva nulla di bello da annunciarmi. Infatti mi disse: «Figlio mio, non mi ero ingannata; ho da superare ben altra cosa che la vigilanza di suo padre: voi amate un essere insensibile, che si compiace di veder penare, senza voler dare il minimo sollievo: mi ha ascoltata con piacere, finché le ho parlato del vostro male: ma non appena le ho detto di permettervi di andare a trovarla e a conversare con lei, mi ha risposto, lanciandomi un terribile sguardo: "Siete troppo ardita a farmi simile proposta, e vi proibisco di tornare qui a farmi tali discorsi!"». «Ma non affliggetevi», proseguì la vecchia, «io non sono facile ad arrendermi, e purché non vi manchi la pazienza spero di riuscire nel mio disegno.» Per farla breve, vi dirò che quella buona messaggera fece inutilmente molti altri tentativi a mio favore, presso la crudele nemica del mio riposo. Il dispiacere che ne ebbi, peggiorò il mio male a tal segno che i medici mi diedero per spacciato. Ero considerato come un uomo in attesa della morte, quando la vecchia venne a restituirmi la vita. Per non farsi sentire dagli altri, mi disse all'orecchio: «Pensate al regalo che dovete farmi per la bella notizia che vi porto». Queste parole produssero un effetto miracoloso; mi misi a sedere sul letto e le risposi: «Il regalo non vi mancherà: che avete da dirmi?». «Signore mio caro», riprese, «voi non morirete: e in breve avrò il piacere di rivedervi in perfetta salute. Ieri, lunedì, andai alla casa della vostra dama, e la trovai di un umore molto allegro: io invece mi presentai con faccia mesta, proruppi in profondi sospiri, e versai molte lacrime. "Mia buona madre", mi disse, "che avete? Perché siete così afflitta?" "Ohimè, cara e onorata signora", le risposi, "vengo ora dalla casa del giovane del quale vi parlai l'altro giorno: egli è sul punto di morire per voi: è un gran male, vi assicuro, che la vostra crudeltà ne sia la cagione." "Io non so", replicò, "perché volete che io sia la causa della sua morte: che c'entro io?" "Come?", ripresi, "non vi dissi l'altro giorno che se ne stava davanti alla vostra finestra, quando l'apriste per innaffiare il vostro vaso di fiori? Egli vide il prodigio di bellezza, la grazia che voi ogni giorno vedete nel vostro specchio; da quel momento egli langue e il suo male si è talmente aggravato, da ridurlo nello stato pietoso e miserando in cui è ora." "Vi ricordate signora", soggiunsi, "con quale rigore mi trattaste ultimamente quando vi parlai della sua malattia, e vi proposi un mezzo per liberarlo dal pericolo in cui era? Ritornai da lui dopo avervi lasciata, e appena capì, nel vedermi, che non gli portavo una risposta favorevole, il suo male si aggravò molto. Da allora è in pericolo di vita, e non so se potreste salvarlo quand'anche aveste pietà di lui!"» «Questo è quanto le dissi», soggiunse la vecchia, «e il timore della vostra morte l'agitò e la vidi impallidire. "Ciò che mi narrate", mi disse, "è proprio vero? E se veramente è malato, è poi certo che ne sia io la causa?" "Ah! Signora", ripresi, "potete dubitarne?" "E credete", mi disse, "che la speranza di parlarmi potrebbe contribuire a liberarlo dal pericolo in cui si trova?" "Forse sì", le risposi, "e, se me lo comandate, sperimenterò questo rimedio." "Or bene", replicò, sospirando, "fategli dunque sperare che mi vedrà: ma non s'aspetti altri favori, e non aspiri a sposarmi, se mio padre non approva il nostro matrimonio." "Signora", esclamai, "voi avete una gran bontà; corro da quel giovane per annunciargli che avrà la fortuna di parlarvi." "Non vedo un momento più opportuno per concedergli questa grazia, di