Chim. - Elemento chimico di numero atomico 16 e peso atomico
32,066; simbolo:
S. Nella tavola periodica degli elementi costituisce il
secondo termine del VI gruppo, sottogruppo A, avendo come omologo inferiore
l'ossigeno e come omologhi superiori il selenio, il tellurio e il polonio. Lo
z. presenta quattro isotopi naturali stabili (tra parentesi le abbondanze
relative):
32S (95,02%),
33S (0,75%),
34S
(4,21%) e
36S (0,02%). Tra gli isotopi artificiali preparati
ricordiamo il
35S, instabile, che decade in beta meno con un periodo
di semitrasformazione di 87 giorni, e viene impiegato in medicina e biologia. Lo
z. è uno dei pochi elementi che si trovano allo stato libero in
natura, e perciò conosciuto e impiegato fin dall'antichità;
è certo che fin dal 200 a.C. esistevano in Sicilia miniere per la sua
estrazione. La grande maggioranza del quantitativo estratto oggi viene impiegata
per la produzione di acido solforico, consumato soprattutto dall'industria dei
fertilizzanti e quindi in agricoltura. Lo
z. è relativamente
abbondante nella crosta terrestre, della quale costituisce lo 0,05% in peso;
anche nell'universo è abbondante: si stima che ne esistano 3,75 ·
10
5 atomi ogni milione di atomi di silicio, nel qual caso sarebbe fra
i dieci elementi più diffusi nell'universo. Allo stato nativo,
cioè come elemento non combinato, lo
z. è diffuso in
vicinanza degli antichi vulcani, in mezzo a strati di gesso o di calcare,
soprattutto negli Stati Uniti (Louisiana, Texas, Nevada), nel Canada, in Cile,
in Francia, in Polonia e in Giappone, dove esistono i maggiori giacimenti. In
Italia si hanno dei buoni giacimenti in Sicilia (Enna, Agrigento e
Caltanisetta); giacimenti minori si trovano anche in Campania e in Calabria.
║
Proprietà fisiche: a temperatura ambiente lo
z. si
presenta come un solido tenero e fragile, di colore giallo, inodore, con peso
specifico 2,06; è cristallizzato nel sistema rombico, ma per
riscaldamento a circa 95 °C si trasforma in una forma monoclina (forma
α) in quanto presenta il fenomeno del
polimorfismo. A 119,2
°C fonde in un liquido giallo e mobile. Per ulteriore riscaldamento si
trasforma in una massa scura e viscosa, che diventa sempre più scura e
sempre più viscosa fino a circa 160 °C; sopra questa temperatura
tende a ridiventare più fluido, pur restando di colore bruno cupo. A
444,6 °C bolle con vapori giallo-arancio che diventano rossi a circa 500
°C, ma ritornano chiari a temperature più elevate. Il solido
raffreddato a -80 °C diventa quasi incolore. Tutti questi cambiamenti sono
dovuti alla diversa forma molecolare dello
z. A temperatura ambiente la
forma rombica presenta una molecola ottoatomica S
8 ciclica, non
piana, che si può rappresentare nel modo seguente:

