Dottrina e pratica di una scuola buddhista sviluppatasi in
Cina verso la fine dell'VIII sec. e passata successivamente in Giappone.
Pressoché sconosciuto in Occidente sino all'inizio del XX sec., lo
Z. (il termine giapponese deriva dal cinese
ch'an o
shan,
trascrizione del sanscrito
dhyana, indicante uno stato di alta coscienza)
andò interessando un numero crescente di studiosi e facendo numerosi
proseliti in Stati Uniti e in Europa. Indicato come una "trasmissione
diretta dell'
illuminazione, al di fuori delle Scritture", il
Buddhismo zen risente molto dell'influenza del Taoismo, con riferimento
particolare all'inclinazione taoista per l'"attimo" e al dinamismo
insito nell'idea stessa del Tao (incessante, momentaneo corso delle cose),
rispetto a quella indiana del Brahman (eterno e immutabile). I Cinesi andarono
infatti sviluppando una forma di Buddhismo diversa da quella hindu, rifiutandone
la tendenza a cercare la saggezza nell'abbandono del mondo, quale atto
necessario per raggiungere elevati stati di coscienza. I maestri zen non
considerarono la vita pratica come un ostacolo per raggiungere il segreto
dell'
illuminazione, ossia per penetrare nella propria natura-Buddha, data
la possibilità di entrare all'improvviso, nell'attimo che non si
può fermare, in contatto diretto con la verità. Ne consegue
l'affermazione dell'impossibilità di trasmettere verbalmente il segreto
dell'
illuminazione e di racchiuderlo entro sistemi di idee determinanti.
Da qui il rifiuto di ogni insegnamento dottrinale e di ogni studio di scritture.
Secondo i maestri zen, per giungere all'
illuminazione, ossia
all'esperienza primaria della realtà, è necessario rendersi conto
che il conoscere intellettualmente le cose è solo un
"pensare" intorno ad esse, e rendersi conto che le emozioni non sono
un "sentire" le cose, ma la nostra reazione ad esse. Pertanto, per
giungere all'
illuminazione non serve l'intelletto, ma una più alta
facoltà della mente, detta
Buddhi, una specie di intuizione,
chiamata anche "Occhio dello Spirito", non spiegabile, ma
ricercabile. Essa corrisponde allo stato di elevata coscienza, di fusione con la
"Realtà suprema dell'Universo", la stessa cui giunge lo Yogi,
ma accessibile anche senza sottoporsi alla solitaria meditazione di questi e
senza dover abbandonare le attività della vita quotidiana. • St. -
Il Buddhismo raggiunse la Cina nel VI sec. nella forma eterodossa detta Mahayana
(V. BUDDHISMO), per opera del patriarca
Bodhidharma. Questi si rifiutò di racchiudere in formule intellettuali
una saggezza che poteva essere trasmessa solo a chi già fosse preparato a
riceverla, in accordo col Taoismo cinese. A Bodhidharma, che era giunto in Cina
nel 527, ottenendovi la protezione dell'imperatore Wu, fecero seguito cinque
altri patriarchi, sotto l'ultimo dei quali, Hui Neng venne cancellato quanto
ancora rimaneva dell'intellettualismo buddhistico indiano, sostituendo al metodo
della comprensione graduale quello della comprensione improvvisa, ossia
dell'
illuminazione. Il Buddhismo zen introdotto in Cina nell'ultimo
periodo della dinastia T'ang, si andò sviluppando sotto le dinastie Sung
e Yuan (731-1367), in coincidenza con l'epoca d'oro della cultura cinese. Verso
il 1280, cominciò a diffondersi un'altra forma di Buddhismo, basata sul
culto di Amitabha, personificazione della "luce infinita", che si
affermò in breve tempo come la forma più popolare di Buddhismo
Mahayana. Si venne allora a creare una nuova divisione in due scuole e, col
tramontare dell'età aurea della cultura cinese, il centro della scuola
zen si trasferì all'area giapponese, dov'era stato introdotto dal maestro
Zi-sai (1190), divenendo la religione dei samurai e delle classi colte. Molto
scarsi sono stati i contatti con la cultura occidentale sino all'inizio del XX
sec., quando cominciarono ad essere diffusi i primi testi zen. Particolarmente
impegnativa fu l'opera di diffusione condotta da Daisetz T. Suzuki. Tra i primi
a interessarsi scientificamente dello
Z. fu C.G. Jung, che vide nella
meditazione
za-zen, come nello
yoga, un possibile mezzo
terapeutico contro la nevrosi. La diffusione maggiore della dottrina zen si ebbe
soprattutto negli Stati Uniti. Una vasta opera di divulgazione fu compiuta da
Alan Watts, studioso di problemi religiosi e di dottrine orientali, affermatosi
come uno dei precursori della contestazione giovanile, della critica alla
civiltà occidentale sviluppata e della "controcultura" degli
anni Sessanta. Grazie all'opera di Watts lo
Z. divenne fenomeno di
costume, collegandosi al rifiuto di una società che antepone l'avere
all'essere e i valori della produzione a quelli personali. Jack Kerouac, Allen
Ginsberg, Gregory Corso, Ferlinghetti accolsero e diffusero il messaggio zen e
soprattutto l'invito ad accettare la vita nella sua immediatezza, nel suo fluire
libero, e a godere quanto c'è nel mutevole attraverso una serie di
"atti vitali". Accanto a questo filone si sviluppò negli
Stati Uniti lo
square Z., ossia lo
Z. ortodosso, cui si rivolgono
coloro che cercano una disciplina ascetica, partecipando sotto la guida di
maestri qualificati a veri e propri corsi di esercizi spirituali, apprendendo le
varie tecniche dello
za-zen, del controllo della respirazione, ecc.