venerdì prossimo, durante la preghiera del mezzodì. Che egli osservi quando mio padre sarà uscito per andarvi, e venga subito a presentarsi alla porta di casa mia, se la sua salute glielo permette. Io dalla finestra lo vedrò arrivare e scenderò ad aprirgli. Staremo insieme durante il tempo della preghiera, e lui poi si ritirerà, prima che mio padre ritorni."» «Siamo ora a martedì», continuò la vecchia, «avete tempo fino a venerdì per ricuperare le vostre forze, e prepararvi a questa visita.» Mentre la buona dama parlava, sentivo diminuire il mio male, o, per meglio dire, mi sentii del tutto guarito alla fine del suo discorso. «Prendete», le dissi, consegnandole una borsa piena d'oro, «a voi sola sono debitore della mia guarigione.» Quando lei se ne fu andata, mi sentii forze sufficienti per alzarmi. I miei parenti, meravigliati di vedermi in così buono stato, mi fecero molti complimenti, e si ritirarono nelle loro case. Il venerdì mattina mentre mi vestivo giunse la vecchia dama. «Non vi chiedo, come state: perché il vostro stato parla per voi: ma non fate il bagno prima di andare alla casa del primo cadì?» «Ci vorrebbe troppo tempo», le risposi, «mi contenterò di far venire un barbiere e di farmi radere i capelli e la barba.» Subito ordinai ad uno dei miei schiavi di ricercarne uno abile nel suo mestiere, e molto sollecito. Lo schiavo mi condusse il disgraziato barbiere qui presente, che dopo avermi salutato, mi disse: «Signore, dal vostro aspetto, mi pare che non siate in perfetta salute». Gli risposi che ero guarito da una malattia. «Spero», riprese, «che Maometto vi libererà da ogni sorta di mali!» «Spero», replicai, «che esaudisca i vostri auguri e ve ne ringrazio.» «Poiché ora siete guarito», soggiunse, «prego il cielo che vi conservi in salute: ditemi di che avete bisogno: ho portati i miei rasoi, e la mia lancetta; volete che vi rasi, o che vi faccia un salasso?» «Vi ho detto», replicai, «che sono guarito. Potete quindi immaginare che vi ho fatto venire per rasarmi: spicciatevi, e non perdiamo tempo a discorrere, perché ho fretta: sono aspettato a mezzogiorno preciso.» Il barbiere - disse il giovane zoppo di Bagdàd, - impiegò molto tempo a spiegare il suo fardello e a preparare i suoi rasoi: poi, invece di mettere l'acqua nel catino, cavato dal suo fardello un astrolabio, uscì dalla mia camera ed andò in mezzo alla corte con passo grave a misurare l'altezza del sole. Ritornò con la stessa gravità e mi disse: «Sarete molto contento di sapere che oggi siamo al decimottavo venerdì della luna di Safar dell'anno 653 dopo il viaggio del nostro gran Profeta della Mecca a Medina, dell'anno 7320 dell'epoca di Alessandro Magno e che la congiunzione di Marte e di Mercurio significa che non potete sceglier miglior occasione di questo giorno, all'ora presente, per farvi rasare: ma d'altra parte questa congiunzione è di sinistro presagio per voi. Essa rivela che in questo giorno correte un gran pericolo, non già di perdere la vita, ma di un danno che durerà per tutto il rimanente dei vostri giorni; voi dovete essermi obbligato dell'avviso che vi do, perché potrete guardarvi da tale disgrazia; mi rincrescerebbe infatti molto se vi accadesse». Giudicate, signori miei, il mio fastidio di essere caduto nelle mani di un barbiere tanto ciarliero e stravagante. Che fastidioso contrattempo per un amante che si prepara a un appuntamento! Me ne rincrebbe moltissimo. «Mi importa poco», dissi con sdegno, «dei vostri avvertimenti e della vostra protezione; io non vi ho chiamato per consultarvi sopra l'astrologia, ma per radermi, sicché fatelo, o