intendendo che i legami interi si trovano sopra il piano del foglio e
quelli a punti sotto il piano mentre i due verticali sono normali al piano
stesso. Si ritiene che nella fusione questi anelli si aprano formando delle
catene che, all'aumentare della temperatura, si congiungono fra loro provocando
un aumento della viscosità. A temperature ancora più elevate
succederebbe invece il fenomeno contrario. Allo stato gassoso lo
z. si
dissocia in molecole biatomiche S
2 e, a temperature elevate, anche in
molecole monoatomiche S. La struttura dello
z. nelle sue varie forme
solide è alquanto complessa, dato che se ne conoscono ben 36 forme.
Ricordiamo qui solo le principali. 1)
Z.
rombico o
α-
z.: è la forma comune, che si ottiene per
cristallizzazione da una soluzione di solfuro di carbonio o altri solventi,
oppure per solidificazione lenta del fuso. Gli anelli di otto atomi di
z.
sono raggruppati in una struttura ordinata; 16 anelli formano la cella
elementare. Ha durezza 2,5 della scala Mohs ed è insolubile in acqua, ben
solubile in solfuro di carbonio, soprattutto a caldo (100 grammi di questo
sciolgono 181 grammi di
z. a 55 °C); si scioglie lentamente anche in
alcol etilico, etere etilico e benzolo. Per riscaldamento lento si trasforma
dapprima in monoclino, che, come detto, fonde a 119,2 °C; un riscaldamento
rapido lo porta però direttamente alla fusione a una temperatura
inferiore. In effetti un raffreddamento lento dello
z. fuso permette di
ottenere la forma rombica che ha un punto di fusione (metastabile) a 112,8
°C. 2)
Z.
monoclino o
β-z: si forma per
riscaldamento lento del rombico e ha una cella elementare costituita da sei
anelli S
8. A differenza del precedente si presenta in cristalli
aghiformi giallo chiaro, aventi peso specifico 1,96 e si scioglie abbastanza
rapidamente in alcol etilico. Si forma anche a contatto con le pareti di un
recipiente in cui si raffreddi del fuso; gli aghi prismatici di
z.
monoclino si sgretolano però nel tempo in polvere di
z. rombico.
3)
Z.
plastico o
γ-z.: è una modificazione
amorfa, ottenibile raffreddando velocemente il fuso da una temperatura prossima
all'ebollizione a quella ambiente. A differenza degli altri ha peso specifico
2,046; è poco solubile in solfuro di carbonio e fonde a 120 °C. Si
pensa che contenga delle lunghe catene di atomi di
z., cosa che
giustifica anche la differenza di punto di fusione. 4)
Z.
purpureo: si ottiene raffreddando i vapori di
z. da un'alta
temperatura a quella dell'azoto liquido (-196 °C). Si pensa per questo
motivo che sia una forma cristallina con molecole biatomiche S
2. Come
il precedente, torna lentamente alla forma rombica se lasciato a temperatura
ambiente. 5)
Latte di z: si tratta di una dispersione colloidale di
z. in acqua, ottenuta per decomposizione di polisolfuri mediante acidi.
Questo
z., precipitato (
magistero di z.), si presenta in forma
amorfa ma solubile in solfuro di carbonio. La soluzione colloidale stabilizzata
trova impiego in medicina. Lo
z. presenta la struttura elettronica del
neon, con in più 2 elettroni nello strato 3
s e 4 elettroni nello
strato 4
p. I suoi stati di ossidazione più stabili sono quindi -2,
+4 e +6. ║
Proprietà chimiche: lo
z. è un
elemento molto reattivo, anche se non come l'ossigeno, suo omologo inferiore.
Anch'esso forma composti con quasi tutti gli elementi della tavola periodica,
anche combinandosi direttamente: con ossigeno o aria brucia se acceso a una
temperatura superiore a 250 °C, formando anidride solforosa
SO
2:
S + O
2 → SO
2
Si osservi che, data l'incertezza che molte volte sussiste sulla natura
della molecola di
z. (S
2, S
8 o altre forme) lo si
è indicato
monoatomico. Il rame in polvere brucia rapidamente nei
vapori di
z. bollente, con formazione del solfuro di rame. Un impasto di
z. e mercurio si trasforma in solfuro mercurico HgS:
Hg + S → HgS
già a temperatura ambiente. Con il ferro
in polvere mescolato a
z. il solfuro ferroso FeS si forma solo per
riscaldamento. La combinazione con gli alogeni avviene anche solo alla
temperatura dello
z. fuso; con idrogeno la reazione ha decorso esplosivo.
║
Estrazione e usi:
benché quantità elevate di
z. vengano recuperate già in forma di composti (particolarmente
H
2S e SO
2), la maggior parte dello
z. utilizzato
attualmente viene recuperato allo stato elementare, cioè come
z.
nativo purificato. Le prime miniere di
z. di cui si abbia notizia si
trovavano in Sicilia verso il 200 a.C.; a quei tempi questo elemento veniva
impiegato soprattutto in medicina o per essere bruciato in cerimonie o per
disinfestazioni, bruciandolo a SO
2. Nel Medioevo, con l'invenzione
della polvere da sparo, lo
z. divenne un elemento di primaria importanza
e la sua produzione subì un forte aumento. Per trovare un nuovo impiego
dello
z. si deve giungere al 1787, anno in cui fu iniziata la produzione
di soda con il metodo Leblanc, che richiedeva grandi quantità di acido
solforico, prodotto appunto a partire dallo
z. Fino a questi anni la
Sicilia riforniva di questo elemento praticamente tutto il mondo.
Allorché (1835) fu introdotto l'impiego di pirite per la produzione di
ferro, che aveva come sottoprodotto della SO
2 utilizzabile per
fabbricare l'acido solforico, iniziò la crisi dell'industria siciliana
dello
z. L'introduzione dell'uso dello
z. come antiparassitario in
agricoltura, soprattutto per i vigneti, segnò una ripresa della
produzione che nel 1893 giunse a 375.000 t, valore enorme per quel tempo.
Frattanto negli USA erano stati scoperti enormi giacimenti a forma di
lenti, cioè banchi spessi 30÷50 m di calcare impregnato di
z., posti sotto uno strato friabile di 100÷200 m di argilla, sabbia
impregnata di acqua sulfurea e calcare poroso e anch'esso friabile. Vista la
particolare conformazione, sembrava che questi non fossero economicamente
sfruttabili finché (1894) fu tentato il metodo proposto alcuni anni prima
dall'ingegnere chimico Herman Frasch, di cui si dirà poi. Nel 1896 veniva
accertato che tale metodo permetteva un recupero dello
z. con costi assai
bassi; due anni dopo il metodo fu tentato anche in Sicilia, ma si rivelò
un fallimento in quanto i giacimenti qui presenti, originati per deposizione in
letti porosi dalla migrazione di idrocarburi, non ne permettevano
l'applicazione. Nel frattempo anche in Sicilia veniva raggiunto un notevole
progresso con l'introduzione dei forni Gill, che permettevano un recupero dello
z. molto superiore rispetto ai
calcaroni fino allora in uso. Nel
1911 si toccarono le 537.000 t/anno. La scarsità di manodopera fece
scendere la produzione durante la prima guerra mondiale; al termine di questa
l'industria americana per i ridotti costi di produzione e l'abbassamento dei
noli marittimi, partiva alla conquista dei mercati mondiali. La produzione
siciliana si stabilizzava sulle 240.000 t/anno, nonostante le miniere venissero
espropriate e nascesse un organismo nazionale per l'estrazione e la vendita
all'estero dello
z. Dopo la seconda guerra mondiale, nonostante i
perfezionamenti dei metodi usati (introduzione dell'arricchimento per
flottazione) l'industria nazionale non poté tenere il passo con i metodi
assai più economici utilizzati negli USA e nei nuovi giacimenti scoperti
in Messico, Francia, Canada e Polonia. La produzione nazionale, che per due
millenni era stata la principale nel mondo, non è più sufficiente
per i bisogni interni e rappresenta ormai una piccola percentuale del totale
mondiale. Negli anni Novanta la produzione mondiale di
z. nativo ha
raggiunto circa 10 milioni di t, molto inferiore alla produzione dei decenni
Sessanta e Settanta. La produzione è largamente dominata dagli USA e
dalle Repubbliche ex-sovietiche, Paesi che, con la Cina, il Canada e la Polonia,
arrivano a coprire oltre la metà del totale. I metodi per la produzione
di
z. elementare, come appare dalla storia sintetica della produzione di
questo elemento, sono essenzialmente due: i calcaroni e il metodo Frasch.
Esaminiamoli separatamente. A)
Metodo Calcaroni: questo metodo,
vecchio di due millenni, è stato impiegato fino alla fine del secolo
scorso. Il minerale estratto dalla miniera viene accatastato dentro un forno
scoperto, costruito in muratura, su un pendio inclinato; nella sua forma
più semplice è un muro circolare con opportune aperture. La pila
di minerale, detta
calcarone, viene fatta alla rinfusa, salvo in certe
zone ordinate in modo da lasciare dei camini verticali che attraversano tutta la
massa. Si copre con minerale fine e poi con minerale esausto, frutto di una
precedente operazione di estrazione. Si accende il calcarone nella parte bassa e
si lascia procedere per qualche giorno: una parte dello
z. brucia con
aria a SO
2, mentre la parte restante, per effetto del calore generato
dalla combustione, fonde e scende sul fondo inclinato, da cui esce e viene
recuperata fusa. Il rendimento è del 60÷65% dello
z. presente
nel minerale in quanto una parte del calore va persa anche per riscaldare la
ganga del minerale, che resta nel forno e va rimossa al termine del ciclo. A
parte i problemi di inquinamento che un simile metodo comporterebbe oggi, il
rendimento è decisamente basso. Un perfezionamento si ebbe con
l'introduzione dei
forni Gill: il processo si basa sempre sulla
generazione di calore per combustione di una parte dello
z., ma si opera
in forni con recupero del calore, per cui il rendimento complessivo giunge al
70÷75% dello
z. del minerale. Se prima di caricare i forni si opera
una concentrazione del minerale mediante flottazione, con eliminazione della
maggior parte della ganga, il rendimento può essere superiore e i gas
uscenti possono essere trattati per il recupero della SO
2 per
fabbricare acido solforico. Lo
z. prodotto con questi metodi ha
però una purezza limitata al 98% circa, dato che contiene delle ceneri di
minerale. La purificazione si esegue per distillazione e condensa in opportune
camere fredde: sul fondo si recupera
z. in pani, mentre sulle pareti si
forma una polvere detta
fiori di z. B)
Metodo Frasch: questo
metodo permette lo sfruttamento dei ricchi depositi lenticolari scoperti
dapprima negli USA e poi in diverse nazioni, producendo direttamente uno
z. al 99,5%, quanto basta per molte applicazioni. Il metodo si basa sul
fatto che simili giacimenti sono compresi fra due strati abbastanza compatti e
opera una fusione in loco dello
z. e la fuoruscita del liquido alla
superficie, dove viene raccolto in grandi bacini per la solidificazione. Si
attua una perforazione fino alla lente di
z. attraverso il letto
sovrastante, immergendo un tubo di 20 cm circa di diametro fin quasi al fondo
del giacimento. Questo tubo porta numerosi fori nella sua parte terminale
inferiore. All'interno di questo ne viene posto un altro, concentrico, avente un
diametro di circa 10 cm. All'interno del tubo da 10 cm ne viene posto ancora uno
concentrico, da circa 2,5 cm di diametro, un po' più corto dei due
precedenti. Si inizia l'operazione chiudendo il tubo più piccolo e
immettendo negli altri due acqua molto calda sotto pressione: questa a contatto
con lo
z. (che fonde a 119 °C) lo porta a fusione, mentre lo mette
in pressione. Si cessa allora di immettere acqua nel tubo da 10 cm, sempre
immettendone in quello da 20 cm: lo
z. fuso risale allora nel primo tubo