• Filos. - Partendo dall'affermazione che "tutti gli esseri sono,
sin dal principio, altrettanti Buddha", lo
Z. nega che per la
ricerca della verità sia necessario distaccarsi dal mondo, considerando
una forma di superbia quella che induce a credere che la saggezza della
verità sia cosa troppo sublime per rivelarsi nelle vicende di ogni
giorno. Essa va ricercata invece proprio negli avvenimenti della vita
quotidiana, in ogni attimo, in se stessi e negli altri esseri viventi,
poiché tutte le cose, per quanto insignificanti e vili all'apparenza,
sono aspetti del Buddha natura. Lo
Z. è stato definito una
"consapevolezza immediata delle cose nel loro vivere e muoversi",
una "trasmissione diretta al di fuori delle scritture", un
"guidare dentro la propria natura". L'idea di aderire alla
realtà in un contatto diretto si ritrova, oltre che nello
Z.,
anche nel Taoismo, nei Vedanta, nel Sufismo e negli scritti dei mistici
cristiani. La meditazione zen richiede un notevole sforzo mentale e spirituale,
sino a condurre alla piena consapevolezza dell'impossibilità di ridurre
la verità a un'analisi e a una soluzione logica, non potendosi la vita
afferrare e costringere all'immobilità. Dopo lungo sforzo, il discepolo
zen giunge a comprendere - non gradualmente ma in un lampo di luce -
l'impossibilità di affermare le cose per farle proprie, raggiungendo in
tal modo la libertà dello spirito. Nei primi stadi della pratica zen il
lampo di luce dell'
illuminazione dura solo pochi secondi, divenendo
sempre più durevole col passare del tempo, finché anche l'ultima
ombra di dubbio e d'incertezza svanisce. Importante è l'acquisizione del
dominio della mente, poiché essa rappresenta la chiave per comprendere la
vita. Il dominio della mente si acquista attraverso l'esercizio del
koan,
consistente in una serie di quesiti esposti in modo inconsueto, attraverso il
dialogo col maestro, con domande e risposte solo apparentemente senza senso e
che hanno lo scopo di suscitare nel discepolo diffidenza verso il ragionamento
analitico e logico. Il dominio della mente si acquista inoltre attraverso una
elaborata tecnica di meditazione, detta
za-zen, che insegna a rilassare
il corpo e la mente, a non disperdere la propria energia nervosa e ad
allontanare i pensieri oziosi. Simile allo yoga indiano per la posizione assunta
dal meditante e per il controllo della respirazione, lo
za-zen se ne
distingue per le diverse finalità. I vari tipi di
trance e stati
di coscienza estatica che si possono presentare e che vengono considerati
essenziali dalla psicologia yoga, sono ammessi dai maestri zen solo come stati
contingenti, non come fonte di saggezza. Per il maestro zen ciò che
soprattutto conta è acquisire un certo atteggiamento mentale, detto
"immobile saggezza", tenendo tuttavia presente che stare immobili
non significa essere rigidi e privi di vita, ma significa raggiungere il grado
più alto di mobilità, intorno a un centro che rimane immobile. La
mente raggiunge allora "il più alto grado di alacrità,
attenta a dirigere la sua attenzione dovunque sia necessario".
"Lo zen e la pittura giapponese" di Sante Spadavecchia