ritiratevi!» «Signore», mi rispose con una flemma da far perdere la pazienza, «che ragione avete di sdegnarvi? Voi sapete che tutti i barbieri non mi rassomigliano e che non ne trovereste uno uguale a me, quand'anche lo faceste fare apposta! Voi siete stato fortunato a trovarmi, e nella mia persona avete il miglior barbiere di Bagdàd, un medico sperimentato, un profondissimo chimico, un astrologo che non s'inganna, un perfetto grammatico, un consumato retore, un logico sottile, un matematico colto nella geometria, nell'aritmetica, nell'astrologia e in tutte le sottigliezze dell'algebra; uno storico che conosce la storia di tutti i regni dell'universo. Oltre a ciò conosco tutte le parti della filosofia. Ho impresse nella mia mente tutte le tradizioni. Io sono poeta e architetto: ma cosa non sono? per me non c'è nulla di nascosto nella natura. Il fu vostro padre, al quale tributo le mie lacrime ogni qual volta penso a lui, era persuaso del mio merito. Mi amava teneramente, mi vezzeggiava e non trascurava d'invitarmi in tutte le compagnie dove si trovava, come il primo uomo del mondo. Voglio, in atto di riconoscenza e per l'amore che conservo per la sua memoria, essere tutto vostro, pigliarvi sotto la mia protezione e difendervi da tutte le disgrazie...» A questo discorso, ad onta del mio sdegno, non potei fare a meno di ridere. «Finitela una buona volta, dunque, o chiacchierone importuno», esclamai, «e cominciate a radermi.» «Signore», mi rispose il barbiere, «voi mi fate un'ingiuria, chiamandomi chiacchierone: al contrario mi si attribuisce l'onorato titolo di Taciturno. Avevo sei fratelli, che avreste potuto con ragione chiamare chiacchieroni: e affinché li conosciate, il maggiore si chiama al-Baqbùq, il secondo Bakbarah, il terzo Baqbaq, il quarto al-Kawz, il quinto al-Ashshar, e il sesto Shaquàliq. Essi erano chiacchieroni importuni: ma io, il minore, sono serio e conciso nei miei discorsi.» Di grazia, o miei signori, mettetevi nei miei panni: che cosa potevo fare vedendomi tanto crudelmente assassinato? «Dategli tre monete d'oro», dissi a quello dei miei schiavi incaricato delle spese della casa, «se ne vada, e mi lasci in pace: non voglio più farmi radere per oggi.» «Signore», mi disse allora il barbiere, «che intendete dire con questo discorso? Non sono stato io a cercarvi; siete voi che mi avete fatto venire, quindi giuro per la fede musulmana che non uscirò da casa vostra se prima non vi avrò rasato. Il fu signor vostro padre mi rendeva più giustizia. Tutte le volte che mi mandava a chiamare per cavargli sangue, mi faceva sedere vicino a lui ed era incantato nell'udire le belle cose che gli narravo. Io lo tenevo in una meraviglia continua. Gli pareva di essere rapito in estasi, e quando avevo terminato: "Ah!", esclamava, "voi siete una sorgente inesauribile di scienza! Nessuno giunge alla profondità del vostro sapere". "Mio caro signore", gli rispondevo, "voi mi fate più onore di quello che merito. Se dico qualche cosa di buono, ne sono debitore alla vostra bontà. La vostra liberalità m'ispira tutti questi pensieri sublimi." Un giorno, incantato da un ammirabile discorso che gli avevo fatto: "Che gli si diano cento monete d'oro", disse, "e sia vestito d'una delle mie vesti più ricche". Ricevetti il regalo e subito trassi il suo oroscopo, il più felice che si possa dire. E per riconoscenza gli cavai sangue con le ventose.» E neppure allora il barbiere tacque, anzi cominciò un altro discorso, che durò una buona mezz'ora. Stanco di udirlo, e arrabbiato di veder passare il tempo, gridai: «Non c'è un altro che come voi si diverta a far arrabbiare