fino a un centinaio di metri o più. A questo punto si manda aria calda
sotto pressione nel tubo da 2,5 cm: questa al termine del tubo, esce in quello
da 10 cm e si mescola con lo
z. fuso, formando una schiuma leggera che
risale nel tubo da 10 cm fino alla superficie. A questo punto l'estrazione
è a regime: basta bilanciare la quantità di acqua calda pompata
nel tubo da 20 cm e l'aria calda pompata in quello da 2,5 cm per avere un getto
continuo di
z. fuso emulsionato con aria da quello da 10 cm. Questo
z. viene convogliato con tubazioni in un grande bacino dove libera l'aria
e solidifica, contenuto da pareti di alluminio. Dopo che si è formato un
certo strato solido, le pareti del bacino possono essere smontate nella parte
più bassa e rimontate in quella più alta perché lo
z. indurito ha una sufficiente consistenza. Si opera continuamente in
questo modo finché si è formato un enorme blocco di
z. alto
10÷15 m e con una pianta di molte centinaia di mq. Si inizia quindi un
nuovo blocco mentre il precedente serve come deposito all'aperto, dato che lo
z. non ha alcuna tendenza ad alterarsi all'atmosfera. Questi blocchi
vengono poi attaccati con macchine simili a quelle utilizzate per scavo e
caricati sui carri ferroviari che li portano alle zone di utilizzo. In certi
casi viene invece rifuso e trasportato in cisterne riscaldate oppure addirittura
in tubazioni pure riscaldate. ║
Metodi di recupero: una parte
consistente dello
z. necessario all'industria viene recuperata per
diverse vie, sia come elemento sia come composto. Le principali sono le
seguenti. A)
Dai gas naturali acidi, che sgorgano attraverso fessure
naturali della crosta terrestre oppure attraverso pozzi appositamente perforati.
Questi gas sono ricchi di acido solfidrico (o idrogeno solforato) H
2S
che viene assorbito mediante soluzione di ammine in appositi assorbitori. La
soluzione viene poi trattata per il recupero dello H
2S e la
rigenerazione; in un successivo reattore il gas ricco in H
2S viene
bruciato in difetto di aria secondo una reazione del tipo:
H
2S + 1/2 O
2 → H
2O
+ S
ottenendo
z. elementare e acqua. Essa avviene incompletamente ma
viene terminata in uno stadio successivo, in presenza di un catalizzatore. Lo
z. raccolto può avere un buon grado di purezza. B)
Dagli
idrocarburi. La necessità di asportare lo
z. dai grezzi o
dagli intermedi di raffineria è nata dapprima come operazione
indispensabile in certe lavorazioni per evitare l'avvelenamento dei
catalizzatori usati in molte reazioni e recentemente anche come esigenza per
rispettare le leggi antinquinamento che impongono dei tenori massimi di
z. a quasi tutti i combustibili liquidi. La
desulfurazione viene
in generale condotta con un processo di trattamento con idrogeno (disponibile in
grandi quantitativi dalle operazioni di
cracking per produrre olefine)
che porta alla formazione di H
2S. Questo gas viene bruciato con
produzione di
z. oppure in impianti che ne effettuano direttamente una
conversione per stadi ad acido solforico, usato in diverse operazioni di
raffinazione degli idrocarburi e di produzione di derivati organici. C)
Dalla
pirite o da altri solfuri metallici. Per la produzione di ferro a partire da
piriti o di altri metalli (nichel, piombo, zinco, rame, ecc.) a partire dai
rispettivi solfuri, si opera dapprima un arrostimento con aria ai rispettivi
ossidi, che vengono poi ridotti a metallo con carbone. In questa operazione lo
z. presente si ossida ad anidride solforosa secondo una reazione del
tipo:
NiS + 3/2 O
2 → NiO +
SO
2
Questa SO
2 viene utilizzata per la produzione di acido
solforico col metodo delle camere a piombo. In Italia per molti anni la
produzione di acido solforico è stata effettuata pressoché solo a
partire da pirite FeS
2, scartando l'ossido di ferro
Fe
2O
3 che se ne otteneva come sottoprodotto. Oggi in
diversi impianti anche questo viene utilizzato per la produzione di ghisa in
altoforno. D)
Dalla distillazione del carbon fossile. Nella distillazione
per produrre coke metallurgico o gas illuminante si ottiene una frazione gassosa
relativamente ricca in H
2S che viene recuperato per assorbimento su
una massa di ossido ferrico idrato (
massa di Lamig); esponendo questa
all'aria umida si libera
z. che viene recuperato. E)
Dal gesso.
Alcune industrie europee hanno introdotto dei processi di produzione di acido
solforico a partire da gesso, trattato a caldo con carbone e sabbia; come
sottoprodotto, indispensabile per rendere economico il processo, si ha del
clinker, miscuglio di ossidi e silicati usato per la composizione del
cemento Portland. Altri solfati possono essere lavorati per il recupero dei
metalli che contengono, avendo
z. o SO
2 come sottoprodotto. F)
Per via biologica. La scoperta di alcuni ceppi di microrganismi che
operano una riduzione dei solfati o dei solfuri a
z. elementare ha aperto
la speranza di poter giungere per questa via al trattamento di enormi depositi
sedimentari di materiale solforato per ricavare economicamente
z. Non si
prevede però che questo metodo possa avere un'applicazione se non in un
futuro ancora lontano. Di tutti questi metodi, il più importante appare
oggi il primo, cioè il recupero di H
2S dai gas naturali acidi.
In Francia il giacimento di Lacq, nei Pirenei, lavora una falda gassosa, posta a
una profondità fra i 3.000 e i 5.000 m, con una pressione di 650÷700
atmosfere, contenente al 15% di H
2S, oltre a butano, propano e altri
gas in quantità minore. Attraverso lo sfruttamento di risorse di questo
genere, Francia e Canada si stanno contendendo il secondo posto nel mondo per la
produzione di
z. ║
Composti: i composti dello
z. sono
numerosissimi e molti di essi hanno grande importanza industriale; ci si
limiterà quindi a citare i principali. ║
Composti non
ossigenati: il più importante è l'
acido solfidrico
H
2S, un gas detto anche
idrogeno solforato o
solfuro di
idrogeno che bolle a -59,6 e solidifica a -82,9 °C. È molto
tossico e infiammabile. È solubilissimo in acqua, soprattutto a freddo,
ed è dotato di un caratteristico odore di uova putride; è incolore
ma il suo odore pungente ne permette il riconoscimento anche in quantità
minime. Presente nell'aria in piccolissime quantità, è il
principale responsabile dell'annerimento dell'argenteria domestica. È un
energico riducente ed è impiegato per questo da diverse industrie. In
soluzione è un acido debolissimo, spostato da quasi tutti gli altri in
quanto la sua ionizzazione
H
2S → H
+ +
HS
-
non supera l'1% mentre è ancora inferiore la seconda
dissociazione
HS
- → H
+ +
S
2-
Se passato attraverso soluzioni di cationi di molti metalli (piombo,
rame, mercurio, stagno, antimonio, bismuto, cadmio, nichel, zinco, ecc.) in
condizioni di PH opportune dà con estrema facilità i precipitati
dei rispettivi
solfuri (PbS nero, Cu
2S nero, HgS nero, SnS
bruno o SnS
2 giallo, Sb
2S
3 rosso-arancio,
Bi
2S
3 rosso-bruno, CdS giallo limone, NiS nero, ZnS bruno,
ecc.). L'analisi sistematica dei cationi ricorre sovente alla precipitazione di
questi con H
2S; i solfuri sono poi riconosciuti in base al PH di
precipitazione, al colore e alla loro solubilità in diversi reagenti.
Molti minerali sono solfuri o solfuri doppi; rame, piombo, stagno, nichel,
cobalto e alcuni altri elementi sono estratti prevalentemente da solfuri.
L'acido solfidrico forma però anche sali acidi, detti solfuri acidi o
solfidrati; questi si formano anche per idrolisi dei solfuri neutri, per
la bassa ionizzazione dello H
2S. Così il solfuro neutro di
sodio NaS in soluzione genera il solfidrato di sodio NaHS secondo la reazione di
idrolisi:
Na
2S + H
2O → NaHS +
NaOH
I solfuri ottenuti per precipitazione hanno un aspetto e un
comportamento diverso dai solfuri minerali, che sono più cristallini;
diventano simili a essi per fusione. Per assorbimento di
z. in solfuri di
metalli alcalini si possono preparare i
polisolfuri, secondo una reazione
del tipo:
K
2S + (n - 1) S →
K
2S
n
ove
n può avere diversi valori interi, comunemente
compresi fra 2 e 9. I polisolfuri si preparano facilmente anche da basi
organiche e da radicali alchilici. I polisolfuri di idrogeno noti sono
H
2S
2, un liquido giallo detto
disolfuro di idrogeno
e H
2S
3, pure un liquido giallo, detto
trisolfuro di
idrogeno; altri polisolfuri di questo tipo sono stati preparati, ma hanno
interesse solo teorico. Ricordiamo poi che lo
z. può talvolta
sostituire l'ossigeno nei suoi composti e dare dei composti analoghi a quelli
che dà l'ossigeno. I solfuri dei non-metalli possono funzionare come
delle anidridi, dando origine a dei
solfosali, esistenti anche in natura
come minerali, del tipo Na
2AsS
4, solfoarseniato di sodio,
simile all'arseniato di sodio Na
2AsO
4,
K
2CS
3, solfocarbonato di potassio, analogo al carbonato di
potassio K
2CO
3 e così via. Per contro i solfuri dei
metalli possono essere talvolta considerati come delle
solfobasi.
Talvolta i solfosali si possono ottenere dai sali corrispondenti per azione di
H
2S, che provoca la sostituzione di ossigeno con
z.:
Na
3AsO
3 + 3H
2S →
Na
2AsS
3 + 3H
2O
Fra i solfoacidi ricordiamo in particolare l'
acido
solfocarbonico o
tritiocarbonico (il prefisso tio- indica appunto la
presenza di
z.) H
2CS
3 che si decompone facilmente
in solfuro di carbonio e acido solfidrico secondo la reazione:
H
2CS
3 → CS
2 +
H
2S
Molti tiosali sono dotati di elevata stabilità, paragonabile a
quella dei corrispondenti sali contenenti ossigeno. La sostituzione
ossigeno-
z. avviene in rapporto uno a uno, cioè un atomo di
z. si sostituisce a un atomo di ossigeno; naturalmente le caratteristiche
chimico-fisiche dei composti variano con la sostituzione. In chimica organica ad
esempio l'ossigeno forma dei gruppi —OH che danno origine agli
alcoli; parallelamente lo
z. dà dei gruppi —SH che
danno origine ai
tioalcoli o
mercaptani. Indicando con R— un
radicale alchilico. si hanno le seguenti formule
generiche:
R—O—H R—S—H
alcoli
mercaptani
Con gli ossidanti i mercaptani danno facilmente dei
disolfuri, secondo la reazione del tipo:
2R—SH + 1/2 O
2 → H
2O +
R—S—S—R
Analogamente i solfuri alchilici possono essere considerati paralleli
agli eteri, con la sostituzione dello
z.
all'ossigeno:
C
2H
5
—O—C
2H
5
C
2H
5—S
—C
2H
5etere etilico solfuro di etile
per
questo motivo vengono detti anche
tioeteri. Parallelamente ai solfuri si
possono avere anche i
polisolfuri alchilici. ║
Composti con gli
alogeni: lo
z. si combina vivacemente con gli alogeni, eccettuato lo
iodio, formando numerosi composti, alcuni dei quali hanno anche interesse
industriale. Col fluoro si formano composti gassosi, incolori. Fra questi il
più stabile e meglio studiato è l'
esafluoruro
SF
6, un composto chimicamente pressoché inerte e
ininfiammabile, utilizzato come gas isolante per alte tensioni. Il
tetrafluoruro SF
4 viene invece impiegato per fluorurare
composti organici. Col cloro si formano SCl
2,
S
2Cl
2, SCl
4 e S
4Cl
2; in
quest'ultimo composto riappare la tendenza dello
z. a formare catene
—S—S—S— con più atomi di
z., che si
comportano come bivalenti. Il
monocloruro S
2Cl
2
è un liquido giallo, dotato di sgradevole odore, irritante, che bolle a
137 °C e solidifica a -76,5. Viene utilizzato come solvente e nella
vulcanizzazione a freddo della gomma eventualmente in miscela con gli altri
composti
z.-cloro. Si ammette generalmente la
formula:

piuttosto che quella
Cl—S—S—Cl, in accordo con il suo comportamento e con gli
spettri di Raman, che mostrano un doppio legame fra atomi di
z. Gli altri
cloruri hanno scarso interesse pratico. Con il bromo si ottiene solo il composto
S
2Br
2, assai instabile. È da notare poi che il
gruppo SO═ bivalente, detto
tionile dà facilmente alogenuri,
detti anche
ossialogenuri di
z., quali ad esempio SOF
2,
SOCl
2, SOBr
2 e SOClF. Fra gli alogenuri di solforile
ricordiamo SO
2F
2, SO
2Cl
2 e
SO
2ClF. Da questi composti, per sostituzione di un alogeno con un
gruppo —OH, si possono pensare derivati gli
acidi alosolfonici come
HOSO
2Cl e HOSO
2F. Il primo di questi, detto anche
acido
clorosolfonico o
cloridrina solforica (in quanto può pensarsi
derivato dall'acido solforico (HO)
2SO
2 per sostituzione di
un —OH con un cloro) si ottiene per azione diretta di SO
2 sul
cloro Cl
2 gassoso, catalizzando con radiazioni luminose o composti
organici tipo canfora. È un liquido incolore, di odore sgradevole, che
bolle a 69 °C e solidifica a -54 °C. All'aria umida fuma fortemente
perché l'acqua lo decompone violentemente. Può venir impiegato in
chimica organica per trasformare gli acidi carbossilici in cloruri acilici, per
sostituzione di un —OH con un cloro; si usa anche per effettuare la
solfonazione (V.), cioè
l'introduzione di gruppi —SO
3H fortemente acidi su molecole
organiche. Questo impiego ha un notevole sviluppo, in quanto i derivati
solfonati hanno grande diffusione nella fabbricazione di detersivi, resine
scambiatrici di ioni e così via. ║
Ossidi: lo
z.
forma con l'ossigeno diversi composti binari, alcuni dei quali di grandissimo
interesse industriale. I composti finora accertati sono ben 7 e
precisamente:
S
2O sottossido di
z.
SO monossido di
z.
S
2O
3 sesquiossido di
z.
SO
2 diossido di
z. o anidride
solforosa
SO
3 triossido di
z. o anidride
solforica
S
2O
6 triossido di
z.
dimero
S
2O
7 eptossido di
z.
SO
4 tetrossido di
z.
Le caratteristiche
principali dei meglio caratterizzati sono raccolte nella seguente
tabella:
Composto
|
Punto di fusione (°C)
|
Punto di ebollizione (°C)
|
Reazione con acqua
|
S2O3
|
70 (d.)
|
-
|
d. a dare S + vari acidi
|
SO2
|
-75,5
|
-10,0
|
solubile senza d.
|
SO3
|
16,8
|
44,6
|
d. a dare H2SO4
|
S2O6
|
50
|
d.
|
d. a dare H2SO4
|
S2O7
|
0
|
10 (s.)
|
d. a dare H2SO4
|
SO4
|
3 (d.)
|
-
|
d.
|
d. = decomposizione; s. = sublima.
Consideriamo ora
singolarmente i vari composti sopra citati. A)
Sottossido S
2O:
si forma per combustione di
z. in ossigeno a circa 600 °C e a
pressione ridotta. È un gas incondensabile anche alla temperatura
dell'aria liquida. Ha solo interesse teorico. B)
Monossido SO: detto
anche
protossido di
z., si forma per scariche elettriche a bassa
pressione in una atmosfera di SO
2 +
z. a 150÷200 °C.
È un gas condensabile alla temperatura dell'aria liquida con formazione
di un solido rosso-arancio, stabile solo a pressione ridotta. Si presume che
allo stato gassoso abbia molecole dimere (SO)
2, mentre allo stato
solido dovrebbe essere formato da lunghe catene
—S—O—S—O—. Con acqua reagisce dismutando in acido
solfidrico e solforoso:
3SO + 3H
2O → H
2S +
2H
2SO
3
mentre con i metalli reagisce dando solfuri. C)
Sesquiossido
S
2O
3: si ottiene per reazione fra SO
3 e
z. e si decompone facilmente rigenerando gli stessi
reagenti:
S
2O
3 → S +
SO
3
Si presenta come un liquido azzurro che solidifica in un solido
verde-azzurro; con acqua si decompone con formazione di
z. acido
solforoso, acido solforico e acidi politionici (V.
OLTRE). D)
Anidride solforosa SO
2: è presente in
alcune acque termali, come pure in emanazioni gassose e in certi soffioni. Si
forma quantitativamente per combustione e arrostimento di solfuri dello
z. in aria o in ossigeno; è un gas incolore, dal caratteristico
odore soffocante, tossico. Per le sue proprietà battericide e
disinfestanti è stata impiegata per lungo tempo per combustione di
quantità limitate di
z. Si forma anche per combustione degli
idrocarburi che contengono sempre aliquote più o meno elevate di
z. Insieme all'ossido di carbonio è uno dei principali
responsabili delle cattive condizioni ambientali che si creano nelle grandi
città o nelle zone a elevata concentrazione industriale. È un gas
facilmente coercibile (temperatura critica + 157,2 °C, pressione critica
77,7 atmosfere) e fu infatti uno dei primi liquefatti (bolle a -10 °C a
pressione ambiente). Presenta un notevole calore di evaporazione; abbassando
moderatamente la pressione sul liquido lo si può raffreddare per
evaporazione anche a -50 °C; per questo motivo viene talvolta impiegato
come fluido refrigerante per impianti industriali. Liquefatta, l'
anidride
solforosa scioglie bene diversi sali, assumendo colorazioni spesso
caratteristiche, dando soluzioni che conducono la corrente e possono essere
elettrolizzate. In acqua è solubile, soprattutto a freddo: 79,8 litri per
litro di acqua a 0 °C e 39,4 litri a 20 °C; dalla soluzione viene
eliminata completamente per ebollizione. In presenza di altri sali si può
avere precipitazione di sali, detti
solfiti, derivanti da un
acido
solforoso H
2SO
3 non isolabile
(V. OLTRE). Trova qualche impiego in quanto tale
come agente sbiancante, come antifermentativo per vini, mosti e conserve, come
fluido refrigerante, come disinfestante per grandi ambienti, soprattutto in
presenza di sostanze alimentari. Il suo impiego essenziale è però
come soluzione intermedia per la fabbricazione di anidride solforica
SO
3, nella quale si trasforma anche per semplice ossidazione con
aria:
SO
2 + 1/2 O
2 → SO
3
Industrialmente questa reazione viene condotta a temperature sui
450÷600 °C, catalizzando con anidride vanadica
V
2O
5 supportata su composti di potassio e silicati; si
opera circa a pressione ambiente in un reattore a strati, con temperatura
decrescente dal primo all'ultimo in quanto, essendo la reazione esotermica, il
suo grado di completamento è tanto più alto quanto minore è
la temperatura. Viene anche commerciata in bombole a pressione, allo stato
liquido. E)
Anidride solforica SO
3: si forma anche, sia pure
in minima quantità accanto alla SO
2 nella combustione dello
z.; nell'arrostimento delle piriti se ne forma una quantità
insignificante. Si forma per ossidazione con aria od ossigeno della
SO
2 a temperatura moderatamente elevata; la reazione è
catalizzata da molte sostanze fra cui platino, asbesto platinato, anidride
vanadica. Un riscaldamento ad alta temperatura provoca invece la dissociazione
di nuovo in SO
2 e ossigeno:
2SO
3 → 2SO
2 + O
2
La reazione è praticamente completa sui 1.000 °C. Si
può produrre anche per decomposizione termica di certi solfati, ad
esempio quello di ferro (ferroso):
Fe
2 (SO
4)
3 → Fe
2O
3 + SO
3
oppure dell'acido solforico fumante:
H
2S
2O
7 → H
2SO
4 + SO
3
Con acqua reagisce violentemente, con formazione di acido
solforico:
SO
3 + H
2O →
H
2SO
4
La reazione è fortemente esotermica (23,2 kcal/mole di
SO
3). La SO
3 si scioglie anche nell'acido solforico
stesso, con formazione di acido solforico fumante o acido
pirosolforico:
H
2SO
4 + SO
3 →
H
2S
2O
7
Con gli ossidi dei metalli reagisce energicamente, formando i
rispettivi solfati. È anche un ossidante abbastanza energico, dato che si
può ridurre a SO
2 cedendo ossigeno. Si può ottenere in
tre forme, designate α, β e γ. La forma α è la
comune, che fonde a 16,8 °C e bolle a 44,6 °C; la sua molecola appare
costituita effettivamente da SO
3 come tale. La forma β si
ottiene in presenza di tracce di umidità e appare piuttosto come un
polimero composto da lunghe catene di gruppi SO
3 legati fra loro a
costituire delle macromolecole; si forma quantitativamente se si condensa
SO
3 alla temperatura dell'aria liquida in presenza di umidità.
Fonde a 32,5 °C e dà con acqua le stesse reazioni della forma
α, sia pure meno rapidamente; per riscaldamento a 50 °C sublima. La
forma γ appare condensando α—SO
3 alla temperatura di
-80 °C in assoluta assenza di umidità; si presume che le sue
molecole siano trimere, cioè (SO
3)
3. Si presenta
come un solido simile al ghiaccio, che fonde a 16,8 °C e per riscaldamento
rigenera α—SO
3. È molto più reattiva delle
altre due forme. Le interrelazioni fra queste non sono però ben chiarite;
secondo alcuni autori la forma β addirittura non esisterebbe e sarebbe una
varietà della forma γ. Come tale l'anidride solforica viene usata
essenzialmente per solfonazioni, cioè per introdurre il gruppo
—SO
3H in molecole organiche, la stragrande maggioranza viene
invece convertita in acido solforico o pirosolforico per assorbimento
rispettivamente in acqua o in acido solforico. F)
Triossido dimero
S
2O
6 ovvero (SO
3)
2: questo composto
sembra formarsi in particolari condizioni ma la sua esistenza non è
accertata; secondo alcuni si tratterebbe nient'altro che di una forma intermedia
del sistema complesso della SO
3. G)
Eptossido
S
2O
7: è una sostanza che si produce mediante
scariche elettriche in un'atmosfera di SO
2 o SO
3, ozono e
vapori di
z. Non è nota esattamente la sua struttura che, a quanto
pare, contiene dei ponti perossidici —O—O——. Ha
interesse solo teorico. H)
Tetraossido SO
4: anche questo
è un composto instabile, avente interesse solo teorico. Si forma per
scariche elettriche attraverso una miscela di SO
2 + O
2 a
pressione ridotta. È un energico ossidante. ║
Acidi
ossigenati: lo
z. dà origine a una vasta serie di acidi,
alcuni dei quali sono di importanza capitale per l'industria chimica. La maggior
parte di questi si possono pensare derivati dagli ossidi per idratazione, ma in
molti casi la derivazione è solo formale. Esaminiamo brevemente i
principali, che sono raccolti nella seguente tabella con la loro denominazione e
quella dei loro sali neutri
Formula
|
Acido
|
Anidride corrispondente
|
Nome dei sali
|
H2SO2
|
solfossilico
|
SO
|
solfossilati
|
H2S2O2
|
tiosolforoso
|
S2O
|
tiosolfiti
|
H2S2O3
|
tiosolforico
|
SO
|
tiosolfati
|
H2S2O5
|
pirosolforoso
|
SO2
|
pirosolfiti
|
H2S2O4
|
idrosolforoso
|
S2O3
|
idrosolfiti
|
H2SO3
|
solforoso
|
SO2
|
solfiti
|
H2SO4
|
solforico
|
SO3
|
solfati
|
H2S2O7
|
pirosolforico
|
SO3
|
pirosolfati
|
H2SnO6
|
politionici
|
-
|
politionati
|
H2S2O8
|
perossidisolforico
|
S2O7
|
perossidisolfati
|
H2SO5
|
monopersolforico
|
SO4
|
monopersolfati
|
Si osservi che la derivazione dall'anidride in alcuni casi è
puramente formale. I principali acidi derivanti dallo
z. verranno ora
descritti brevemente. A)
Acido solfossilico H
2SO
2:
la dissoluzione di SO in soluzione di basi forti dà origine a sali detti
solfossilati, del tipo K
2SO
2; l'acido libero non si
può però isolare. I sali inorganici sono molto instabili; i
derivati organici sono più stabili; qualcuno di questi è usato
come colorante. B)
Acido idrosolforoso
H
2S
2O
2: anche di questo sono noti solo i sali,
poco stabili. Non ha interesse pratico. C)
Acido tiosolforico
H
2S
2O
3: non è noto allo stato libero ma
i suoi sali, detti tiosolfati, sono stabili in soluzione basica e allo stato
solido. Si possono preparare per ebollizione di un solfito alcalino in soluzione
con
z. oppure per ossidazione di disolfuri all'aria o ancora per azione
della SO
2 su solfuri alcalini in soluzione o trattamento dei
politionati con basi forti. Le indagini hanno mostrato che questo acido è
fondamentalmente strutturato come l'acido solforico H
2SO
4,
con la sostituzione di un ossigeno con uno
z.:

donde si ha il prefisso
tio-. È interessante il fatto che
in questo caso lo
z. nella molecola è presente con numero di
ossidazione diverso per i due atomi: +6 per uno e -2 per l'altro. Fra i sali
più importanti cui dà origine ricordiamo il
tiosolfato
sodico Na
2S
2O
3 in commercio nella forma
idrata Na
2S
2O
3·· 5 H
2O col
nome di
iposolfito sodico, un sottoprodotto della fabbricazione di
coloranti allo
z. o del solfuro sodico. Questo composto è di uso
corrente in fotografia per il fissaggio di pellicole e lastre: dopo lo sviluppo,
che ha decomposto gli alogenuri di argento colpiti dalla luce, occorre rimuovere
quelli non decomposti, operazione detta appunto
fissaggio. Il tiosolfato
sodico in soluzione acquosa esplica un'azione di dissoluzione attraverso la
formazione di ioni complessi contenenti argento, del
tipo
[Ag(S
2O
3)
2]
3-In
questa applicazione è talvolta sostituito con il tiosolfato di ammonio
(NH
4)
2S
2O
3, che esplica un'azione
più rapida. D)
Acido pirosolforoso
H
2S
2O
5: se ne conoscono solo i sali, detti
pirosolfiti, aventi formula del tipo
K
2S
2O
5, che possono pensarsi derivati dai
solfiti per perdita di una molecola di acqua. E)
Acido idrosolforoso
H
2S
2O
4: è detto anche
iposolforoso o
ditionoso; i sali saranno quindi detti
idrosolfiti,
iposolfiti o
ditioniti. Non è mai stato
isolato libero ma la sua formazione in soluzione appare certa; ad esempio
è noto da tempo che lo zinco si scioglie in acido solforoso senza
svolgimento di idrogeno appunto perché si forma questo acido. I suoi sali
si preparano per azione di zinco su soluzioni di solfiti alcalini oppure per
riduzione catodica degli stessi. La prima reazione è del
tipo:
Zn + 2H
2SO
3 → ZnS
2O
4 + 2H
2O
Nella soluzione acida questi sali si decompongono, anche se lentamente;
sono abbastanza stabili se cristallini. I ditionati alcalini, soprattutto quello
di sodio, noto col nome di
idrosolfito sodico, sono impiegati in diversi
campi e particolarmente in tintoria, come agenti riducenti. È da notare
che nella terminologia corrente si chiama iposolfito sodico anche il tiosolfato
sodico, perpetuando un errore tradizionale. F)
Acido solforoso
H
2SO
3: la soluzione di SO
2 in acqua dà
origine a un acido H
2SO
3 non isolabile se non in forma dei
suoi sali, detti
solfiti se neutri o
bisolfiti se acidi. Dalle
soluzioni è stato però cristallizzato una SO
2
eptaidrata SO
2 · 7 H
2O che potrebbe scriversi anche
come acido esaidrato H
2SO
3 · 6 H
2O. Si
tratta di un acido abbastanza forte, almeno come prima dissociazione (costante
di dissociazione: K
1 = 1,54 · 10
-2 e K
2 =
1,02 · 10
-7 a 18 °C). È dimostrato che questo acido
in soluzione presenta il fenomeno della
tautomeria, essendo in equilibrio
fra due forme, l'una delle quali bibasica e l'altra
monobasica:

Esso generalmente reagisce come la prima
formula; nei composti chimici si comporta invece preferibilmente come nella
seconda. Diversi solfiti danno largo impiego industriale. Fra questi ricordiamo
il
solfito sodico Na
2SO
3, usato in fotografia e
come antisettico, il solfito acido o
bisolfito sodico NaHSO
3,
usato come antifermentativo e conservante, il
bisolfito di calcio
Ca(HSO
3)
2 usato nella fabbricazione della cellulosa di
legno. G)
Acido solforico H
2SO
4: la sua
fabbricazione assorbe l'87% di tutto lo
z. o composti solforati prodotti
nel mondo. A sua volta è usato soprattutto (60% circa) per la produzione
di fertilizzanti; altri impieghi (in ordine di importanza quantitativa) si hanno
nella fabbricazione di prodotti chimici diversi, in metallurgia delle leghe
ferrose e non ferrose, nella produzione di resine e materie plastiche (incluse
le fibre tessili) e nella lavorazione del petrolio. I suoi sali, detti
solfati, sono diffusissimi in natura: ricordiamo ad esempio l'anidrite
CaSO
4, il gesso CaSO
4 · 2 H
2O e tutti gli
allumi (solfati di alluminio, potassio ed eventualmente altri elementi). Di
questo composto è trattato diffusamente alla voce
acido solforico;
i suoi sali principali sono descritti a proposito dei singoli metalli. H)
Acido pirosolforico H
2S
2O
7: detto anche
acido
solforico fumante o acido
pirosolforico od
oleum (per
il suo aspetto di liquido oleoso), si forma per addizione di SO
3
all'acido solforico, secondo la reazione:
H
2SO
4 + SO
3 → H
2S
2O
7
Si presenta come un liquido denso (peso specifico 1,85÷1,95
secondo la concentrazione in SO
3; il prodotto secondo la formula ha
peso specifico 1,858 a 20 °C) incolore o, se impuro, leggermente
giallognolo; puro fonde a 35,15 °C e si decompone prima di bollire.
Reagisce violentemente con acqua, provocandone un forte riscaldamento e dando
H
2SO
4. Il suo nome deriva dal fatto che formalmente si
può ottenere da due molecole di acido solforico per eliminazione di una
molecola di acqua; la sua formula di struttura comprende un ponte ossigeno fra i
due atomi di
z:

Il prodotto commerciale
contiene sempre una parte di SO
3 in soluzione, per cui è
liquido a temperatura ambiente; in questa forma si può conservare in
recipienti di ferro che esso non attacca se non in presenza di acqua. I)
Acidi politionici H
2S
nO
6: si tratta di
una serie di acidi nei quali
n può variare da 2 (acido ditionico)
a 6 (acido esationico) e forse anche più. Il ditionico è noto
anche libero, gli altri solo in forma di sali (tritionati, tetrationati, ecc.).
A questi acidi si attribuisce generalmente una formula in cui compaiono due
gruppi monovalenti —SO
3H legati fra loro da una catena di atomi
di
z. del tipo —S—S—. Come esempio riportiamo le
formule del ditionico e del trionico:

Questi acidi danno sali
che si possono produrre in vari modi (ad esempio per azione di SO
2
sui tiosolfati in presenza di AS
2O
3) e trovano qualche
applicazione pratica. L)
Acido perossidisolforico
H
2S
2O
8: detto anche
persolforico o
dipersolforico, è stato isolato in forma di un solido cristallino
igroscopico, che fonde a 65 °C decomponendosi. I suoi sali, detti
persolfati, sono energici ossidenti, come l'acido stesso. Questo per
riscaldamento a 100 °C in soluzione si decompone generando acqua ossigenata
H
2O
2. Questa reazione viene utilizzata industrialmente per
produrre H
2O
2 in celle elettrolitiche: si opera
un'elettrolisi di una soluzione contenente solfato acido di ammonio e solfato
acido di sodio; all'anodo si forma per ossidazione dell'acido persolforico che
con il potassio dà un precipitato di
K
2S
2O
8. Questo viene distillato nel vuoto in
presenza di acqua e H
2SO
4 ottenendo acqua ossigenata
secondo una reazione del tipo:
H
2S
2O
8 + 2H
2O → 2H
2SO
4 + H
2O
2
Nella distillazione si forma in realtà del solfato acido di
potassio che ritorna nella cella. M)
Acido monopersolforico
H
2SO
5: viene anche detto persolforico, ma questa
denominazione è da evitare perché si confonde con quella
(abituale) dell'acido del punto precedente; alternativamente viene anche detto
acido di Caro. Si forma per azione di acido solforico sui persolfati e ha
effettivamente la struttura in un perossido:

Si
può isolare allo stato solido in cristalli che fondono a 45 °C;
è un energico ossidante. A differenza di tutti gli altri acidi, non ne
sono noti sali stabili e cristallizzabili. N)
Acido solfammico
H(NH
2)SO
3: si può considerare come la monoammide
dell'acido solforico, visto che ha formula di struttura:

È un acido monobasico in quanto l'unico idrogeno sostituibile
con cationi metallici è quello del gruppo —OH. Gli idrogeni del
gruppo —NH
2 a loro volta possono essere sostituiti da radicali
alchilici, come nelle ammine primarie. Il cicloesilfammato di ammonio (noto col
nome commerciale di
ciclammato) viene utilizzato come dolcificante per
bevande e altri generi alimentari (anche se di recente sono state avanzate
riserve sulla sua innocuità). I sali dell'acido solfammico non sostituito
nel gruppo —NH
2, detti
solfammati, sono dotati di ottima
solubilità in acqua, salvo rare eccezioni. I solfammati di molti metalli
pesanti (rame, nichel, piombo, stagno, ecc.) vengono utilizzati in soluzioni da
elettrolizzare o per la raffinazione dei metalli stessi o per la loro
deposizione catodica a scopo protettivo. Il solfammato di ammonio
(NH
4)SO
3NH
2 viene diffusamente impiegato come
diserbante e per il trattamento di tessuti per renderli ininfiammabili. ║
Composti organici: lo
z. entra a far parte delle molecole di
moltissime sostanze organiche, alcune delle quali presentano un forte interesse
industriale. Ci limitiamo qui a citare solo le principali, dividendole per
classi. A)
Mercaptani: si è già detto che hanno una formula
generale simile a quella degli alcoli, ove l'ossigeno venga sostituito con
z. bivalente. Detto R— un radicale alchilico, hanno formula
generale R—S—H. Si preparano per alchilazione di acido solfidrico o
dei suoi sali acidi, i solfidrati, mediante alogenuri o solfati alchilici,
secondo una reazione di questo tipo:
R—Cl + KSH → KCl + R—SH
Si possono anche ottenere per alchilazione
della tiourea, seguita da idrolisi oppure per riduzione di altri composti
colorati come i disolfuri o i solfocloruri. Con le basi danno dei sali, detti
mercapturi, per sostituzione dell'idrogeno del gruppo —SH, che ha
deboli proprietà acide. Se trattati con ossidanti danno i
disolfuri:
2R—SH + 1/2 O
2 → R—S—S—R + H
2O
mentre con gli ossidanti energici danno acidi dialchil-solfonici:

Diversi mercaptani trovano impiego come intermedi per
sintesi chimiche, come reagenti di laboratorio e per preparazioni farmaceutiche,
oltre che in vari altri campi. B)
Tioeteri o
solfuri alchilici:
possono essere considerati i sali dell'acido solfidrico con radicali alchilici,
dato che hanno formula generica R—S—R', ove R'— può
anche essere uguale ad R-. Si preparano dai solfuri inorganici con alogenuri
alchilici o dai mercapturi. Sono liquidi insolubili in acqua, molto reattivi,
utilizzati per sintesi chimiche. C)
Polisolfuri alchilici: si conoscono i
disolfuri R—S—S—R', i trisolfuri
R—S—S—S—R', ecc., analoghi ai solfuri alcalini. Si
tratta di composti che non danno il parallelo fra quelli ossigenati, confermando
la maggior tendenza dello
z. a dare ponti —S—S—S—
anche con molti atomi. D)
Acidi alchilsolfonici: sono composti che si
possono pensare derivati dall'acido solforico H
2SO
4 per
sostituzione di un gruppo —OH con un radicale alchilico o arilico; hanno
quindi formula generica R—SO
3H ovvero:

L'idrogeno del gruppo —OH è fortemente acido e può
essere facilmente sostituito con metalli. I sali di questi composti vengono
utilizzati in grandi quantitativi come sostanze detergenti; resine solfonate
(cioè nelle quali sono stati introdotti gruppi solfonici) sono usate per
scambio ionico. Gli acidi alchilsolfonici aromatici sono utilizzati in grande
quantità come intermedi per sintesi chimiche in quanto il gruppo
solfonico può essere facilmente sostituito con altri gruppi funzionali.
Si preparano per solfonazione diretta degli idrocarburi, per alchilazione di
solfiti o per ossidazione di mercaptani con acido nitrico. E)
Altri
composti: come i mercaptani e i tioeteri, si possono avere anche altre serie
di composti come le
tioammidi, parallele alle ammidi,
tiochetali,
paralleli ai chetali,
tioaldeidi, parallele alle aldeidi,
tioglicoli, paralleli ai glicoli e così via. Fra questo enorme
numero di composti ricordiamo solo alcuni dei più significativi. La
tiourea è simile alla urea anche nei metodi di preparazione, oltre
che come formula:

È un importante intermedio per
sintesi. I
tiocianati R—S—C≡N sono simili per formula
ai cianati R—O—C≡N e hanno usi simili. Passando ai composti
ciclici, è da notare anche qui uno stretto parallelismo con i derivati
dell'ossigeno: ad esempio si hanno con facilità i
tiofenoli, ecc.
Molti derivati dello
z. sono preziosi perché l'atomo di
z.
è più facilmente sostituibile con azoto di un atomo di ossigeno
posto nella stessa posizione. Molte sostanze contenenti
z. hanno
importanti applicazioni anche in medicina. Citiamo come esempio la
solfammide o
solfanilammide, un composto avente
formula:

che è il capostipite dei
solfammidici, importanti farmaci di difesa contro le infezioni da cocchi.
Essa non è altro che l'ammide dell'
acido
solfanilico:

un acido solfonico da cui derivano veri
importanti composti. Parecchi
acidi naftol-sonici vengono correntemente
utilizzati per sintesi di sostanze medicinali e coloranti. Fra i composti
eterociclici che contengo
z. nell'anello occorre ricordare principalmente
i seguenti:

Il
tiofene viene prodotto in grandi
quantità in quanto intermedio per sintesi: il suo anello è
presente anche in certe sostanze naturali. In piccole percentuali
(0,1÷0,5%) è presente nel benzene recuperato dal catrame di carbone
fossile. Nell'ambito dei composti dello
z. occorre ancora ricordarne uno
importantissimo, l'
acido α-lipoico (o
tiottico):

che è uno degli acidi grassi
essenziali (vitamina F) che devono essere assunti per il corretto funzionamento
del nostro organismo. Questo acido è presente nella maggior parte dei
tessuti animali e vegetali; nel metabolismo dei carboidrati si comporta come la
base di un sistema ossido-riduttivo attraverso il quale si compie il ciclo di
ossidazione degli alimenti. La forma ossidata sopra riportata è infatti
in grado di assumere un gruppo acetilico per apertura del doppio legame, con
formazione dell'
acido S-acetil-α-lipoico:

Questo reagisce con il
coenzima A, acetilandolo ad
acetil-coenzima A e trasformandosi in
acido α-lipoico
ridotto:

A sua volta questo si riossida ad acido
α-lipoico per azione del DPN (difosfopiridina nucleotide) che si riduce.
Una classe a parte di importanti composti organici dello
z. è
costituita dai cosiddetti
coloranti allo z. che si ottengono per
riscaldamento di composti organici con polisolfuri alcalini o
z.
elementare. Sono insolubili in acqua, quindi ben resistenti ai lavaggi, e
particolarmente adatti per il cotone. • Bioch. - Lo
z. costituisce
lo 0,017% della biosfera (complesso di tutti gli organismi viventi sul pianeta)
ed entra nella composizione di importanti proteine e altre sostanze. Lo
z. è un costituente essenziale degli organismi animali, nei quali
è presente essenzialmente come acido solforico, acido solfocianico e come
gruppo solfidrilico. Lo
z. costituisce inoltre il centro reattivo di
molti enzimi, ai quali permette di svolgere la loro funzione catalizzatrice.
• Med. -
Tecnopatie da z.: serie di disturbi dovuti al prolungato
contatto con solfuro di carbonio, idrogeno solforato, anidride solforosa e acido
solforico. La cura è diversa a seconda dei casi.
Zolfo traslucido in cristalli con calcite