Genere cinematografico statunitense. • Encicl. -
Presente quasi ininterrottamente nella storia del cinema americano, vide la
nascita con
The Great Train Robbery (1903), che nonostante la sua breve
durata (circa 10 minuti), segnò, oltre a quella del
w., la nascita
di un cinema che si apriva ad una dimensione narrativa di un certo respiro,
superando i limiti angusti della scenetta. Da sempre i temi maggiori del genere
sono: la fioritura e la repressione del banditismo, la marcia verso l'Ovest, la
colonizzazione della terra, la costruzione della ferrovia transcontinentale, la
corsa all'oro, la guerra di Secessione e, soprattutto, la lotta contro i
pellerossa. Nel
w. confluiscono avvenimenti storici, fatti di cronaca,
tradizioni di letteratura colta e popolare, folclore musicale. Nella storia del
genere si possono distinguere due fasi principali: l'una elementare, primitiva,
mitica, che arriva fino agli anni Trenta, l'altra stilisticamente più
consapevole e attenta alle ragioni della storia e della psicologia. Nelle
horse-operas (racconti a cavallo) del muto, prodotte in serie e in
maggior parte di breve o media lunghezza, l'attore-cow boy era il protagonista
assoluto. Il primo fu Broncho Bill Anderson, il più famoso, almeno in
Europa, Tom Mix (1880-1940), ma il più significativo, l'incarnazione
più tipica dell'eroe forte e silenzioso del West, fu William S. Hart
(1870-1946). In quel periodo opere notevoli furono
Il grande sentiero
(1930), di Raoul Walsh, e
Billy the kid (1930), di King Vidor. Con
l'avvento del sonoro il genere fu confinato nella produzione
"minore", finché, intorno al 1939-40, si ebbe una fioritura
di
w. di prestigio, fra i quali si ricorda
Ombre rosse di J. Ford.
Dopo la seconda guerra mondiale il genere mise sempre più l'accento sulla
storia, con un nuovo interesse per i nodi problematici della società e
una maggiore comprensione per i pellerossa, mentre il tradizionale
"eroe", l'invincibile e generoso re della prateria, si è
trasformato in un personaggio complesso, talvolta estraneo alla violenza, e
persino in un antieroe. Da
L'amante indiana di Delmer Daves e
Il passo
del diavolo di Anthony Mann, entrambi del 1950, i primi film del dopoguerra
che abbiano cercato di assumere un atteggiamento più corretto e critico
verso i pellerossa, si è giunti a
Il piccolo grande uomo (1970) di
A. Penn, interpretato da D. Hoffman, in cui la smitizzazione è totale
(dello stesso genere anche
Soldato Blu, 1970, di R. Nelson,
Un uomo
chiamato cavallo, 1970, di E. Silverstein, e
Corvo rosso non avrai il mio
scalpo, 1972,di S. Pollack). Il ventennio 1940-60 non fu soltanto la grande
stagione di J. Ford (
Sfida infernale,1946,
Il massacro di Fort
Apache, 1948,
Rio Bravo, 1950,
La carovana dei Mormoni, 1950,
Sentieri selvaggi, 1956), ma anche quella di H. Hawks, J. Sturges, W.A.
Wellman, B. Boetticher; inoltre, proprio in questo periodo, furono prodotti
alcuni film di richiamo che, in vari modi, rinnovarono il genere:
Il mio
corpo ti scalderà (1944), di Hughes (1944),
Duello al sole,
(1946), di King Vidor,
Mezzogiorno di fuoco (1952), di F. Zinnemann,
Il cavaliere della valle solitaria (1953), di George Stevens, e
Johnny
Guitar (1954), di N. Ray (gli attori che maggiormente diedero il proprio
volto ai personaggi di queste pellicole furono J. Wayne, R. Mitchum, K. Douglas,
J. Stewart, ecc.). Negli anni Sessanta il processo di revisione critica si
è accentuato: nei film di S. Peckinpah, A. Penn, R. Brooks, A. Polonsky,
si trova un nuovo senso della storia, un'analisi delle origini della
civiltà americana che investe e smonta il mito stesso della conquista
dell'ovest, rivelandone gli aspetti di sterminio e rapina, di violenza e
sfruttamento. Di questo genere sono le pellicole:
Chato (1972), di M.
Winner, con Ch. Bronson;
E Johnny prese il fucile (1971), di D. Trumbo,
con T. Bottoms;
Gli avvoltoi hanno fame (1969), di D. Siegel;
Butch
Cassidy (1969), di G.R. Hill, con R. Redford e P. Newman;
La notte brava
del soldato Jonathan (1971), di D. Siegel, con C. Eastwood;
Doc
(1971), di F. Perry, con S. Keach;
Il ritorno di Harry Collins (1971), di
e con P. Fonda;
L'uomo dai sette capestri (1972), di J. Huston, ancora
con Newman;
Stringi i denti e vai (1975), di R. Brooks, con G. Hackman e
C. Bergen;
Arriva un cavaliere libero e selvaggio (1977), di A.J. Pakula,
con J. Fonda e J. Caan. Nel periodo 1965-68, in Italia si impose con grande
successo di pubblico il cosiddetto "spaghetti-western", con opere di
cineasti italiani. Tra questi film spiccano, per originalità e rigore,
quelli di S. Leone (
Per un pugno di dollari, 1964;
Per qualche dollaro
in più, 1965;
Il buono,
il brutto,
il cattivo,
1966;
C'era una volta il West, 1968;
Giù la testa, 1971).
Nella prima parte degli altri Ottanta il
w. era quasi sparito dal
panorama della produzione mondiale, soprattutto perché al mito della
conquista dell'Ovest si era sostituito quello dell'esplorazione dello spazio, e
alla riflessione psicologica dei rapporti tra bianchi e pellerossa le
altrettanto drammatiche tematiche emerse dalla guerra del Vietnam. Nuova vita
però pare essere sorta dopo
Silverado (1985), di L. Kasdan, cui
seguirono:
Young Guns (1988), di Ch. Cain;
Balla coi lupi (1990),
di K. Costner;
Gli spietati (1992), di C. Eastwood;
L'Ultimo dei
Mohicani (1992), di M. Mann;
Tombstone (1993), di G.P. Cosmatos;
Sommersby (1993), di J. Anid;
Maverick (1994), di R. Donner;
Wyatt Earp (1994), di L. Kasdan;
Wild,
Wild West (1999), di
B. Sonnenfeld.