le persone». Poi credetti di riuscire meglio, usando la dolcezza. «Caro signore», gli dissi, «lasciate da parte tutti i vostri bei discorsi e sbrigatevi; un affare di somma importanza mi chiama fuori di casa, come vi ho già detto.» A queste parole si mise a ridere. «Sarebbe una cosa molto lodevole», disse, «se potessimo essere sempre ugualmente calmi, savi e prudenti; voglio però credere che se vi siete sdegnato contro di me, ciò sia dovuto alla vostra malattia, che ha cagionato questo mutamento nel vostro umore. Avete in ogni caso bisogno di qualcuno che vi guidi e farete bene a seguire l'esempio di vostro padre e del vostro avo. Essi venivano a consultarmi in tutti i loro affari, e posso dire senza vanità che erano sempre soddisfatti dei miei consigli. Siate certo, o signore, che quasi mai si riesce in quello che si intraprende, se non si ricorre ai consigli delle persone sagge: "Non si diventa prudenti", dice il proverbio, "se non si piglia consiglio da un uomo prudente". Io son tutto per voi e non avete che a comandarmi.» «Posso dunque chiedervi», interruppi, «di abbandonare tutti questi discorsi che a null'altro servono se non a rompere la testa e a impedirmi di andare dove mi chiama un affare importante? Rasatemi dunque, o ritiratevi!» Nel dir ciò mi alzai pieno di dispetto e di rabbia, battendo fortemente il piede a terra. Quando vide che ero infastidito: «Piano, signore», mi disse, «non v'impazientite, ora comincio». E finalmente mi lavò il capo, e cominciò a radermi; ma non appena mi ebbe dato quattro colpi di rasoio, si fermò per dirmi: «Signore voi siete troppo collerico; dovreste evitare questi scoppi d'ira che vengono dal demonio. Merito della considerazione a cagione della mia età, della mia scienza, e delle mie splendide virtù». «Continuate a radermi», gli dissi, interrompendolo, «e tacete!» «Vuol dire», riprese, «che avete qualche affare di grande urgenza?» «Eh! Sono due ore», gli risposi, «che ve lo dico. Dovreste già avermi rasato.» «Moderate il vostro ardore», replicò allora, «forse non avete riflettuto abbastanza su quanto andate a fare; quando uno fa le cose con precipitazione, quasi sempre poi se ne pente. Vorrei conoscere l'affare, che tanto vi preme, per potervi consigliare; voi avete tempo da vendere, perché siete aspettato a mezzodì e mancano ancora tre ore.» Quanta più fretta dimostravo e tanto meno egli ne aveva di obbedirmi. Depose il rasoio per pigliare il suo astrolabio, che lasciò subito per riprendere il rasoio. Poi, di nuovo depose il rasoio, ripigliò una terza volta il suo astrolabio, e mi lasciò mezzo rasato, per andare a vedere l'ora precisa. Ritornò dicendomi: «Signore, sapevo benissimo di non ingannarmi; vi sono ancora tre ore a mezzodì; ne sono sicuro, a meno che tutte le regole dell'astronomia siano false». «Giusto cielo!», esclamai. «La mia pazienza è al limite: non ne posso più! Maledetto barbiere, disgraziato! Manca poco che non mi scagli contro di te e che non ti strangoli!» «Calma, calma, signore!», mi disse freddamente, senza scuotersi per la mia ira. «Non avete paura di ammalarvi di nuovo? Non v'infuriate, in un momento sarete servito.» Nel dire queste parole, ripose il suo astrolabio, ripigliò il rasoio, e ricominciò a radermi: ma non poté fare a meno di dire: «Se voi volete, signore, dirmi quale sia l'affare per cui dovete uscire a mezzogiorno, vi darò qualche consiglio utile». Per accontentarlo, gli dissi che certi amici mi aspettavano a mezzodì per banchettare, e festeggiare la mia guarigione. Quando sentì parlare di un banchetto, esclamò: «Il cielo vi benedica, oggi come in tutti gli altri giorni! Voi mi fate ricordare che ho invitato ieri quattro o cinque amici a venire oggi a mangiare. Me ne ero dimenticato, e così non ho fatto alcun preparativo». «Non preoccupatevene!», gli dissi. «Benché vada a mangiare fuori di casa, la mia dispensa è sempre ben provvista. Vi regalo quanto vi si trova; vi farò dare anche tutto il vino che vorrete, e ne ho dell'eccellente nella mia cantina, ma ora dovete terminare in fretta di radermi; ricordatevi che mio padre vi faceva dei regali per udirvi discorrere, ed io invece ne faccio per farvi tacere.» «Il cielo vi ricompensi», esclamò, «della grazia che mi fate: ma ora mostratemi queste provviste, perché possa vedere se sono sufficienti per banchettare con i miei amici.» «Ho», gli dissi, «un agnello, sei capponi e una dozzina di pollastri.» Ordinai ad uno schiavo di portare tutto questo, con quattro grandi fiasche di vino. «Va a meraviglia», riprese il barbiere, «ma ci vorrebbe della frutta e qualche cosa per condire la carne.» Gli feci preparare quanto chiedeva ed egli smise di nuovo di radermi, per esaminare ogni cosa, una dopo l'altra: quest'esame durò quasi mezz'ora, e intanto io pestavo i piedi in terra e mi arrabbiavo: ma tutto fu inutile; questo birbante non si affrettava. Ripigliò infine il rasoio, ma mi rasò solo per qualche momento; poi fermandosi all'improvviso, mi disse: «Non avrei mai creduto, signore, che voi foste così generoso. Vedo che in ciò assomigliate a vostro padre. Certamente non meritavo le grazie delle quali mi colmate, e ve ne sarò sempre riconoscente. E' necessario che sappiate, che nulla ho che non mi venga dalla generosità delle brave persone come voi. In questo sono simile a Zaitùn, che asciuga la gente che lava al bagno; a Sarl, che vende ceci arrostiti per le strade; a Saloat, il negoziante di fagiuoli; ad Akrasha, l'erbivendolo; ad Abu Mekares, che lava le strade, ed a Cassem della guardia del califfo. Tutte queste persone non generano malinconia. Non sono né noiose né rissose, più contente della loro sorte dello stesso califfo in mezzo a tutta la sua corte: sono sempre allegre, pronte a cantare e a ballare, e hanno ciascuna la sua canzone e il suo ballo particolare, coi quali divertono tutta la città di Bagdàd: ma ciò che stimo di più in loro, è che non sono ciarliere, come, del resto, il vostro schiavo che ha l'onore di parlarvi. Udite, o signore, questa è la canzone ed il ballo di Zaitùn, che asciuga la gente al bagno. Guardate, vedete se lo imito bene». Il barbiere cantò la canzone, danzò il ballo di Zaitùn, e qualunque cosa potessi dire per farlo cessare dalle sue buffonate, non vi fece caso e non terminò prima di aver imitato tutti quelli di cui aveva parlato. Dopo di ciò, volgendosi a me, continuò: «Signore, voglio far venire in casa mia tutte queste onorate persone, e, se lo credete, voi sarete dei nostri e abbandonerete i vostri amici, che forse sono dei grandi chiacchieroni, buoni solo a stordirvi coi loro discorsi fastidiosi e a farvi ricadere in una malattia peggiore di quella dalla quale uscite». A dispetto del mio sdegno, non potei fare a meno di ridere delle sue pazzie. «Vorrei», gli dissi, «non avere l'impegno che ho e accetterei di buona voglia la vostra proposta; verrei con tutto il cuore a stare in allegria con voi, ma vi prego di dispensarmene; oggi sono troppo occupato. Quando sarò più libero, faremo questa cena. Terminate ora di radermi, ed affrettatevi a tornare a casa: i vostri amici sono forse già arrivati.» «Signore», riprese, «non negatemi la grazia che vi chiedo: venite a divertirvi con noi. Se vi foste già trovato una volta con quelle persone, ne avreste un tale ricordo che per loro rinuncereste ai vostri amici.» «Non parliamo più di questo», ribattei, «oggi non posso venire da voi!» Nulla ottenni con la dolcezza. «Giacché non volete venire da me», replicò il barbiere, «bisogna dunque che vi adattiate e che io venga con voi. Vado a portare a casa mia quanto mi avete dato; i miei amici mangeranno, se lo vorranno, ma io ritornerò subito: non voglio essere così scortese da lasciarvi andare solo.» «Cielo!», esclamai allora. «Non potrò dunque liberarmi da un uomo tanto fastidioso? In nome del grande Maometto», gli dissi «smettete di fare questi discorsi importuni; andate a ritrovare i vostri amici, bevete, mangiate, state allegro e lasciatemi la libertà di andare dove voglio; non ho bisogno che mi si accompagni.» «Voi vi burlate di me», riprese allora, «se i vostri amici vi hanno invitato a un banchetto, quale ragione può impedirmi di accompagnarvi? Farete loro un gran piacere, ne sono sicuro, conducendomi con voi perché ho la maniera di far ridere, e so piacevolmente divertire una compagnia. Checché diciate, la cosa è decisa e io vi accompagnerò a vostro dispetto!» Queste parole, signori miei, mi misero in un grande impaccio. «Come mi libererò da questo maledetto barbiere?», dicevo fra me. «Se mi ostino a contraddirlo non termineremo mai la discussione.» Intanto udii il primo richiamo per la preghiera di mezzodì: era tempo di partire! Mi appigliai allora al partito di non profferire parola, e di fingere di essere d'accordo. Terminò allora di radermi, e, ciò fatto, gli dissi: «Pigliate qualcuno dei miei servi per portare queste provviste a casa vostra, poi ritornate: io vi aspetto, e non partirò senza di voi». Alla fine se ne andò e io terminai con sollecitudine di vestirmi. Udii chiamare alla preghiera per l'ultima volta; mi affrettai ad incamminarmi, ma il malizioso barbiere, che aveva indovinato la mia intenzione, si era accontentato di andare con le mie genti fino in vista della sua casa per vederli entrare; poi si era nascosto dietro un angolo della strada per osservarmi e seguirmi; infatti, quando fui giunto alla porta del cadì, mi voltai e lo vidi all'inizio della strada: n'ebbi un grosso dispiacere. La porta del cadì era mezzo aperta, e nell'entrata vidi la vecchia dama che mi aspettava. Dopo aver chiusa la porta, mi condusse nella camera della giovane, della quale ero innamorato: ma appena cominciai a parlare, udimmo un gran rumore nella strada. La giovane si affacciò alla finestra e vide che il cadì suo padre ritornava già dalla preghiera. Nello stesso tempo guardai io pure, e vidi il barbiere seduto nel luogo stesso dal quale avevo veduto la giovane dama. Ebbi allora due motivi di timore: l'arrivo del cadì e la presenza del barbiere. La giovane dama mi rassicurò, dicendomi che suo padre non saliva in camera sua se non di rado, e in tal caso aveva pensato al mezzo di farmi uscire con sicurezza; ma l'indiscrezione del barbiere disgraziato mi cagionava una grande inquietudine, e voi vedrete che questa inquietudine non era infondata. Il cadì, appena entrato in casa, si prese cura di infliggere la pena della bastonatura a un servo che l'aveva meritata. Questi proruppe in grandi clamori e il barbiere, credendo che fossi io a gridare, proruppe egli pure in spaventevoli grida, si lacerò le vesti, si gettò della polvere sul capo, chiamando in soccorso tutto il vicinato. Gli fu chiesto che cosa avesse e di quale soccorso avesse bisogno; egli allora esclamò: «Ohimè, stanno assassinando il mio padrone!», e, senza dir di più, corse fino alla mia casa, gridando sempre allo stesso modo e ritornò accompagnato da tutti i miei servitori armati di bastoni. Picchiarono con un furore inimmaginabile alla porta del cadì, il quale mandò uno schiavo per vedere che cosa stesse accadendo, ma lo schiavo tutto spaventato ritornò dal suo padrone dicendo: «Signore, più di duecento uomini vogliono entrare per forza nella vostra casa e già cominciano a forzarne la porta». Il cadì accorse subito, aprì la porta, e chiese che cosa volessero. Ma la sua presenza venerabile non ispirò rispetto alle mie genti, che gli dissero con insolenza: «Maledetto cadì, cane di cadì, perché volete assassinare il nostro padrone? Che vi ha fatto?». «Buona gente», rispose il cadì, «perché credete che io abbia assassinato il vostro padrone, che non conosco e che non mi ha offeso? Ecco: la mia casa è aperta; entrate e cercatelo!» «Voi l'avete bastonato un momento fa», disse il barbiere, «ho udito le sue grida.» «Ma», replicò il cadì, «quale offesa mi avrebbe fatto il vostro padrone perché dovessi maltrattarlo, così? Forse si trova in casa mia? E se si trova, come è entrato, e chi può averlo introdotto?» «Voi non me la darete ad intendere, con la vostra gran barba, iniquo cadì», riprese il barbiere, «so bene ciò che dico; vostra figlia ama il nostro padrone, ed egli le ha fatto visita in casa vostra durante la preghiera del mezzodì. Voi senza dubbio ne siete stato avvertito, siete tornato a casa, lo avete fatto bastonare dai vostri schiavi. Ma non avrete commesso quest'azione impunemente! Il califfo ne sarà informato e ne farà severa e sommaria giustizia. Lasciatelo uscire, e restituitecelo subito, altrimenti entreremo e lo libereremo vostro malgrado.» «Non c'è bisogno di parlar tanto», replicò il cadì, «né di fare tanto strepito; se quanto dite è vero, entrate e rintracciatelo, ve ne do il permesso.» Appena ebbe terminato queste parole, il barbiere e le mie genti si slanciarono furibondi nella casa e si misero a cercarmi dappertutto. Il giovane zoppo proseguì: Avendo udito quanto il barbiere aveva detto al cadì, cercai un luogo per nascondermi; non trovai che un grande forziere vuoto, nel quale mi infilai, poi lo chiusi sopra di me. Il barbiere dopo aver cercato ovunque, non tralasciò di venire nella camera dove ero nascosto. Si accostò al forziere, lo aprì, e, vedendomi, lo prese e se lo caricò sulla testa, e lo portò via; poi discese da una scala molto lunga in un cortile, l'attraversò, raggiungendo finalmente la porta della strada. Mentre egli mi portava, il forziere per disgrazia si aprì, e non potendo sopportare la vergogna di vedermi esposto agli sguardi e agli schiamazzi della plebaglia che ci seguiva, mi slanciai nella strada tanto precipitosamente, che mi ruppi una gamba; e da quel tempo sono rimasto zoppo. Non sentii subito tutto il mio male; mi rialzai per salvarmi dalle risate del popolo con una pronta fuga, gettando pure delle manciate di monete d'oro e d'argento, di cui la mia borsa era piena, e mentre erano intenti a raccoglierle, sfuggii loro girando per vie nascoste. Ma quel barbiere maledetto, approfittando dell'astuzia, di cui mi ero servito per sbarazzarmi della folla, m'inseguì senza perdermi di vista, gridando con tutte le sue forze: «Fermatevi, signore, perché correte con tanta fretta? Se sapeste quanto sono afflitto dal pessimo trattamento che vi ha inflitto il cadì, a voi, tanto generoso, a voi, cui tanto dobbiamo, i miei amici e io! Non ve lo avevo forse detto, che arrischiavate la vita con la vostra ostinazione a non voler essere accompagnato da me? Per colpa vostra vi è accaduto tutto questo e se dal canto mio non mi fossi ostinato a seguirvi per vedere dove andavate, che sarebbe stato di voi? Dove andate dunque, signore? Aspettatemi». Il maledetto barbiere gridava queste parole nella strada. Non solo aveva causato uno scandalo nel quartiere del cadì, voleva anche che tutta la città lo sapesse. Ero così adirato che avrei voluto aspettarlo per strangolarlo, ma in tal modo avrei resa pubblica la mia vergogna. Scelsi un altro partito: entrai in un albergo, del quale conoscevo il custode. Lo trovai sulla porta, dove era accorso per lo strepito. Gli dissi: «Fatemi il favore d'impedire che quel pazzo entri». Egli me lo promise ed adempì la sua parola: ma ciò non poté farsi senza pena, perché l'ostinato barbiere voleva entrare a tutti i costi e non se ne andò se non dopo averlo offeso con mille ingiurie. E, finché non fu rientrato nella sua casa, non smise di raccontare a tutti quelli che incontrava il grande servizio che pretendeva di avermi reso. Questo è il modo con cui mi liberai da un uomo tanto importuno. Dopo di ciò il custode mi pregò di raccontargli le mie sventure; gliele narrai, pregandolo anche di prepararmi un appartamento, finché non fossi guarito. «Signore», mi disse, «non starete più comodo a casa vostra?» «Non voglio ritornarvi», gli risposi. «Quel detestabile barbiere verrebbe certo a trovarmi: sarei assediato ogni giorno, e morirei per il dispetto per averlo incessantemente davanti agli occhi. Peraltro, dopo quanto mi è accaduto, non posso fermarmi più oltre in questa città; voglio andare dove la sorte vorrà guidarmi.» Infatti, appena guarito, presi con me gran parte del mio denaro, donai il resto delle mie sostanze ai miei parenti e partii da Bagdàd. Sono venuto fin qui, signori miei, nella speranza di non incontrare questo barbiere in un paese tanto lontano. E invece lo ritrovo fra voi; non siate quindi sorpresi della premura che ho di andarmene. Potete immaginare il fastidio che provo alla vista di quest'uomo, che è la sola ragione per cui sono zoppo e ridotto alla infelice necessità di vivere lontano dai miei parenti, dai miei amici, dalla mia patria. Nel terminare queste parole, il giovane zoppo si alzò e partì. Il padrone di casa lo accompagnò fino alla porta, domandandogli scusa per il dispiacere che, involontariamente, gli aveva procurato. Partito lo zoppo - continuò il sarto - restammo tutti meravigliati della sua storia. Ci rivolgemmo al barbiere, e gli dicemmo che se quanto avevamo udito era vero, egli aveva avuto gran torto. «Signori», ci rispose, alzando il capo, che fino allora aveva tenuto chino, «il fatto che io abbia taciuto mentre quel giovane parlava, vi dimostra che egli vi ha detto la pura verità: ma per quanto egli abbia potuto dire, sostengo di aver avuto ragione, facendo ciò che ho fatto. Giudicate voi stessi. Non si era forse messo in pericolo? Senza il mio soccorso avrebbe potuto cavarsela tanto felicemente? E' fortunato ad essersela cavata solo con una gamba rotta. Non mi sono esposto ad un pericolo maggiore, per strapparlo da una casa in cui immaginavo che venisse maltrattato? Ha ragione di dolersi di me e di opprimermi d'ingiurie tanto atroci? Questo è quello che si guadagna a servire gli ingrati! Mi accusa di essere un chiacchierone: e questa è pura calunnia. Di sette fratelli che noi eravamo, io sono quello che parla meno e ha maggiore spirito degli altri. Per farvelo vedere chiaramente, o miei signori, vi voglio narrare la mia e la loro storia. Onoratemi vi prego, della vostra attenzione.» Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. 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